saverio ma giusto
Di Beppe Grillo da Fazio e di comici strafiniti
Il fondatore del M5s ha tradito l’etica del suo vecchio mestiere: ha chiesto al pubblico di prenderlo sul serio
Quando l’altra sera, nel suo patetico incedere nello studio di “Che Tempo Che Fa” da Fabio Fazio Su Nove, Beppe Grillo, fra lo smarrito e il paraculo, ha chiesto al pubblico in studio se vogliamo che lui faccia il politico o il comico, il pubblico (stanco e un po’ annoiato da quel delirio vaneggiante e auto-assolutorio) ha risposto in coro “il comico” a uno che per mezz’ora non ha detto nemmeno una battuta, non ha fatto una gag, non ha detto nulla che fosse divertente. Andrebbe studiato – dagli antropologi? dai sociologi? dagli psichiatri?– il modo in cui gli italiani continuano a farsi manipolare da quell’uomo, ostaggi dei suoi problemi personali. Sì perché Grillo ha detto al pubblico di essere a un bivio, quando invece si trova nel bel mezzo di una rotatoria e con ben tre uscite; e la direzione giusta da prendere sarebbe proprio la terza: quella del ritiro a vita privata, dopo anni di onorata carriera nel mondo dello spettacolo e altrettanti di disonorevole disservizio civico. Ho sempre sostenuto che il Movimento 5 stelle era solo il sintomo della crisi creativa di un artista finito, e che di realmente politico aveva solo il fatto di aver intercettato lo spirito (populista) dei tempi.
Così oggi, il “ritorno sulle scene” di Beppe Grillo è invece il risultato della crisi politica di un attivista (o meglio: dell’insoddisfazione di un narcisista privo degli strumenti culturali o anche solo cognitivo-comportamentali per affrontare la cosa da solo); mentre non vi è alcuna traccia di esigenza creativa, di guizzo artistico, di ispirazione o capacità di fare ancora spettacolo a livelli professionali. Ha ragione Beppe Grillo, quando dice di aver fallito e rovinato questo paese; ma questo fallimento è stato prima di tutto quello personale di un uomo di spettacolo incapace di accettare il proprio declino; e non ho dubbi che lui abbia rovinato più la scena comica italiana che quella politica – la quale già non godeva di buona salute quando Grillo “scese in campo”, e che sarebbe degenerata da sola anche senza il suo (pur decisivo) contributo.
Beppe Grillo come comico era finito già negli anni 2000, quando i suoi spettacoli (ancora di successo) erano più le adunate di un guru che dei recital comico-satirici. Grillo ha tradito e minato alle fondamenta l’etica del suo vecchio mestiere: ha chiesto al pubblico di prenderlo sul serio, cioè la negazione del comico. Generando così un danno incalcolabile, culturale, di cui ancora oggi a pagarne le conseguenza sono il pubblico e i comici autenticamente tali, chiamati a rifondare un’arte ormai equivocata dai più. La mia modesta proposta, se Grillo proprio non vuole saperne di starsene a casa – anzi, in villa – è che a questo punto resti pure in politica; tanto, il danno è fatto e a questo punto sarebbe anche giusto che rimanesse a prendersi le pernacchie che si merita. Del resto, Grillo sbaglia quando dice che il suo fallimento sta nel fatto che chi ha mandato “affanculo” ora è al governo; il suo contributo negativo alla politica è stato portare in parlamento (e al governo) chi quei governanti li mandava affanculo; con il risultato che ce li ha fatti rivalutare e votare, tanto erano scarsi e peggiori questi altri. Il pagliaccio nell’opera di Leoncavallo, o il Calvero di Chaplin nel malinconico “Luci della Ribalta”, hanno fatto un’uscita di scena assai più dignitosa di quella miserabile del fu Beppe Grillo.