l'altro sindacato
Il sindacalista anti populista. Ritratto di Luigi Sbarra, vaccino al landinismo
Rifiuta lo sciopero generale all'ingrosso e concede poco alla recitazione un po’ istrionica da comizio. Senza mai aprire polemiche con Cgil e Uil, il segretario della Cisl sta dando un’altra possibilità alla rappresentanza del lavoro in Italia
I suoi iscritti e le sue bandiere Luigi Sbarra li porterà sabato 25 in piazza Santi Apostoli a Roma per contestare punti specifici della manovra e della politica economica. Con il tono e le parole di chi ha trovato negli articoli della legge di stabilità e nei provvedimenti collegati anche qualcosa che il sindacato da lui guidato aveva chiesto da anni, a partire dalla riduzione del cuneo fiscale, prima ottenuta con il governo Draghi e poi, rafforzata e prolungata, con il governo Meloni. E qualcosa che, invece, non è ritenuto accettabile, come il taglio dei coefficienti di calcolo delle pensioni. Anche nella protesta e proprio sul tema previdenziale arriverà in piazza forte di alcune proposte alternative al progetto del governo. La sua Cisl, senza mai aprire polemiche con Cgil e Uil, sta dando un’altra possibilità alla rappresentanza del lavoro in Italia, In giorni in cui la proclamazione di uno o più scioperi generali è parsa talmente rituale da rendere più appassionanti dello sciopero stesso le dispute giuridiche e interpretative dovute all’autorità garante, mentre si contribuiva a ridare visibilità pubblica a un Matteo Salvini un po’ a corto di proposta politica e palesemente in cerca di qualche formula comunicativa forte, come l’attacco al week end lungo. Per Sbarra le scelte di questi giorni sono lo sviluppo naturale del modo in cui da poco più di tre anni sta guidando il suo sindacato.
Lo sciopero generale anti-governo, fatto un po’ all’ingrosso, lo aveva rifiutato anche quando a Palazzo Chigi c’era Draghi (e non si capiva bene quale fosse il bersaglio di una protesta così massiccia, mentre la maggioranza era estesissima e il presidente del consiglio era dichiaratamente a termine). A chi gli chiede spiegazioni, come ha fatto il Corriere della Sera, può rispondere in modo lineare che la Cisl non ha cancellato la parola sciopero dal suo dizionario, ma che bisogna “stare attenti a non svilirlo, a non farlo diventare un rito fine a sé stesso, che, ripetuto in maniera compulsiva alla lunga logora la rappresentanza sociale e dà spazio ai populismi”. Concetti chiari, espressi con un tono di voce che, anche in pubblico, concede poco alla recitazione un po’ istrionica da comizio e cerca sempre di valorizzare lo sviluppo logico dei ragionamenti. Ascoltarlo porta lontano dal cliché del sindacalista comiziante. Ha cominciato presto nella sua Locride, nelle parti più dure della Calabria, come sindacalista dei braccianti. Prima un diploma da geometra e un po’ di politica nella democrazia cristiana. Poi solo la Cisl, alternando ruoli locali a ruoli confederali e quindi nazionali. Dai lavoratori agricoli è tornato, come segretario della categoria, dopo la prima parentesi in segreteria nazionale.
Misurarsi con le lotte dei braccianti in Calabria è una buona scuola per arrivare ad apprezzare concretezza, misura, gradualità, pragmatismo. Doti (o caratteristiche) che non ha mai abbandonato, tenendo fede a un lascito ideale costruito anche con lo sforzo e il sacrificio di chi ha difeso e promosso i metodi e le forme delle lotte sindacali non massimaliste e sempre portatrici di trattative e di risultati. Prima da aggiunto e poi da segretario generale si è trovato a gestire la Cisl durante la pandemia. E la sua scelta per l’obbligo vaccinale e per il green pass in azienda lo ha messo in una posizione inizialmente più avanzata rispetto agli altri leader sindacali, mentre esplodeva contro di lui la contestazione, anche rabbiosa, degli ambienti no-vax (e tuttora durano denigrazione e intimidazioni). Non fa barricate a vuoto ma quando c’è da prendere posizione in condizioni difficili, e i vari lockdown sono stati momenti rivelatori, le decisioni sa prenderle e mantenerle. Nella dialettica sindacale questa è una posizione di forza, di cui si sta vedendo adesso tutta l’importanza. È lineare anche nella riscoperta, in chiave pragmatica, di una delle ragioni fondante della differenza Cisl rispetto agli altri sindacati confederali e cioè la scelta per spingere la partecipazione dei lavoratori nella gestione aziendale. Anche in questo caso non chiede un’utopistica cogestione, ma chiede che attraverso la contrattazione si definiscano spazi per dare voce ai lavoratori nelle aziende e lo fa richiamando casi in cui risultati sono stati ottenuti, come avviene, ad esempio, a Luxottica. Gradualità e concretezza, in questo caso, corrispondono alla scelta di girare l’Italia con decine di iniziative tra i lavoratori per raccogliere firme su una legge di iniziativa popolare che dia il quadro delle regole dentro il quale poi far sviluppare l’attività sindacale con cui ottenere maggiore partecipazione dei lavoratori nella gestione aziendale. Non richieste generiche alla politica, ma una grande campagna di mobilitazione, con cui presentarsi poi al parlamento forti di un sostegno reale. Lo stesso approccio Sbarra lo ha tenuto, fin dalle prime discussioni, sul tema del salario minimo. Con un faro, quello dell’autonomia e della libertà sindacale.
E quindi con l’idea che debba nuovamente essere la contrattazione il centro di tutto, anche delle regole per fissare il salario minimo. Sbarra non incalza nessun partito per sostituirlo o per dare voce a istanze politiche ritenute poco rappresentate. Non entra in questi giochi. E, da una posizione fortemente autonoma, la sua voce pesa sempre di più. Nella sua Calabria torna appena possibile, ha un fortissimo legame con i suoi familiari, con cui ora abita non più nel paese di nascita, Pazzano, nella Locride, ma in una cittadina non lontano, sul litorale. È uno juventino moderato, pragmatico anche nel tifo calcistico, si direbbe, e un po’ a calcio ci ha anche giocato da ragazzo. Non tradisce le sue esperienze di gioventù neanche nei gusti alimentari, fedelissimo alla buona cucina e ai vini calabresi. Ha una certa affabilità diretta e occhi che alternano lampi e bonarietà. Soprattutto, parlandoci a tu per tu o ascoltandolo da un palco davanti a migliaia di persone o in intervento televisivo, avrete l’impressione fondata di avere di fronte sempre la stessa persona.