Lo scenario
Meloni va a Berlino, ma in Europa rema con la Polonia contro la riforma dei trattati Ue
Mentre con Scholz la premier mostra il lato più europeista, a Strasburgo tiene aperto il canale con l’euroscetticismo polacco
Fermate il treno delle riforme dei trattati europei che a voler scendere non c’è solo Lollobrigida ma tutta Fratelli d’Italia. L’Eurocamera approva mercoledì, per il rotto della cuffia, la richiesta di aprire una conferenza per la revisione dei Trattati fondanti dell’Unione, e superare così lo scoglio del voto all’unanimità che immobilizza la politica estera Ue, ma dal partito di Giorgia Meloni fanno sapere che sono pronti alle barricate. Levare l’unanimità infatti vorrebbe dire liberarsi della capacità di veto che rende gli Orbàn di turno liberi di immobilizzare i summit Ue, ma significa anche un passo inesorabile verso la perdita di sovranità degli stati nazionali.
E infatti il capogruppo dei Ecr, Nicola Procaccini convoca a Strasburgo una conferenza stampa bellicosa in cui calca il palco con gli alleati polacchi del PiS: parola d’ordine “fermare il superstato europeo che i cittadini non hanno chiesto e non vogliono”, spiega Procaccini. I partner polacchi osano qualche tacca di più, secondo loro Bruxelles vorrebbe fare ”una colonizzazione morale dell’Europa”, “un dominio etico per imporre la sua agenda progressista che non rappresenta i cittadini”, spiega il co-presidente di Ecr, Ryszard Legutko. Agenda progressista che tra le altre cose gli imporrebbe di prendersi la redistribuzione dei migranti che affollano i centri di permanenza italiani. Ci va ancora più duro il collega di delegazione polacca Jacek Saryusz-Wolski, “l’Europa di oggi ricalca la struttura di dominio del secondo Reich”. Poteva andare peggio, poteva essere il terzo. Mentre Giorgia Meloni a Berlino negozia con l’amico Olaf, e sigla accordi che mostrano il lato più europeista, a Strasburgo il suo partito fa il passo del granchio e punta verso i suoi partner più euroscettici. E poco male se tra primi leader a sbilanciarsi in supporto all’apertura di un convenzione per la modifica dei trattati è stato proprio il commensale berlinese di Meloni, il cancelliere Scholz che aprì la strada ad una convergenza Roma-Parigi-Bruxelles, (a Palazzo Chigi c’era ancora Mario Draghi) che aveva fatto sognare gli sparuti federalisti del continente.
A spostare un po’ più a destra Meloni ci si mette anche il leader di Vox, Santiago Abascal, arrivato a Strasburgo per partecipare alla grande rissa in aula contro l’immunità proposta dal governo Sanchez e che in conferenza stampa sottolinea di di “contare” sul sostegno dei suoi alleati internazionali, come “Giorgia Meloni e Javier Millei”. L’iter delle riforme intanto, dopo il primo passo compiuto dell’Eurocamera, passa ora nelle mani del Consiglio Ue, con una richiesta di aprire una conferenza intergovernativa per la modifica dei trattati, scelta che dovrà essere approvata con maggioranza semplice al prossimo vertice europeo a dicembre a Bruxelles. Una lettera dei Paesi scandinavi la scorsa primavera però aveva freddato le speranze su una possibile maggioranza sul tema, ma la riapertura del dibattito sull’allargamento potrebbe favorire la via delle riforme dato che con queste regole sarebbe molto rischioso aumentare i coinquilini.
Sulla riforma dei trattati intanto a Meloni le si crepa la maggioranza. Se FdI e Lega votano compattamento no la delegazione di Forza Italia propende per il sì, tranne il capodelegazione Fulvio Martusciello e l’eurodeputato Massimiliano Salini, che votano invece con le destre. Una spaccatura che ricalca quella di tutto il gruppo popolari europei, dove invece sono i partiti dell’Est a puntare i piedi nel cedere sulla sovranità nazionale. Meloni in sintesi vuole che l’Ue rimanga così com’è, “è paradossale che siamo diventati noi i guardiani dei trattati”, attacca Procaccini attribuendosi il compito che spetterebbe in teoria a Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue. Ma se la maggioranza Ursula scommette sulle riforme e, come sembra, ha chance di rimanere in carica a Bruxelles, fare i progressisti a Berlino ma gli euroscettici a Bruxelles potrebbe non pagare. Si rischia di andare male nelle trattative per le posizioni apicali Ue che si apriranno in estate e di prendersi solo posti da mezza classifica, che magari vanno bene a Budapest o Varsavia. Roma, però, punta più in alto.