Dopo il 25 novembre. Il silenzio sulle donne israeliane interroga la sinistra
“Brutta macchia su una bella manifestazione”
Quello perpetrato da Hamas il 7 ottobre è stato un femminicidio di massa. Da noi c’è chi non è andato in piazza, pur volendo, per via della piattaforma di "Non una di meno" che conteneva considerazioni anti-Israele. Le voci e i dubbi di Hamaui, Izzo, Barzini
La piazza piena di sabato 25, le tantissime ragazze e donne e i tanti uomini che camminano insieme nel gelo per Roma (cinquecentomila per la mobilitazione spontanea contro i femminicidi, dopo la morte di Giulia Cecchettin), e una domanda che aleggia: perché il silenzio sul femminicidio di massa del 7 ottobre, quello compiuto dai miliziani di Hamas a danno delle donne israeliane stuprate, rapite, torturate e uccise al rave party o in uno dei kibbutz? Se lo sono chiesto in tanti, anche andando in piazza, sabato scorso, con figli e figlie e nonostante la piattaforma della manifestazione indetta da “Non una di meno” contenesse considerazioni anti-Israele non pertinenti con la causa. C’è chi, nel centrosinistra, non è andato in piazza per questo. E chi è andato, premettendo però di aver firmato l’appello del quotidiano storico della sinistra Libération, volto a sottolineare che l’attacco del 7 ottobre è stato anche un attacco contro le donne israeliane, uccise, rapite, stuprate e torturate da Hamas.
L’assenza di questo tema, il 25 novembre, interroga ex post la sinistra: possibile che esista una reticenza (neanche troppo sommersa) a parlare di quegli stupri e di quelle morti proprio perché si tratta di donne israeliane? Possibile che si tratti del riflesso condizionato di un antisemitismo strisciante? Due giorni fa, la filosofa, storica e cofondatrice di “Se non ora quando” Francesca Izzo ha spiegato sull’Huffington Post il perché della sua mancata partecipazione alla manifestazione: “L’assenza degli stupri di Hamas nel manifesto del 25 novembre ha cancellato le donne”, ha detto Izzo con rammarico, pur sottolineando la necessità di non “disperdere” la luce che si è accesa in piazza. Aveva anche provato, Izzo, a proporre di scendere in piazza con un altro appello o un’altra piattaforma che contenesse appunto la menzione del femminicidio di massa del 7 ottobre, racconta al Foglio. Inutile. E questo grida vendetta contro le donne che si volevano difendere, tanto più che lo stupro è un crimine di guerra, dice Izzo.
La giornalista Francesca Barzini, tornando con la mente al 25 novembre, è allarmata per la superficialità e il pressapochismo di alcune parole d’ordine, “che non tengono peraltro conto della condizione delle donne in molti paesi arabi”. Detto questo, dice Barzini, “penso che la piattaforma di una manifestazione contro la violenza sulle donne o non prevede tra i punti del suo manifesto la guerra in Medio Oriente o, se la prevede, non può dimenticare le donne israeliane massacrate il 7 ottobre”. Eppure non è stato così e ci si chiede perché: “E’ come se si avesse paura di dirlo”, dice Barzini: “Purtroppo siamo di fronte a un antisemitismo dilagante e a una grande ignoranza: c’è chi non distingue tra ebrei e governo israeliano. E vedo una specie di omertà conformista: se il sentire generale va contro Israele, si segue quella direzione senza porsi troppi problemi. Oppure si cavalca l’ultimo cavallo. Insomma, la mancanza di un accenno alle donne israeliane è una brutta macchia su una bella manifestazione”.
Il silenzio sugli orrori del femminicidio del 7 ottobre è stato oggetto di un intervento su Repubblica della storica israeliana Tamar Herzig – che sottolineava con costernazione anche “l’abbandono delle attiviste del ‘MeToo’, quelle che avevano per motto ‘Io ti credo’ e ‘che rifiutano le prove abbondanti, comprese le testimonianze delle sopravvissute al massacro”. Sempre su Repubblica, due giorni fa, Daniela Hamaui, già direttrice di D, l’Espresso e Vanity fair, ha raccontato di essersi sentita esclusa dal corteo di sabato scorso: “Essere ebrea ed essere femminista: non ho mai pensato che ci fosse una contraddizione tra queste due anime”, ha scritto Hamaui: “Sabato invece mi sono trovata davanti a un bivio: andare o non andare alla manifestazione di Roma, partecipare o meno a quello che ritengo essere un momento di cambiamento fortissimo nella battaglia contro la violenza sulle donne”.
In piazza c’è andata, Hamaui, a Milano, ma non è riuscita a sentirsi davvero parte del fiume di persone presenti: si sentiva nella folla la solidarietà con i palestinesi, ma non si sentiva nessuna voce contro gli stupri subiti dalle donne israeliane. “Mi è parsa strana intanto la modalità della convocazione”, dice Hamaui al Foglio: “Non era una manifestazione per la pace, quella, quindi perché nella piattaforma parlare di Palestina? E comunque, di fronte a quello che è successo il 7 ottobre, mi sarei aspettata indignazione anche presso chi difende i palestinesi. Posso provare dolore per le donne palestinesi che perdono i propri figli e familiari, ma questo non vuol dire che io non possa provare dolore per quelle donne e ragazze israeliane rapite, violentate e ammazzate. Stiamo perdendo umanità? mi domando. E con sgomento registro che la sinistra nel mondo non si è mossa in nome di quelle donne”. Intanto la comunità ebraica romana e l’Unione delle comunità ebraiche italiane saranno in piazza del Popolo, a Roma, la sera del 5 dicembre, per dire no “all’antisemitismo e al terrorismo”.