il dibattito
Ecco le modifiche al premierato che guardano a sinistra. Schlein che fa?
"Abbiamo attinto alle proposte della sinistra. Il nostro è un tentativo per dare coraggio ai riformisti del Pd. Ma anche al governo, per cambiare questo pasticcio". Parlano Quagliariello e Calderisi
Vanno oltre gli allarmi lanciati da Gianni Letta sul ruolo del presidente della Repubblica. “Vogliamo offrire il nostro contributo al dibattito. Speriamo di riuscire a mettere assieme una maggioranza trasversale. E’ l’unico modo per non fallire anche questa volta. Anche perché oggi è difficile immaginare cosa possa essere il referendum tra due anni”. Gaetano Quagliariello è tra i primi firmatari dei due emendamenti proposti dal nucleo di intellettuali che si riconoscono dietro al claim “Il nostro premier è più forte del vostro” per migliorare la riforma costituzionale presentata dalla maggioranza. Quella che punta a introdurre in Italia il premierato. Tra le firme figurano nomi come Peppino Calderisi, Natale D’Amico, Franco Debebedetti, Giuseppe de Vergottini, Mario Esposito, Maurizio Griffo, Angelo Panebianco e Antonio Polito.
L’obiettivo non è soltanto pungolare la maggioranza a sfruttare un’occasione di riforma perché il testo non resti, come dice Quagliariello, “il gran pasticcio che è ora”. Quanto spingere anche le opposizioni a una serie di proposte concrete. Perché non si rifugino nell’ostruzionismo a oltranza. “L’elezione diretta non è di per sé un male. Merita un supplemento d’indagine”, ragiona l’ex esponente del Pdl. “Per questo, puntando a una convergenza più ampia possibile, abbiamo lavorato soprattutto su testi della sinistra. Se però sarà la sinistra stessa a dimostrare di non voler accettare alcun tipo di compromesso, finirà per smentire certe pagine della sua storia recente”.
Tra queste, la tesi numero uno dell’Ulivo: e cioè che le riforme andavano fatte con la massima condivisione possibile. Ma anche precedenti più precisi. “I nostri emendamenti si ispirano a due proposte legislative depositate nel corso della quattordicesima legislatura”, spiega l’ex parlamentare e storico esponente dei Radicali Peppino Calderisi. “Una a firma dei parlamentari della sinistra Tonini, Morando e D’Amico. L’altra dell’allora senatore del Pdl Malan. Entrambe riprendevano il testo Salvi, relatore nella commissione bicamerale D’Alema, per quel che riguarda il modello neoparlamentare di legittimazione diretta del primo ministro”.
Nelle proposte di modifica ci sono la propensione per una legge elettorale di tipo maggioritario, una più precisa disciplina dello scioglimento delle camere, sul modello di quanto avviene in Svezia che si ispira al principio della massima deterrenza e offre al primo ministro un corredo di poteri per governare le instabilità nella maggioranza. Ma viene toccata anche la questione del bicameralismo paritario, perché si prevede che la fiducia venga affrontata in un’unica sede, con le camere riunite in seduta comune. “Certo, sarebbe una soluzione ponte, ma rappresenterebbe una spinta a fare altre cose. Noi del resto siamo pronti a presentarne altri di emendamenti. Un terzo è già in cantiere”, dice ancora Calderisi al Foglio.
Il punto è capire se queste proposte, in un percorso che a ogni modo si preannuncia lungo e che risentirà di un’accelerazione solo dopo le elezioni europee, verranno raccolte in qualche modo dalle forze in Parlamento. “Senza delle proposte alternative, concrete, è difficile convincere la maggioranza che si debba fare diversamente. Il problema però è se si condividono gli obiettivi di fondo. Se si pensa che davvero l’elezione diretta del primo ministro possa essere l’anticamera di una democratura. Ecco, questo è il punto di partenza. Il nostro auspicio è anche fare coraggio alla parte riformista del Pd”, ragiona ancora Calderisi. Secondo il quale, guardando invece più dalle parti di Palazzo Chigi (“con cui non abbiamo avuto confronti”, precisa), quel che bisogna evitare sono “gli errori che hanno commesso anche Berlusconi e Renzi: pensare che la loro forza politica potesse assicurare stabilità. Mentre soltanto i governi che hanno forza istituzionale sono capaci di superare i veti corporativi. In più Meloni dovrà capire cosa fare: vale la pena rischiare tutto con il referendum? O provare a lavorare su una riforma condivisa che possa essere sostenuta dai due terzi del Parlamento? Bisogna costruire questa possibilità ed è quello che con il nostro lavoro stiamo cercando di fare”.