Verso le amministrative
La disfida pd di Firenze, le due dame e il pericolo dietro la porta
La maggioranza dem locale vuole designare Sara Funaro senza passare dai gazebo, ma Cecilia Del Re è sul piede di guerra. Poi c'è Renzi
"Dopo Nardella il diluvio", scherza un esponente del Pd pensando alla situazione nel capoluogo toscano, dove ieri sera la direzione locale doveva decidere su un simil-caso Todde, dal nome della candidata a Cinque stelle scelta dai dem per la corsa regionale in Sardegna, mentre Renato Soru premeva per le primarie poi sfumate. A Firenze si vota nel 2024 per eleggere il successore di Dario Nardella al Comune e, sempre a Firenze, come appunto altrove (e non solo in Sardegna), la questione primarie è rimasta a lungo nell’aria, tra qualche veleno, senza mai giungere a una definizione, e anzi via via ponendosi quasi come formalità o inutilità (per non dire intoppo, a seconda dei punti di vista) sulla via del voto, al quale la maggioranza dem locale ha pensato di arrivare con Sara Funaro, colei che ieri, prima che si entrasse in direzione, veniva descritta come candidata in pectore e assessora al Welfare nardelliana. Quarantasette anni, fiorentina, Funaro è “nata negli anni in cui i sogni accompagnati da competenze e determinazione si iniziavano a realizzare”, come scrive di sé, e “in una città che si presenta da sola per bellezza e cultura, una città che è sempre stata baluardo della difesa dei diritti degli uomini, a partire dall’abolizione della pena di morte”.
Cresciuta in una famiglia in cui, parole sue, “le differenze religiose, culturali e identitarie sono state sempre elemento di unione, attraverso il confronto e il rispetto reciproco”, Funaro ha lavorato a lungo nel sociale, specie come operatrice con i minori. In settembre l’assessora diceva di non essere appassionata di autocandidature: “Penso che noi facciamo parte di una comunità, sono cresciuta all’interno della comunità del Pd, e penso che ora sia il momento di fare un ragionamento collettivo sui temi e sull’agenda della città per i prossimi anni”. Ieri, alla vigilia della riunione decisiva, si facevano i conti: sarà possibile far convergere su Funaro +Europa, Azione e Avs, ferma restando la non convergenza di Matteo Renzi, che nei giorni scorsi ha fatto capire di essere pronto a presentare subito una propria candidata, la vicepresidente della Regione Stefania Saccardi, in caso di conventio ad excludendum verso Italia Viva? Soprattutto, ci si domanda a Firenze: si potrà evitare la spaccatura del partito, dopo i segnali di malumore interno proprio per via del rischio-eliminazione primarie?
Lo stesso rischio ha infatti già fatto insorgere l’ala dem che fa capo, a Firenze, all’assessore all’Urbanistica Cecilia Del Re, già avvocato e regina di preferenze alle comunali del 2019, pro Bonaccini al congresso, ma poi dialogante con la maggioranza pd dopo l’elezione di Elly Schlein. Nel giro di qualche settimana, Del Re si è battuta per avere i gazebo, forte di un certo appoggio esterno e, in parte, anche interno del consiglio comunale. E si sentiva a tal punto convinta della propria potenzialità, Del Re, da far pervenire al Nazareno 1500 cartoline di altrettanti partecipanti a una sua precedente convention. Testo: “Cara Elly, ti chiedo le primarie perché…”.
“Le primarie sono la regola, non l’eccezione”, diceva ieri Del Re, intervistata dal Corriere tv: “No a una donna scelta dal potente di turno, calata dall’alto da capi corrente tutti uomini, a maggior ragione con la battaglia contro il patriarcato in sottofondo”.
E ieri sera c’era chi, nel Pd fiorentino, si avviava alla direzione locale “con qualche preoccupazione”, dice un parlamentare dem. Il timore non è tanto legato alla spaccatura in sé del Pd fiorentino, quanto all’effetto sfilacciamento che la spaccatura eventuale, o anche soltanto il malumore, potrebbe portare da qui alle amministrative, con l’incognita Giuseppe Conte (che qualche tempo fa si muoveva, con i Cinque stelle, in direzione del professor Tomaso Montanari, il quale rispondeva con un sibillino “lavoriamo intanto sul programma, i nomi vengono dopo”), e con il pericolo di arrivare alle urne senza rassicurazioni sulla vittoria, ma con un’altra non piacevole inquietudine: se anche non andasse male alle Europee, il Pd non potrebbe permettersi di perdere Firenze. La caduta della città dove due giorni fa Matteo Salvini ha riunito gli amici sovranisti, infatti, verrebbe letta con la lenta d’ingrandimento anticipatrice e con fosco presagio: della serie “le Politiche sono lontane, sì, ma insomma”.