nuovo ulivo?
"Schlein e Conte? Scelgano il nuovo federatore della sinistra con le primarie". Parla Arturo Parisi
"Di fronte al Pd e al M5S e al tentativo di costruire un nuovo centrosinistra considero le primarie l’unico strumento capace di dirimere il dualismo", dice l'ex ministro prodiano e cofondatore del Pd
ll centrosinistra scalda i motori sul salario minimo, con dualismo Conte-Schlein. Si impone un tema: che cosa fare in prospettiva? “Diciamo pure ‘il’ tema!”, esclama Arturo Parisi, ex ministro prodiano e cofondatore del Pd: “Senza un futuro condiviso”, dice, “l’azione di opposizione non può non ridursi che a una serie di episodi che vedono i partiti di minoranza tanto meno divergenti quanto più essa è frontale, pregiudiziale e ideologica. Tutto fuorché l’alternativa della quale ha bisogno l’Italia. Senza un’ispirazione che riesca a tenere insieme Pd e 5Stelle, perfino la locuzione ‘centrosinistra’ è nome vano. Se penso alla mia personale battaglia per il superamento del trattino tra centro e sinistra, mi viene da sorridere. Provino ora Giuseppe Conte ed Elly Schlein a concordare chi di loro è centro e chi sinistra. Siamo proprio finiti in un tempo diverso: senza ‘centrosinistra’ e senza ‘centro trattino sinistra’”.
Qualche giorno fa, al convegno dei cattolici democratici, si è sottolineata l’esigenza di non snaturare il Pd. “Come se il Pd avesse una natura e non invece una storia”, dice Parisi, “la breve storia di un soggetto nato per essere un nuovo partito: né nuova somma di antichi partiti né nuovo nome di vecchi spartiti. Certo, sarebbe irriguardoso ignorare il disagio che continua a interpellare Pierluigi Castagnetti e la sofferenza di chi, tra i reduci della Dc, pensava di aver trovato una casa. E tuttavia, prima di cercare altrove le cause della propria marginalità, forse è il momento di interrogarsi sul fatto che l’ascesa alla segreteria di una figura come Elly Schlein viene associata proprio a riconosciuti esponenti dell’ultima leva dc. Da Dario Franceschini, che di Schlein è stato sponsor dichiarato, a Enrico Letta, di certo colui che ha posto le premesse per l’elezione di una non iscritta a un partito ridefinito ‘nuovo’, per consentire un ricongiungimento paritario col partito di Pierluigi Bersani. Questo per dire che, se è vero che senza il contributo determinante dei democristiani alla vicenda nata sotto il segno dell’Ulivo non saremmo partiti, trent’anni fa, è anche vero che, sempre senza il loro contributo, non saremmo arrivati a questo punto”.
Quadro diverso da quello del 1996, ma si parla di “nuovo Ulivo”. “Niente come i nomi e i simboli dei due affluenti misura meglio la distanza tra le cose”, dice Parisi: “Se l’Ulivo sta a ricordare al Pd che, dopo due vittorie, prima o poi dovrebbe arrivare la terza, la V che ancora campeggia nel simbolo del M5s ricorda che anche il Vaffa — che portò Conte due volte al governo — attende una terza occasione. Se il confronto tra i due principali attori presenti è inevitabile, il contributo a un incontro, ora soltanto possibile, più che dall’evocazione di un nome indissolubilmente legato a una parte viene dall’esperienza legata a quel nome: la necessità di condividere innanzitutto il disegno di quale sia ‘Italia che vogliamo’, il primo nome della campagna di mobilitazione e dei comitati che sostennero tra i cittadini la discesa in campo di Prodi, e della lunga elaborazione di quello che fu il programma dell’Ulivo. Quel lavoro rigoroso, senza esiti scontati, finora è del tutto mancato, a cominciare dal varo sciagurato del governo Conte 2, quando il Pd si infilò nel talamo ancora caldo del fedifrago Salvini pur di tornare al governo”. Si parla della necessità di un “federatore” del centrosinistra; c’è chi pensa a Paolo Gentiloni, a un nome esterno al dualismo Schlein-Conte. “Abbandonata una soluzione alla Romolo e Remo, non resta che contare i voti, invece di tagliare le teste. Per dirla alla rozza: o si libera, seppure dentro a una coalizione stabile e prestabilita, la competizione elettorale tra i partiti, e soltanto dopo si affida la guida al leader o persona designata dal partito che prevale nel voto, oppure, in vista del voto finale, ci si affida attraverso primarie agli elettori della coalizione, in modo che, liberi da indicazioni di partito, scelgano tra persone che, a prescindere dalla provenienza, si propongano per la realizzazione di un programma per il governo del paese. Io non ho cambiato la mia preferenza. Anzi, proprio di fronte al Pd e al M5S, considero le primarie l’unico strumento capace di dirimere il dualismo. Vedo invece che Schlein, sempre sulla scia di Conte, ha intrapreso una linea esattamente opposta, nonostante sia lei stessa figlia di primarie tra le più aperte della storia, e per di più in un partito che disporrebbe di ben altri strumenti per scegliere il suo vertice. Non resta che aspettare: prima le Regionali, dove d’amore e d’accordo Conte e Schlein si sono divisi città e regioni, e poi le Europee, quando, con meno amore e meno accordo, si contenderanno i voti”.