Campostretto

Conte in spider, Schlein in chiesa: cerca Bindi come federatrice. Giannini per le Europee

Carmelo Caruso

L'ex premier insieme a Casalino (sua l'idea dello strappo in Aula del testo sul salario minimo) si prende scena e giornali. Schlein si fa soffiare la Basilicata dopo aver ceduto la Sardegna e cerca federatori cattolici

Roma. La sinistra non “l’ha vista arrivare”, ma Giuseppe Conte potrebbe vederla fare i bagagli. Solo Elly Schlein non si accorge che l’ex premier l’ha già sorpassata con la sua comunicazione spider e che anche Meloni adesso lo teme. Chiedere all’ex direttore della Stampa, Massimo Giannini, di candidarsi alle Europee, come la segretaria del Pd intende fare, è da voto otto e mezzo, ma Giannini non è Lilli Gruber. In due giorni, Conte si preso la prima pagina del Corriere, della Stampa, e il Tg5 delle 20. La sceneggiata sul salario minimo, lo strappo in Aula del testo di legge, era stata organizzata con cura. Lo stregone di Conte, Rocco Casalino, aveva studiato l’effetto. Il giorno prima, come fosse un questionario, Casalino chiede a comunicatori, influencer, cosa ne pensano dell’eventuale gesto. Fa in pratica dei carotaggi, dissoda il podere. Il resto umilia quel grande partito che è il Pd. Martedì, a Montecitorio, su un divano, e lo vedono tutti, si riuniscono i responsabili della comunicazione di Pd, M5s e Sinistra italiana. Si decide che il giorno seguente, durante la votazione sul salario minimo, i parlamentari d’opposizione alzeranno insieme dei cartelloni. Il giorno successivo il M5s brucia sul tempo i deputati del Pd, e occupa i banchi del governo. Il Pd se n’è lamentato con il M5s e ha pure recitato la parte del partito fesso: “Che colpa abbiamo noi se i deputati del Movimento sono più veloci di quelli del Pd?”.  Quanto si racconta è la prima vera Caporetto di Schlein, ma è anche la prima volta che l’opposizione buca lo schermo. A bucarlo è però Conte.

 

Il voto sul salario minimo è a suo modo un passaggio di testimone a sinistra. Il Pd avrebbe potuto mettere in gioco tutta la sua sapienza parlamentare. Avrebbe potuto ostruire il cammino della legge con la tecnica degli ordini del giorno. Ma nel Pd di Schlein si preferisce svapare e chiamare i giornalisti per il “punto stampa”. Si tratta di piccoli dettatelli che la segretaria offre mentre Conte rilascia un’intervista da 140 righe ai giornali progressisti, quelli che Schlein crede di aver dalla sua dopo aver passato qualche notizia di prima mano.

 

Per cominciare sarebbe bastato dire che il Pd, al momento del voto, era il partito d’opposizione che è rimasto più tempo in Aula. Molti del M5s dopo la sceneggiata si sono dileguati. Se invece, e davvero, si sarebbe voluto fare opposizione a Meloni, sarebbe bastato a un buon capogruppo guardare l’emiciclo e rendersi conto che servivano solo 160 voti, voti alla portata, per mandare sotto il governo. Non se ne accorge chi dovrebbe, anche perché la segreteria di Schlein, un bus hippie della Volkswagen, è troppo presa dalla ricerca di un federatore. Da giorni è scattata la gara a chi dovrebbe unire il centrosinistra e l’unico che si sganascia dalle risate è Conte.

 

Ha turlupinato Schlein in Sardegna, sta replicando in Basilicata e si prepara a farlo a Firenze città, alle comunali. Si è fatto dare un’isola e le ha firmato un assegno scoperto. Quando Schlein è andata a trattare la candidatura unitaria in Sardegna ha lasciato che Conte facesse il nome di Alessandra Todde. Ha provocato una frattura dolorosa nel Pd sardo, e con Renato Soru, ma non si è fatta offrire neppure un baccalà alla Luciana, l’assicurazione di una candidatura targata Pd per la Basilicata. E’ la regione dell’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, leader di Articolo 1, ed è un altro che ha giocato al piccolo chimico come Schlein. E’ stato Speranza a indicare come candidato il civico Angelo Chiorazzo e ha garantito a Schlein che su Chiorazzo ci sarebbe stata l’adesione di Conte. Quando Conte è andato in Basilicata, pochi giorni fa, insieme a Speranza, per vagliare la candidatura civica, si è accorto che il M5s locale non l’avrebbe seguito e l’ha fatta saltare.

 

Ma Conte è un uomo di maniere. Suggerisce ora a Speranza: “Perché non ti candidi  al suo posto?”. Speranza che in Basilicata teme di perdere, e che infatti è stato eletto nel collegio Campania 1, con i voti di Vincenzo De Luca, non vuole correre. E anche questa è un’altra straordinaria vittoria di Conte. Ha stroncato sul nascere un candidato indicato dal Pd ma lo ha fatto offrendo la candidatura a uno che dovrebbe aiutare il Pd a prendere i voti che intercetta lui. I deputati del Pd hanno spiegato a Schlein che in Basilicata una soluzione potrebbe essere l’ex ministra Luciana Lamorgese, ma la segretaria non l’ha chiamata. Replica lo schema Gentiloni. Dopo averlo snobbato per mesi, lo invita alla contromanifestazione di Atreju, insieme a Romano Prodi che resta sempre un possibile “federatore” perché, e lo dicono i passeggeri del bus Volkswagen, “alla fine anche Biden ha 81 anni e forse si ricandida. Perché non Prodi?”. Per trovare questo federatore, Schlein sta facendo il giro delle sette chiese. La la frase non è letterale. Si è buttata sul cattolicesimo. Avrebbe chiesto al fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, uno che dalla sinistra riceve mediamente più inviti di quanti ne riceve Tylor Swift a uscire la sera, se abbia voglia di provarci. L’altro nome, quello vero, che avrebbe individuato, è Rosy Bindi, il nome migliore per provocare una nuova crisi dei missili, come quella di Cuba, tra il Pd hippie e Vincenzo De Luca. Il primo di questi, Gentiloni, sempre sulla Stampa, l’ha già bocciata dicendole che sul mercato tutelato ha detto una sciocchezza. Prodi ha già le muffole come Sanders. Riccardi con Conte ci dialogava quando Schlein occupava le sezioni del Pd di Bologna. In dieci mesi da segretaria del Pd, la più giovane di sempre, è in pratica riuscita a riportare il Pd alla sua terza età, quota 100, a risollevare un leader. Lei pensa a chi federa, lui invece si sfodera. E’ Conte che ringiovanisce mentre Schlein incanutisce.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio