l'editoriale del direttore
Elogio del sovranismo che annienta se stesso
Proteggere gli stati cedendo sovranità. Il Patto di stabilità aiuterà Meloni a rottamare nuovi slogan nazionalisti
I dettagli sono importanti, la ciccia ancora di più. Mario Draghi ci manca molto, tantissimo, lo sogniamo anche di notte e sarebbe un sogno averlo un domani alla guida della Commissione europea, come suggerito ieri da Repubblica. Ma fino a che i suoi successori continueranno a comportarsi come degli inflessibili tecnocrati sulle partite che contano, come degli accaniti europeisti sulle decisioni che pesano e come degli accesi antisovranisti sulle scelte che incidono, fino a che continueranno insomma a muoversi più da Fratelli di Draghi che da Fratelli d’Italia, la nostalgia per il nostro eroe non sarà così snervante da non permetterci di dormire sonni tranquilli.
Prendete, per esempio, quello che sta succedendo in queste ore sul dossier più delicato che esiste in questo momento in Europa: il futuro del Patto di stabilità. Se non avete capito nulla sul tema non vi preoccupate, ecco per voi un piccolo bignamino sul tema, per capire l’enormità di quello che vi è in ballo. Prima della pandemia, dai tempi del trattato di Maastricht, le regole europee erano quelle che conoscete. Nessun paese può avere un deficit superiore al 3 per cento del pil e un debito superiore al 60 per cento del pil e più un paese sceglie di non rispettare le regole e più sarà sanzionato dall’Europa attraverso l’utilizzo di procedure di infrazione o altri strumenti più invasivi salvo casi specifici di flessibilità concessi dell’Ue. Con la pandemia i patti, che già prima erano sempre meno rispettati, sono saltati, i debiti sono aumentati e prima di consentire alle vecchie regole di tornare in vigore i paesi dell’Unione europea stanno discutendo quale delle due strade imboccare. La prima strada è quella sponsorizzata dalla Francia: i paesi eccessivamente indebitati sottoscrivono un accordo con la Commissione per prevedere un piano di rientro su base pluriennale garantito da un meccanismo simile a quello in vigore oggi sul Pnrr (copertura dell’Europa a fronte di impegni chiari del paese).
La seconda strada è quella sponsorizzata dalla Germania che, al modello suggerito dalla Francia ha aggiunto un dettaglio in più: oltre a fissare una data entro la quale riportare il debito su un sentiero di sostenibilità, i paesi che entrano in questo meccanismo devono anche ridurre il debito costantemente di un minimo prestabilito ogni anno. Accanto a questi meccanismi vi sono delle richieste in più che saranno al centro del nuovo Patto di stabilità e che permetteranno a paesi come l’Italia di poter affermare di aver vinto una partita in cui invece non hanno neanche giocato (lo scorporo dal bilancio pubblico per esempio degli investimenti sulla difesa). Ma al di là dei dettagli, ovviamente importanti, il punto poco evidenziato del grande risiko europeo sul futuro del Patto di stabilità è politico prima ancora che economico. Quale che sia il modello che verrà scelto per il sovranismo europeo sarà un successo clamoroso e per il nazionalismo anti europeista sarà invece un insuccesso senza precedenti. Da una parte, ovviamente, conterà sempre di più la valutazione dei mercati (l’Europa può preoccuparsi di indicare ai paesi indebitati cosa fare per essere meno indebitati ma ciò che conterà davvero sarà il tipo di affidabilità che i paesi indebitati mostreranno dinanzi a coloro che devono comprare il debito pubblico). Dall’altra parte, e qui forse c’è la vera ciccia, vi è un punto ancora più importante: trasferendo il potere di controllo sul debito alla Commissione, e legando la riduzione del debito a un patto con l’Europa fatto di riforme, vincoli alla spesa e benefici sul modello del Pnrr, i paesi membri mettono nelle mani dell’Europa un potere nuovo, la gestione della politica di bilancio, che nessuno aveva finora avuto il coraggio di trasferirle, aprendo di fatto la strada a un ruolo molto più forte della dimensione europea all’interno delle politiche economiche nazionali.
Nei fatti, si opta per una cessione di sovranità nazionale sulla politica di bilancio per avere dalla propria parte il sostegno dell’Europa in caso di difficoltà (modello Pnrr). E non sfuggirà che per l’Italia governata dai post nazionalisti accettare un simile meccanismo rappresenta un passaggio clamoroso e certifica una consapevolezza maturata anche nella testa degli euroscettici: in tv, nei talk, sui social si può tranquillamente continuare a mostrare il muscolo populista, ma quando il gioco si fa serio, e si fa anche duro, non si può non ammettere che in un mondo dominato dai giganti meglio affrontare i problemi affidandosi un po’ meno meno al sovranismo nazionalista e un po’ più al sovranismo europeista. E fino a che in Italia saranno i populisti di un tempo a combattere il populismo che hanno loro stessi alimentato – vincolandosi all’Europa attraverso il Pnrr, cedendo all’Europa sovranità sul debito con il nuovo Patto di stabilità, privatizzando ciò che avrebbero voluto continuare a nazionalizzare come Mps, vendendo all’estero ciò che avrebbero desiderato rimanesse italiano come Ita, affidando a fondi stranieri ciò che avrebbero voluto affidare a fondi nazionali come Tim e arrivando a un passo ormai dal baciare la pantofola anche del cattivissimo Mes – noi potremo continuare a sognare il nostro beniamino (anche perché a differenza dei suoi successori spesso indicava una direzione, dettava la linea, costruiva intese, trascinava paesi lontani sulle sue posizioni e forse lo avrebbe fatto anche sul Patto di stabilità). Ma allo stesso tempo dovremmo anche ammettere che la trasformazione dei fratelli d’Italia nei fratellini di Draghi mette di buon umore e anche se non è una buona notizia per i sovranisti è certamente un’ottima notizia per l’Italia. I dettagli sono importanti, la ciccia ancora di più.