L'editoriale
Che peccato invitare Musk e non prenderlo sul serio sul più bello
Il patron di Tesla e X è diventato un modello per la destra italiana più per quello che dice che per quello che fa. Sarebbe più utile il contrario in un paese che arranca sul piano di ricerca e sviluppo e per un governo che non conosce la parola innovazione
Trasformiamo Musk in un mito, ma vietiamo Uber. Trasformiamo Musk in un modello, ma abbiamo paura di Ryanair. Trasformiamo Musk in un simbolo, ma abbiamo paura della carne sintetica. Cos’è che non torna? Come avrete probabilmente visto, l’uomo più ricco del mondo, il miliardario più famoso del pianeta, l’innovatore più chiacchierato del globo terracqueo è stato sabato scorso ad Atreju, alla festa dei giovani di Fratelli d’Italia, dinanzi a Giorgia Meloni, a discutere di futuro, di demografia, di imprenditoria e anche di innovazione. E’ una splendida notizia sapere che Elon Musk, di lui parliamo, considera l’Italia un posto accogliente non solo per eventuali sfide di arti marziali al Colosseo insieme con Mark Zuckerberg (il ministro Gennaro Sangiuliano, detto Giuliano Sangennaro dagli amici del Tg2, è pronto a officiare il duello anche domattina) ma anche per dialogare con i principali volti della destra italiana. Sarebbe ancora più interessante però se la prossima volta Musk venisse invitato in Italia non solo per spendere il suo tempo ma anche per spendere un granello del suo patrimonio aziendale.
Quando Musk viene in Italia, di solito, chiacchiera che è una meraviglia. Quando va in Germania, lo avrete notato, Musk però chiacchiera poco e agisce molto. Lo ha fatto un anno e mezzo fa, per esempio, quando ha scelto di investire una cifra vicina ai sette miliardi di dollari per aprire una Gigafactory a Berlino, per arrivare a produrre fino a milione di auto elettriche all’anno dando lavoro a circa 12 mila persone. E presto lo farà anche in un altro paese europeo, se è vero, come ha lasciato intendere lo stesso Musk, che Tesla è in trattative da mesi con il governo spagnolo e con quello francese per aprire un nuovo impianto europeo dedicato alle auto elettriche. Sarebbe stato bello sentir dire ad Atreju che il prossimo grande investimento di Tesla in Europa sarà in Italia. Ma il problema che ha la destra italiana quando si confronta con il modello Musk è quello di aver trasformato l’inventore di Tesla in un modello assoluto del pensiero conservatore più per quello che Musk dice che per quello che Musk fa. Sarebbe utile invertire i termini, cambiare prospettiva e fare di Musk lo specchio di tutto quello che oggi manca all’Italia per spiccare il volo, per essere all’altezza delle sfide del presente e per essere un paese desideroso di competere con i grandi del mondo nel settore dove invece oggi fa più fatica: l’innovazione. Per il governo Meloni, investire sull’innovazione non è purtroppo una priorità assoluta e non c’è una sola traccia lasciata sul terreno di gioco dalla maggioranza di centrodestra che faccia sospettare che il tema sia considerato una priorità dalla presidente del Consiglio. Non è una priorità la tecnologia pubblica. Non è una priorità l’intelligenza artificiale. Non è una priorità far sentire le multinazionali a casa quando operano in Italia. Non è una priorità considerare come vera tutela del made in Italy non il generico e adolfoursesco “recupero delle tradizioni” ma il più concreto e elonmuskiano investimento nella robotica industriale (l’Italia è quinta al mondo tra i paesi esportatori di beni strumentali nei comparti automazione, creatività e tecnologia, con un export che vale quasi 28 miliardi di euro e un export potenziale di ulteriori 16 miliardi). E non è dunque una priorità provare a raddrizzare la traiettoria sciagurata degli investimenti dedicati all’innovazione dal nostro paese. La quota del prodotto interno lordo dedicato dall’Italia alla ricerca e allo sviluppo è, come è noto, una delle più basse d’Europa. Nel 2021, la quota destinata alla così detta R&D è stata pari all’1,4 per cento del pil. La Francia ha un punto in più (2,2 per cento).
La Germania quasi due punti in più (3,1 per cento). Gli Stati Uniti stesso livello (3,4 per cento). La media dei paesi Ocse è 2,7 per cento. La media dei paesi dell’Unione europea è pari al 2,1 per cento. E nel 2023, purtroppo, le cose non sono andate meglio e su questo punto Meloni è stata sfortunatamente molto coerente: disinteresse assoluto per l’innovazione, promessa realizzata! Una ricerca di Ernst & Young (EY) che verrà presentata nei prossimi giorni aiuta a capire la dimensione del problema. Rispetto agli investimenti relativi all’ambito tecnologico, nel 2023 la quota dedicata dall’Italia alla ricerca e allo sviluppo è scesa ancora e ha toccato quota 1 per cento del pil. Una quota distante rispetto all’obiettivo fissato dall’Unione europea (3 per cento) e particolarmente distante dalla quota raggiunta nel 2022 da Germania e Francia (3,5 per cento la prima, 2,5 la seconda). Stesso discorso, purtroppo, per gli investimenti in startup e Pmi innovative, i cui investimenti nel 2023 si sono dimezzati rispetto al 2022: un miliardo di euro contro due miliardi dell’anno precedente. Stesso discorso per i volumi di investimento in venture capital, che sono ormai una frazione (un quinto, un decimo) di quelli del Regno Unito, della Francia, della Germania e anche della Spagna. Scommettere sull’innovazione significa creare le condizioni giuste per attrarre capitali, capitalisti, innovatori e fabbriche. Significa capire che la crisi dell’auto non la si affronta costringendo un’industria automobilistica a produrre di più nel nostro paese (come vorrebbe fare Urso con Stellantis) ma la si affronta creando le condizioni affinché l’Italia possa offrire ai grandi imprenditori (come Musk) tutto ciò di cui hanno bisogno per investire, per produrre, per scommettere sul nostro paese. Significa capire che un paese che discute di intelligenza artificiale solo per parlare di vincoli, di regole e di iper regolamentazioni è un paese che ha rinunciato a progettare il suo futuro. Significa interrogarsi sul perché Intel, due anni fa, aveva promesso un investimento da 4 miliardi di euro in Italia e oggi invece tra i suoi investimenti presenti e futuri compaiono Polonia, Germania e Israele (valore degli investimenti 58 miliardi) e non più l’Italia. Significa interrogarsi su tutto questo e significa interrogarsi anche su cosa stia facendo l’Italia a favore della concorrenza, a favore delle piccole imprese, la cui crescita è direttamente proporzionale alla capacità che ha il nostro paese di essere all’avanguardia quando si parla di ricerca, sviluppo e innovazione. L’innovazione è stata il vero buco nero del governo Meloni nel 2023 e fino a quando un campione come Musk sceglierà di investire in Italia solo il suo tempo e non i suoi denari (cosa aspetta l’Italia a convincere Musk a investire quantomeno con SpaceX nel nostro paese?) il governo di centrodestra non farà altro che mostrare con chiarezza il suo tratto pericoloso: essere molto bravo a rimuovere il suo passato, essere particolarmente scarso a costruire il futuro dell’Italia. Musk, oggi, piace a destra per la sua battaglia contro il politicamente corretto. A sinistra piace per le contraddizioni che mostra a Meloni sulla surrogata (avrete visto che sabato ad Atreju Musk si è presentato con il figlio nato da utero in affitto). Nessuno che prenda sul serio Musk sul tema che conta: trasformare la globalizzazione non in uno spauracchio ma in un’opportunità per innovare. Chi comincia?
L'editoriale dell'elefantino