Il caso

"Sarebbe un errore internazionale". E Crosetto fa dietrofront sulle armi all'Ucraina per il 2024

Simone Canettieri

Il ministro voleva approvare il decreto per i rifornimenti a Kyiv nel 2024 il prossimo gennaio, poi è arrivato lo sprint di Palazzo Chigi e il provvedimento è entrato in Cdm

Sarà stata la chiacchierata con il predecessore, il dem Lorenzo Guerini, al centro del Transatlantico o la spinta del sottosegretario alla presidenza Giovanbattista Fazzolari. Oppure avrà influito  la presenza a Roma del ministro degli Esteri britannico David Cameron. Nel dubbio tutto e niente. Fatto sta che, nel volgere di pochissime ore, Guido Crosetto ha cambiato idea sulla modalità  dell’invio delle armi all’Ucraina per il 2024. E’ passato dal se ne parla a gennaio a un decreto piazzato a sorpresa in Consiglio dei ministri (assente Giorgia Meloni per “influenza”).

  
Premessa: Crosetto giornalisticamente dà sempre soddisfazioni. Enormi. Non è tipo che tira indietro il piede, e può permetterselo vista la sagoma non proprio da abatino francescano. Anzi: ha l’iperbole in tasca, il fondatore di Fratelli d’Italia. Nonché la capacità di spaziare, a volo d’uccello, un po’ su tutto. Un anno fa, da due mesi al governo, parlò di “machete” da usare contro i mandarini della burocrazia che dicono sempre no. E ieri mattina, invece, stava alla Camera per rispondere ancora una volta di un’intervista rilasciata quasi un mese fa al Corriere sulle “derive antigovernative di una parte della magistratura”. Affiancato dal Guardasigilli Carlo Nordio, il titolare della Difesa si è preso la briga di denunciare “alcune tendenze che vedo emergere, non in modo carbonaro ma in modo molto evidente”. Nel ribadire la centralità del Parlamento nel rapporto con la magistratura, Crosetto ha chiuso la faccenda – si fa per dire – auspicando un “tavolo di pace” con le toghe. Perché “noi non possiamo aver portato avanti questo scontro dal 1994 a oggi, senza riportare la discussione all’interno di quest’Aula che è il luogo, secondo quanto stabilisce la Costituzione, dove le regole vengono fatte e dove il popolo trova la sua sostanziale rappresentanza”. Seguiranno dibattiti e conclusioni. La giornata è di quelle particolari per Crosetto. Si è svegliato con l’inchiesta del Fatto sulla casa che gli ha affittato un amico imprenditore della cybersicurezza (con commesse anche con il governo). Una di quelle cose comunque antipatiche e che si prestano agli attacchi. E poi soprattutto è atteso dal Copasir nel pomeriggio per illustrare l’ottavo pacchetto di aiuti militari pronto a partire per l’Ucraina (l’atto è un decreto interministeriale ed è scudato da una norma, un Dl, che però scade il 31 dicembre). Alle agenzie di stampa che gli domandano cosa succederà dall’anno prossimo, il titolare della Difesa dice testualmente: “Dipende dai tempi e dall’intasamento del Parlamento. Siccome non è una cosa urgente, io vorrei passasse per il dibattito parlamentare senza scorciatoie”. Sui tempi ipotizza “gennaio, quando ci sarà spazio e il lavoro del Parlamento sarà smaltito”. 

 
Sono parole che ai più sembrano normali e di buon senso, ma che a Palazzo Chigi per esempio fanno scattare un allarme rosso. Far scadere il decreto 2023 senza una precedente proroga per il 2024 sarebbe “un segnale internazionale” nei confronti dell’Ucraina. Che si presterebbe a un’estensione del concetto di stanchezza dell’Italia verso la guerra e che comunque avrebbe l’effetto pratico di lasciare Zelensky senza una copertura per qualche mese, magari in balìa di un dibattito parlamentare dall’esito non ponderabile. Anche perché va ricordato che sull’invasione russa ci sono da sempre diversi colpi di tosse nella maggioranza. Viene in mente la Lega di Salvini. Sapete quante sono state le dichiarazioni del leader del Carroccio sullo storico via libera del Consiglio europeo ai negoziati per l’adesione nella Ue di Kyiv? Zero. Ecco perché qualcuno dovrà aver consigliato a Crosetto di non temporeggiare. Magari la premier con il filo di voce che si ritrovava per via di un’influenza che fa interrogare il Parlamento sul Covid (“se l’è beccato anche Olaf Scholz, il cancelliere tedesco con il quale ha condiviso un ravvicinato vertice con Macron mercoledì a Bruxelles: speriamo bene!”, dicono i parlamentari di Fdi, premurosi fino all’ossessione medica verso la Capa, oggi attesa al Quirinale per il saluto con le alte cariche). Magari un consiglio glielo avrà dato anche Guerini, che è stato il suo predecessore, ma che è anche il presidente del Copasir, organismo che nel pomeriggio avrebbe audito Crosetto sul soddisfacente ottavo invio di armi, sfruculiandolo anche sul futuro. Alla fine, a sorpresa ma con una certa spinta, è arrivato il decreto 2024 per l’Ucraina. E’ uguale ai precedenti: al primo di Draghi e al primo di Meloni. Il Cdm, presieduto da Antonio Tajani, ha approvato su iniziativa dei ministeri della Difesa, degli Esteri e dell’Economia la proroga di un anno alla fornitura di armi a Zelensky. Non era scontato nei tempi e nei modi. Nella galleria dei fumatori della Camera i leghisti mettono su il broncio, ma lasciano il tempo che trovano. Un no alla conversione del decreto farebbe scoppiare la guerra non a Kyiv, dove già c’è, ma nel governo.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.