Il caso
Il Patto indigesto e la competizione con Salvini: così è il nato di blitz di Meloni sul Mes. All'insaputa del Colle
Mercoledì la riunione per pianificare la strategia. Il Quirinale rimane all'oscuro, l'amarezza dell'europesista Mattarella: da soli non si va da nessuna parte
“Allora si va dritti”. L’ordine arriva da un salotto di un appartamento a sud di Roma. Da dove un’influenzata Giorgia Meloni continua a gestire il governo. La chiamata arriva di prima mattina a Ylenja Lucaselli, deputata di Fratelli d’Italia tendenza Fazzolari come l’inseparabile collega Francesco Filini. Il blitz è stato pianificato 24 ore prima, c’è solo da accendere l’innesco. Meloni chiama al telefono la parlamentare relatrice del provvedimento sul Mes in commissione Bilancio. Partirà così la rumba che porterà alla bocciatura dell’Aula intorno all’ora di pranzo. Meloni ha fatto diametralmente l’opposto di quanto aveva detto venerdì scorso sotto la “lanterna” del Palazzo Europa di Bruxelles, al termine del Consiglio europeo. Sul Patto di stabilità diceva, e faceva filtrare, che l’Italia era a favore di uno slittamento e quindi di un veto tecnico durante l’inusuale riunione in video collegamento dell’Ecofin. E quanto al Mes la linea della famosa logica a pacchetto era di aspettare il Patto per poi approvarne la ratifica. E’ accaduto il contrario. Una clamorosa inversione a U, di quelle che lasciano le tracce degli pneumatici sull’asfalto. Ne sa qualcosa anche Giancarlo Giorgetti.
La mossa di Meloni poggia sulla tattica parlamentare dei numeri: sa che Giuseppe Conte è contrario al Mes, ma non si fida e quindi, numeri alla mano, consapevole di avere dalla sua tutta la Lega, mette in allerta anche quattro ministri-deputati pronti a entrare in Aula per affossare il Meccanismo europeo di stabilità. Non servirà lo si capisce dopo il pirotecnico show del leader grillino che annuncia il “no” dei pentastellati, partito che firmò il trattato. La premier annusava l’aria da 24 ore. Quando capisce che non ha margini per arginare il pressing di Macron e Scholz sul Patto. E così riunisce i leader del centrodestra, ciascuno portatore di ipotetici problemi: Matteo Salvini che ha già dato segnali di voler far saltare il Mes, Antonio Tajani che da leader di Forza Italia ed esponente dei Popolari si trova un problema grande come una casa. Gli azzurri si astengono: certificando la fine della maggioranza Ursula che a Bruxelles sulle scelte importanti aveva continuato a sopravvivere.
Alla riunione di mercoledì prendono parte anche Giancarlo Giorgetti, vaso di coccio tra i vasi di ferro, e Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario e custode dell’ortodossia di Fratelli d’ Italia: anni e anni di propaganda anti Mes. Meloni si trova dunque in un certo senso circondata: in Europa sa che ne uscirà male come reputazione dopo un balletto che andava avanti da mesi e in Italia certo ha il problema del partito fondato da Berlusconi che non si prende però lo spavento di aprire una crisi di governo. Come in altri tempi sarebbe stato normale. Il capogruppo di FI Paolo Barelli spiegherà ai deputati l’accelerazione di Meloni e Salvini citando il film “Gioventù bruciata” con la corsa delle auto e la scommessa a chi si ferma per ultimo vicino al precipizio.
Per calcoli politici, mediatici e di sfida interna tra sovranismi prende forma così l’operazione. La riunione fatale di mercoledì vede le seguenti posizioni: Salvini vuole subito il no, Giorgetti è per il sì per una questione di credibilità internazionale (andrebbero raccolte tutte le dichiarazioni del ministro dell’Economia con un’avvertenza: vanno lette sempre al contrario). Meloni e Fazzolari sigillano la maggioranza ascoltando il richiamo della foresta e dando la linea: il nuovo Mes, al contrario di Misery di Stephen King, deve morire.
Sergio Mattarella non viene avvisato di questa scelta. Dalle parti del Quirinale si registra una certa freddezza che arriva a toccare vette di amarezza. Chi ha in mente i discorsi di questi anni del Capo dello stato, europeista convinto, sa che più volte ha ripetuto che l’Italia non può andare da sola, che vince sempre il multilateralismo, che il Mes come l’unione bancaria sono sfide comuni. Tuttavia Meloni va dritta: piegarsi al Patto e far cadere il totem del Mes sarebbe stato troppo.
Da Palazzo Chigi minimizzano la portata di questa scelta. Definiscono il no “un’integrazione di relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente”. Addirittura si spingono a dire che il no “alla ratifica può essere l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all’intera Eurozona”. C’è un dato: a distanza di 36 ore nessuno dal governo ha spiegato il sì dell’Italia al Patto di stabilità. A partire dalla coppia Giorgetti-Meloni.