La manovra
Giorgetti rivendica il Patto di stabilità ma più che l'Europa ad angosciarlo è Forza Italia
In commissione Bilancio invoca rigore, se la prende con chi lo sprona a fare più debito (la sua maggioranza). Tajani non molla e chiede ancora un provvedimento ponte
Uno così è capace di dire: mi chiamo Giancarlo Giorgetti, a volte. Da ministro dell’Economia si presenta in commissione Bilancio e dice che il Patto di stabilità è “un successo”, poi “un compromesso”, e che però con le regole nuove “abbiamo introdotto il caos totale”. Aggiunge che lui non ha mai dichiarato, in Europa, che “l’Italia avrebbe ratificato il Mes”. Alla domanda di Cecilia Guerra, del Pd, che gli chiede se ritiene il nuovo Patto un passo indietro rispetto alla proposta iniziale, uno dei Giorgetti dichiara che “probabilmente sì”, ma io sono “abituato a dire sempre la verità”. Spiega che l’Italia ha un problema serio di stupefacenti perché “da quattro anni, la discussione italiana sul Patto è viziata dalle allucinazioni psichedeliche, dato che si è creduto che potevamo fare debito e scostamento”. Il debito sarebbe dunque “Lsd a cui ci siamo assuefatti”, mentre il Superbonus continua ad avere “effetti radioattivi” ma “non ci saranno manovre aggiuntive”. Se non fosse il ministro di un governo di destra sarebbe perfetto alla direzione del Sole 24 ore. Al Mef raccontano che volesse rivolgersi alla Lega, a FdI e in particolare a Forza Italia per annunciare che “un’epoca è finita”. In Cdm, oggi, Tajani chiede di ricevere un’ultima “pasticca” di Superbonus. Il mezzo Giorgetti è dunque ancora tutto intero.
Quando si è saputo che avrebbe parlato in Commissione e che avrebbe risposto alle domande (quella di Luigi Marattin, sullo scorporo degli investimenti per il settore Difesa, l’ha elusa) si sono precipitati ad ascoltarlo Giovanni Donzelli, di FdI, e Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera. La Commissione sembrava una cartiera. C’erano almeno quaranta fascicoloni sul tavolo ed erano tutti di manovra, una manovra che di fatto è inemendabile perché, come racconta Roberta Pella, di FI, “basta muovere una sola leva e cade tutto. Si rischia sul serio l’esercizio provvisorio”. Insieme a Giorgetti c’era il sottosegretario Federico Freni, il ministro dell’adagietto di Mahler, a cui andrebbe affidata tutta la scuola di formazione della Lega. Il presidente della commissione, Mangialavori, anche solo per come imponeva il rispetto del tempo ai deputati, si candida di fatto ad avere un talk su Mediaset. Ci sarebbe troppo da scrivere su Giorgetti a cominciare dal fatto che si è perso il conto dei suoi distinguo. C’è tuttavia un episodio singolare. Quando gli hanno domandato se la svolta sul Mes sia stata dettata dall’interlocuzione tra Meloni e il senatore Borghi, Giorgetti, anziché prenderla come provocazione, ha risposto “che lui questo non può saperlo”. Per più di quaranta minuti ha ripetuto che “l’impianto della manovra resta quello originario” e che “lui la responsabilità sul Patto se la prende per intero”. Ce l’aveva con chi gli suggeriva di mettere il veto, ma non erano forse i suoi compagni di maggioranza? E non sono ancora, sempre, i suoi a chiedere di prorogare il Superbonus i cui numeri, anticipava Giorgetti (“io so qual è il limite e lo dirò”) sono peggiori di quanto stimato nella Nadef? Oggi in Cdm Forza Italia farà ancora pressione. Si studia un provvedimento per consentire a chi ha effettuato lavori fino al 70 per cento di non perdere i crediti d’imposta. Sarebbe un modo per permettere a FI di vendersi qualcosa alle prossime europee. Ma non è una proroga. Meloni, ancora influenzata, ha intanto rimandato la conferenza di fine anno e l’annuncio della sua candidatura europea. Al momento il lessico è questo: cimurro, assuefazione, allucinazioni. Più che un governo sembra di stare in farmacia.