L'intervista

Fini: "Meloni abile e preparata, ma ora apra FdI e sia più liberale sui diritti civili"

Simone Canettieri

Il fondatore di Alleanza Nazionale al Foglio: "Quando ero presidente di An cacciammo Pozzolo perché era un estremista verbale. Giorgia non ha bisogno di un'altra Fiuggi, ma di allargare sì, stando attenta agli opportunisti" 

Presidente Fini, le è piaciuta Giorgia Meloni in conferenza stampa?

“Mi sembra che abbia fatto una buona prova. Sicuramente ha dimostrato di essere preparata, ha risposto in modo preciso alle domande. E’ stata abile su un’eventuale Ursula bis dividendolo le alleanze in Parlamento dalle scelte della Commissione, ma anche sull’intelligenza artificiale”.

I Pozzolo d’Italia sono i suoi nipotini?

Risata. “Ma per favore! Anzi, quel tizio, quando ero presidente di An, lo allontanammo, senza nemmeno espellerlo, dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale. Il suo caso non finì sulla mia scrivania, ma se ne occupò Donato Lamorte, capo della mia segreteria politica. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare”.

Peccato che sia rientrato dalla finestra. In Fratelli d’Italia. Le poniamo allora le stesse domande fatte alla premier in conferenza stampa: c’è un problema diffuso di classe dirigente dentro FdI?

“C’è sempre quel vecchio proverbio dell’albero che quando cade fa più rumore della foresta che cresce. Tra il goliardico e l’approssimativo i casi sono pochi. I parlamentari di Meloni sono circa 150: finora quelli, diciamo, irregolari saranno cinque o sei”.

Gianfranco Fini, 72 anni, padre della destra italiana di governo (con epilogo non felicissimo), fondatore di An, ministro, vicepremier e presidente della Camera. Fini l’uomo di ghiaccio, ma fumantino come le sue bionde (nel senso delle sigarette). A seconda delle fasi nel primo anno del governo Meloni è stato consigliere, esegeta, ma a un certo punto anche fastidioso grillo parlante (ad ascoltare certe reazioni piccate della nouvelle vague).

Fini, lei è l’uomo della svolta di Fiuggi. Ne serve un’altra anche per Meloni?

“Auspico che la destra italiana sia sempre più convinta dell’irreversibilità di alcune scelte, non solo sull’atlantismo, nonostante la variante preoccupante di un ritorno di Trump, ma anche sull’europeismo, propositivo e non passivo”.

Meloni deve aprirsi dopo le europee lanciando il partito unico dei conservatori?

“La mia svolta di Fiuggi nacque dalla volontà di ridefinire i valori culturali della destra, ma anche per disporre della collaborazione di quegli elettori che a partire dalle comunali di Roma, nel ‘93, ci segnalarono l’inizio di un nuovo mondo: la Dc si era sciolta. Meloni, invece, è già arrivata al 30 per cento. Ora si tratta di rendere questo voto non solo un elemento di forza nei confronti della sinistra, ma di disporre della collaborazione della cosiddetta società civile. Ma con attenzione. Se lo ricorda Montanelli cosa diceva a proposito del salto sul carro del vincitore?”.

Che gli italiani alle Olimpiadi di questa disciplina vincerebbero la medaglia d’oro, ma anche quelle di argento e di bronzo.

“Esatto, Montanelli ci vedeva lungo. Quindi occorre fare attenzione”. Insistiamo: nuova Fiuggi per Meloni? “Non spetta a me dirlo. Di sicuro vanno aperte le porte, servono energie nuove stando accorti alle persone, verificandone gli intendimenti politici”. 


Riprende Gianfranco Fini parlando con il Foglio: “Tuttavia certi processi sono irreversibili. Il brand è lei e le europee lo confermeranno. Il che non vuole dire che non debba migliorare la sua classe dirigente, ma Giorgia non ha fretta né bisogno di strappi repentini. Deve essere più liberale, questo sì, a partire dai diritti”.


Fini scriverà Meloni sulla scheda delle europee?

“Non so se Giorgia si candiderà alla fine, la riflessione sul non sottrarre tempo al governo l’ho trovata saggia, soprattutto in un paese in perenne campagna elettorale come il nostro”.

Lei che la conosce da oltre venti anni e che ha frequentato con una certa assiduità, diciamo, il Palazzo ci spiega con chi ce l’aveva Meloni quando ha agitato di nuovo il complotto dei poteri e delle manine in azione?

“Non l’ho compreso nemmeno io, a dire il vero. E alla mia età non faccio dietrologie. Non so con chi ce l’avesse. Secondo me non è un aspetto rilevante. Se ci fossero cose gravi, immagino che saprebbe come muoversi e soprattutto a chi rivolgersi. Siamo seri”.

Quanti Pozzolo ha cacciato quando ha fondato An?

“Allora, non tanti perché tutto un armamentario nostalgico si staccò prima, non ci seguì. Ricordo i miei amici che mi davano del traditore. Altri tempi, che ricordi. Ma all’epoca avevamo la presunzione di uscire dalla casa del padre senza farne mai più ritorno”.

Meloni deve archiviare la fiamma dal simbolo?

“La fiamma è simbologia: non è un dibattito risibile, ma è riduttivo da fare sui social”. Facciamolo qui, sul giornale, infatti. “Di sicuro il simbolo è un biglietto da visita di un progetto. E adesso credo che vada definito il progetto di destra di governo”.

Quindi non ci sarebbe alcun dramma?

“Fui io a tenerla in An, ma credo che questa discussione sul simbolo vada inserita in un dibattito molto ampio senza posizioni preconcette né ideologiche”. Presidente Fini, questa è una notizia. “Sono le mie riflessioni. Come questa che le sto per dire a proposito di svolte e aperture alla società”. Prego. “Già ai miei tempi l’unica cosa che era minoritaria o che almeno non godeva di una forte attenzione nel partito erano i diritti. Registravo un certo ritardo sui diritti civili, contrapposti al ragionamento su certi valori non negoziabili. E questo ancora accade. Non voglio dire che c’è una classe dirigente reazionara, questa è la mia sensibilità. Non so però se tra gli elettori di Meloni certe sensibilità ormai abbiano preso piede. Però se rappresenti il 30 per cento degli elettori devi essere più liberale e devi capire che la scienza è sempre più avanti della politica: va più veloce. Così come la coscienza del paese che spesso distacca la politica, sorpassandola”. Sulla scienza torniamo all’intelligenza artificiale. “Le parole di Meloni le ho trovate giuste: uno zelo giustificato, ma senza fare battaglie di retroguardia”. Tirando le somme ha trovato una premier più matura dopo un anno di governo? “Allora, l’elemento che mi è apparso più evidente è legato alle difficoltà in cui si trovano l’Italia e il resto dell’occidente”. Anche sull’immigrazione sembra esserci un approccio diverso in attesa di piani Mattei, campi in Albania e soprattutto mosse dell’Europa. “Certo, credo che su un tema così enorme come quello dell’immigrazione la presunzione di fare da soli sia campata in aria. Lo dice anche qui la cronaca, nemmeno la storia. Ah, buon 2024”.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.