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Partecipate di stato

Balli in Leonardo. Cingolani contro Violante. Il dg Rai Rossi in pole per la Fondazione

Carmelo Caruso

L'ad di Leonardo vuole cambiare la natura della Fondazione, al posto dell'ex presidente della Camera, il cui mandato scade in estate, si parla del dg Rai. Scontri, uscite nell'ex Finmeccanica

A questo punto, per dirla alla Meloni, meglio “piazzarci” la sorella. Una partecipata di stato avrebbe oggi bisogno delle carezze di Arianna. La partecipata di stato  è Leonardo e la guida l’ex ministro del governo Draghi, l’ad Roberto Cingolani. Leonardo ha una fondazione che presiede Luciano Violante. Il direttore scientifico è Pietrangelo Buttafuoco. Entrambi, per ragioni diverse, stanno per lasciare. Al posto di Violante, deluso,  che si sente “maltrattato” da Cingolani, si fa ora il nome di Giampaolo Rossi, il direttore generale della Rai. Quando la premier, in conferenza stampa, ha parlato di lobby, società che hanno cercato di condizionare le nomine, ha dimenticato di dire che la più generosa, la più voluta, quella che le sta mettendo contro i più cari amici, è la sua. E’ quella di Cingolani.


Meno di un anno fa, la premier, stupendo tutti, scontentando il suo partito, e il suo ministro della Difesa,  Crosetto, ha deciso di nominare ad di Leonardo, l’ex Finmeccanica, uno scienziato dalle qualità indiscutibili come l’ex ministro del governo Draghi. Su quelle manageriali c’erano dei dubbi (solo all’inizio: nel 2023, come ha raccontato ieri il Financial Times, il valore del titolo di Leonardo in Borsa è raddoppiato). Ad affiancarlo è stato dunque nominato condirettore generale, Lorenzo Mariani, figura che da anni lavora nella difesa. Parliamo di qualcosa di complesso, di una società che, un giorno, potrebbe perfino fondersi con Fincantieri. C’è un lato industriale, un colosso che produce munizioni, difesa, tecnologie sofisticatissime, ma ce n’è un altro di natura politica. Oltre a diverse società fanno capo a Leonardo altrettante fondazioni. La Med-or è ad esempio presieduta dall’ex ministro del Pd, Marco Minniti mentre quella principale, Leonardo, è diretta da una personalità a cui Meloni deve e non poco. E’ l’ex magistrato, ex presidente della Camera, Violante, un “cosacco di Meloni”, una di quelle figure che regalano doppio blasone alla premier in ragione della sua natura di comunista e avversario. La fondazione edita una rivista. Si chiama Civiltà delle macchine e la dirige Marco Ferrante. Anche il suo mandato, come Violante, scade in estate. Il direttore scientifico della fondazione è  Buttafuoco e la sta per lasciare per andare a guidare la Biennale di Venezia. Per il ruolo di Buttafuoco è già stato individuato un sostituto. Si tratta di Antonio Castaldo, ex giornalista di Repubblica. Non c’è nulla di male salvo una partecipata dove ora vi è un ad in conflitto con il presidente della fondazione.

 

A dicembre sul Fatto Quotidiano a firma Carlo Di Foggia e Marco Palombi, viene pubblicato un articolo dove si parla per la prima volta della disputa Cingolani-Violante. E’ più una questione di modi. Violante si sarebbe sentito maltrattato, Cingolani non ha compreso quanto “vale” per Meloni, Violante. L’ad ha un piano preciso. Intende cambiare la natura della fondazione, farne una piattaforma televisiva, trasformare la rivista. Per farlo ha assunto l’ex giornalista di Sky tg 24, Helga Cossu, come responsabile delle attività di “outreach”. Il modello a cui si ispirano Cingolani e Cossu, dicono in azienda, è quello di Poste tv. Per Cossu, raggiunta dal Foglio, è tutt’altro: “Il nostro modello non ha nulla a che vedere con il modello Poste. L’idea è avere una piattaforma di divulgazione scientifica e offrire contenuti gratuiti anche per le scuole”. Per la realizzazione della piattaforma sono stati reclutati altri due giornalisti, entrambi di Repubblica. Uno è Jaime d’Alessandro e l’altro è Castaldo, un terzo è Jordan Leo Foresi, giornalista pure lui, come Cossu proveniente da Sky Tg 24. Qual è la natura della fondazione? Per Violante è un fondaco di classe dirigente e la rivista una delle più prestigiose che vengono editate in Italia. Nell’ultimo numero ha ospitato Daron Acemoglu, il più influente economista contemporaneo. La direzione di Ferrante, a fine mandato, se la contendono Foresi e D’Alessandro. L’avvicendamento, stando alle parole di Meloni in conferenza stampa, sarebbe un “riequilibrio” come in Rai. Diverso è l’uso delle forze aziendali. Nel dicembre del 2022, Leonardo, in accordo con i sindacati, attraverso prepensionamenti, ha favorito l’uscita di 400 dipendenti. Ogni pensionamento anticipato pesa sul bilancio dello stato. Chi è uscito lamenta adesso gli ingressi. Poche settimane fa si è registrata un’altra importante uscita. Riguarda Paolo Messa, già ex capo delle relazioni istituzionali, amico dell’ex presidente di Leonardo, Gianni De Gennaro. Ha deciso di sciogliere il suo contratto con Leonardo e andare via. Il vecchio partito Leonardo, rappresentato da Mariani e che viene tutelato dal Quirinale, sospetta che Cingolani voglia ora nominare condirettore Filippo Maria Grasso (aveva preso il posto di Messa) mentre il nuovo mondo di Cingolani rivendica il potere di fare pulizia, di intervenire sui “marchettifici” e di imbiancare le stanze, compresa quella di Violante.

Ha 82 anni. Prima delle vacanze di Natale, Violante  ha inoltrato un messaggio  che sapeva di addio: “Il 22 aprile 2024, la Fondazione Leonardo ricorderà i suoi primi cinque anni di lavoro. Vi aspettiamo e siamo grati verso tutti gli amici che con passione civile hanno condiviso i nostri progetti”. L’idea di sostituirlo con Rossi è più di una chiacchiera. Si conosce in Rai come in Leonardo. In Rai resterebbe ad, Roberto Sergio, e magari promosso dg Chiocci. Quando Meloni ha scelto Cingolani lo ha fatto con coraggio, mettendosi contro appunto il partito, i ministri. Al momento ci sono state due nomine che hanno fatto discutere e la premier non può dire, come ha detto in conferenza stampa, che le lobby hanno cercato di condizionarle. Una è stata quella di Giuseppina Di Foggia, ad di Terna. Ad agosto sarebbe stata convocata a Palazzo Chigi perché, senza avvisare, avrebbe licenziato due top manager. Era una comunicazione rilevante uscita prima sui giornali anziché comunicata, come necessita una società quotata, al mercato. L’altra nomina che la contrappone a un suo caro amico, come Violante, è quella di Cingolani. Sono entrambe sue decisioni, coraggiose, piene. In questi casi cosa accade? Se un ad destina pubblicità a chi è inviso al governo o se ferisce una persona cara alla premier, sarebbe interessante sapere Meloni cosa fa? Difende Cingolani o mette sotto accusa la lobby Meloni?

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio