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Le discrete manovre di Meloni per avvicinarsi a Trump: "Giorgia? Trustable"
La premier punta sul ritorno di The Donald, che le manda un messaggio di chiara affidabilità. A fare da ambasciatore il deputato di FdI Di Giuseppe che ha incontrato il Tycoon a Mar-a-Lago con il permesso di Palazzo Chigi
Per Donald Trump Giorgia Meloni è “trustable”. Una leader affidabile. Il messaggio è arrivato nelle settimane scorse da Mar-a-Lago (Florida) a Palazzo Chigi (Roma). Ed è stato registrato con una certa soddisfazione dalla premier. A fare da ambasciatore Andrea Di Giuseppe, deputato di Fratelli d’Italia residente a Miami, eletto nella circoscrizione estero dell’America centrale-settentrionale. Il parlamentare, doppio passaporto da vent’anni, è un uomo d’affari. Prima di Natale ha incontrato l’ex presidente repubblicano intenzionato a tornare alla Casa Bianca. Una visita monitorata dai vertici del governo: ne erano a conoscenza il capo di gabinetto Gaetano Caputi, il consigliere diplomatico Alessandro Cattaneo, la segretaria particolare Patrizia Scurti. Dunque anche Meloni.
La leader della destra italiana, da quando è a capo del governo, ha fatto dall’atlantismo e dei buoni rapporti con il democratico Joe Biden una stella polare. E finora ha evitato di ficcarsi nell’imminente campagna elettorale americana che a novembre arriverà a un verdetto definitivo. La domanda su un bis di Trump, dopo l’assalto al Campidoglio di tre anni fa, è stata la grande assente nella conferenza stampa dello scorso 4 gennaio. Meloni l’aveva messa in conto, era pronta a dire che il voto degli elettori va sempre rispettato, ma alla fine ha tirato un sospiro di sollievo quando si è accorta che nessuno gliel’aveva posta. Anche perché dal primo gennaio si è aperta la presidenza italiana del G7 che porterà in Puglia i grandi della terra, a partire da Biden. Meglio evitare frizioni o fraintendimenti.
Ecco perché la premier si tiene alla larga il più possibile dalle faccende elettorali americana. Tuttavia questo non significa che non le segua e che non abbia idee e suggestioni a riguardo. E’ una questione di modo: serve il massimo tatto per muoversi. Il fatto che il deputato di FdI Di Giuseppe abbia avvisato i vertici del governo italiano di questo incontro con Trump, senza ricevere una risposta negativa, indica quanto sia delicata l’intera faccenda, ma anche l’attenzione sul dossier.
Il parlamentare, cresciuto nella sezione romana dell’Msi di Sommacampagna, è un imprenditore edile di una corporation con cinquemila dipendenti sparsi in tutto il globo terracqueo e conosce Trump da venti anni, oltre a essere un suo storico sostenitore economico (leggenda narra che gli abbia anche venduto i mosaici per la catena di hotel di proprietà del magnate).
Il via libera a questo incontro da una parte non ha esposto Meloni, perché il deputato non fa parte del governo, ma dall’altra è servito alla leader a tastare il terreno. A costruire un ponte o, come direbbe lei, “a metterci una fiche”. O forse molto di più. Non a caso quando Di Giuseppe è tornato in Italia non ha mancato di relazionarla sull’incontro. Nei migliori piani di Meloni c’è l’idea, o meglio l’obiettivo, di intervenire il meno possibile anche sulle primarie dei Repubblicani che inizieranno la prossima settimana per entrare nel vivo in primavera. L’argomento viene maneggiato con estrema cautela dalle parti di Palazzo Chigi dove alberga però la convinzione che alla fine Ron DeSantis, per un momento cavallo prescelto, farà un passo indietro o comunque uscirà sconfitto da Trump, che secondo gli osservatori rischia davvero di tornare alla Casa Bianca nonostante i giganteschi guai giudiziari e le questioni politiche legate al suo ruolo nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio.
Per il momento dunque il silenzio è d’oro, e sono consentiti, come insegna l’arte della diplomazia in questi casi, solo contatti molto discreti. Anche perché a giugno ci saranno le elezioni europee che vedranno la premier impegnata a cercare di trovare un duplice accordo: in commissione per la presidenza (a trazione Popolari e Socialisti) e poi in Parlamento europeo, cercando di tenere unite le famiglie della destra, almeno i partiti più potabili.
Non solo. In vista di un’elezione che si deciderà su una manciata di milioni di voti Trump ha in testa anche il bottino dei discendenti italiani: circa 18,5 milioni di persone, da attirare attraverso le miriadi di associazioni sparse negli Usa, un network che ha bisogno di una regia. Questa è la mano che ha chiesto al deputato di Fratelli d’Italia – e dunque anche a Meloni seppur indirettamente – che dal 2022 è anche coordinatore dei presidenti intercomites degli Usa. Servono però tatto e cautela, distinguendo fin quando sarà possibile il piano politico da quello istituzionale. Nel febbraio di due anni fa, a sette mesi dalle elezioni che la incoroneranno premier, Meloni volò in Florida in qualità di presidente dei Conservatori europei alla Conservative political action conference, la conferenza politica annuale dei conservatori americani inaugurata da Ronald Reagan nel ’74 e oggi regno dei trumpiani. E fu uno sbarco scoppiettante. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia era iniziata da praticamente ventiquattro ore. Ora che ne è passato di tempo le posizioni di Trump e di Meloni su questo argomento, come su altri, sono diverse. Problemi di posizionamento che l’Italia semmai si porrà a novembre. Intanto a Palazzo Chigi gongolano per quel “trustable” pronunciato dall’uomo forte che minaccia di ritornare.