il commento
Più che dal fascista oggi tocca guardarsi dal fascistibile, di destra e di sinistra
Abbiamo coltivato il gusto di un antifascismo antiquario, filologico, cerimoniale, perché tutto sommato è rassicurante, perdendo di vista i rischi veri. Legioni di insospettabili non esitano a cavalcare le onde più nere
C’è una poesia di Eugenio Montale, “Gerarchie”, che finisce con una specie di criptico scioglilingua: “L’avvento è l’improbabile nell’avvenibile, il pulsante una pulce nel pulsabile”. Aggiungerei, come poscritto apocrifo, che il fascista è un punto nero nel fascistibile. Già, ma cos’è il fascistibile? Dubito che oggi se ne ricordi qualcuno, ma all’epoca, cinquant’anni fa, “Il fascistibile” di Giulio Castelli fu un romanzo piuttosto famoso, e negli anni Settanta il suo titolo ebbe pure qualche chance di accasarsi nell’uso giornalistico come neologismo. L’innesto lessicale, come sappiamo, non attecchì. Poco male: ci riprovo oggi, e in cambio sacrifico volentieri agli dèi della lingua due parole d’autore più fortunate ma decisamente più scemotte, ur-fascismo e fascistometro.
Non sto proponendo, badate bene, di riesumare un romanzo del 1973, che a rileggerlo oggi suona irrimediabilmente datato. Rispecchia i rovelli dei primi anni Settanta, quando l’estrema destra italiana era tutta ringalluzzita e aveva raggiunto il suo massimo risultato storico alle elezioni del 1972. Soprattutto, rispecchia quella stagione della cultura (non solo italiana) che avrebbe condannato all’inconcludenza molti dibattiti futuri, dilatando a dismisura la categoria di fascismo per vie variamente semio-socio-freudo-marxiste. “Il fascistibile” – storia di un giovane che viene ferito nel corso di una rapina e si trasforma per gradi in un esteta virilista della violenza che aspira a “sintetizzare odio e giustizia” – non era forse un gran romanzo, ma pareva tagliato su misura per diventare un buon film. Si sa che intorno al 1977 Giancarlo Giannini propose a Elio Petri di ricavarne qualcosa, e che l’adattamento fu scritto nientemeno da Anthony Burgess, che all’epoca viveva in Italia; un secondo copione illustre lo curò nel 1980 il drammaturgo David Hare, ma anche quella volta non se ne fece niente.
Mi sono perso. Perché voglio impiantare nuovamente, nemmeno fosse un embrione congelato, un neologismo sfortunato di mezzo secolo fa? Ah, ecco: perché il fascistibile è il fascista possibile, il fascista potenziale. E’ colui che quando si allineano certi pianeti – politici, ideologici, culturali, esistenziali – non avrà remore a voltare le spalle alla democrazia parlamentare e a far causa comune con i suoi nemici. Se la mettiamo su questo piano, cercando di stanare non tanto il fascista in atto quanto il fascista in potenza, non il fascista ma il fascistibile, la faccenda diventa più indeterminata ma al tempo stesso anche più inquietante. Il guaio – gli strascichi soporiferi di Acca Larentia lo hanno mostrato per l’ennesima volta – è che abbiamo coltivato il gusto di un antifascismo antiquario, filologico, cerimoniale, perché tutto sommato è rassicurante cercare simboli d’appartenenza ben identificati nei luoghi deprimenti in cui sappiamo già di trovarli – ossia tra i raduni dei fascisti antiquari, filologici, cerimoniali. Ma i fatti degli ultimi tempi – specie i tredici mesi dell’incubo gialloverde – dovrebbero averci insegnato una cosa: che quando si allineano i pianeti (e i pianeti si stavano in effetti allineando, qualche anno fa), ci sono legioni di insospettabili, accanto ai sospettabilissimi, che non esitano a cavalcare le onde più nere. Ne abbiamo visti moltissimi all’opera, a destra, a sinistra e soprattutto nella voragine del nullismo grillino, moltissimi che poi sono tornati diligentemente e opportunisticamente all’ovile democratico. Ora gli astri – specie gli astri internazionali – non si trovano più in quella congiunzione nefasta; ma come ha ricordato Angelo Panebianco sul Corriere di mercoledì, questa condizione di relativa sicurezza non è destinata a durare in eterno. Si ripresenteranno presto o tardi fasi in cui diventerà conveniente assediare il Parlamento, bullizzare il presidente della Repubblica, ricattare gli istituti di garanzia, dedicarsi allo squadrismo mediatico contro i nemici, andare a corte col cappello in mano e il piattino in bocca dai fascisti di mezzo mondo – insomma, tutte le belle cose che i leghisti e i loro compari grillini (ma certo non solo loro) hanno praticato in combutta nelle istituzioni, nel giornalismo, nella cultura. Quando questo accadrà, sarà utile aver fatto la conta non già dei fascisti, ma dei fascistibili. E’ una conta in parte congetturale, ma politicamente necessaria. L’ultimo voto sull’Ucraina è un buon indizio.
I fascisti in atto esistono, alcuni sciaguratamente orbitano intorno all’area di governo, e si riconoscono a occhio nudo perché sono in una fase di coming out generale, pronti a tirar fuori dall’armadio i parafernalia del Mussolini Pride e a far baldoria nelle strade. Ma la regione della fascistibilità è purtroppo molto più vasta e seminata di insidie. Il pulsante è una pulce nel pulsabile, e il fascista un punto nero nel fascistibile.
La prossima Commissione