il girotondo
Meloni tra Trump e Biden. C'eravamo tanto amati, ma adesso?
Giorgia Meloni è sempre “trustable” per Trump. A lei però, ora che è premier e che ha buoni rapporti con Biden, conviene coltivare l’antica affinità con l’ex presidente che si vede di nuovo alla Casa Bianca? Girotondo di analisi e commenti
C’è tempo. Ma anche no – dipende dai punti di vista. Alle elezioni presidenziali americane mancano poco più di dieci mesi, a quelle europee poco meno di sei. Eppure è come se il futuro fosse già qui, a giudicare dagli sguardi che partono da Palazzo Chigi e piombano oltreoceano, dove l’ex presidente Donald Trump, dato per politicamente defunto prima di averlo nel sacco, si è ripresentato sulla scena con toni arrembanti, tuonando anche a distanza quando i due rivali interni al fronte repubblicano – Nikki Haley e Ron DeSantis – si sfidano in tv e lui, da Fox News, dice che “i mercati crolleranno” se non vincerà le elezioni. Da Roma, la premier Giorgia Meloni guarda agli Usa, in attesa di capire se a novembre l’ex presidente verrà rieletto nonostante l’assalto al Campidoglio di tre anni fa oppure no: sono in gioco equilibri internazionali e nazionali, visto il diverso ruolo ricoperto oggi da Meloni rispetto a quando, da parlamentare e leader di partito, poteva farsi vedere trumpiana a cuor leggero. Intanto Trump, come ha raccontato questo giornale, ha parlato della premier italiana come di una personalità politica “trustable”, affidabile, a colloquio con il deputato italo-americano di Fratelli d’Italia Andrea Di Giuseppe.
Conviene, a Meloni, avvicinarsi pur con discrezione al Trump che vuole il bis? Oppure – visto il forte ancoraggio della premier a un profilo atlantista (pro Nato senza esitazioni, sull’Ucraina e non solo), visti i buoni rapporti con l’attuale presidente democratico Joe Biden e visto, ultimo ma non ultimo, che si è appena aperta la presidenza italiana del G7 – è meglio per lei glissare, temporeggiare, surfare sugli eventi della campagna elettorale americana? C’è poi un altro elemento, che potrebbe consigliare a Meloni una certa prudenza: il gioco di ruoli interno con il vicepremier leghista Matteo Salvini, uno che può ancora dirsi trumpiano senza dover soppesare troppo parole e azioni. La sagoma di Trump si staglia insomma all’orizzonte del Palazzo. Con quali risvolti? Abbiamo girato la domanda a storici, politologi e osservatori.
“Nella sciagurata ipotesi di un’affermazione di Donald Trump”, dice il politologo Angelo Panebianco, “il problema non si presenterà soltanto per Giorgia Meloni, ma per tutti i leader europei – che infatti si mostrano prudentissimi, intenti quasi a trattenere il fiato. Diciamo che a Meloni ora conviene Biden, anche se magari non può dirlo. Diverso il discorso per un Salvini che potrebbe sentirsi rafforzato dal ritorno di Trump, come Marine Le Pen e altre figure della destra estrema. Non sappiamo ancora come andrà – Trump potrebbe ottenere la nomination repubblicana ma alla fine non vincere – ma il forte investimento di Meloni sulla Nato impone ora alla premier una dose aggiuntiva di prudenza”.
Alessandro Campi, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia, sottolinea una differenza importante: “I leader populisti si dividono in due grandi categorie”, dice: “Quelli che polemizzano con l’establishment – politico, economico-finanziario, burocratico – facendone parte in modo più o meno organico, tipo Berlusconi, Macron o Trump. E quelli che stigmatizzano e denunciano i ‘poteri forti’ essendo effettivamente degli outsider. Tipo Giorgia Meloni. I primi possono concedersi il lusso di restare populisti anche quando vanno al potere, avendo con quest’ultimo una confidenza che prescinde dai successi o rovesci elettorali. I secondi, no: una volta raggiunto il potere per via democratica debbono dimostrare di saperlo utilizzare dopo aver scoperto le regole, formali e informali, che lo governano. I primi sopravvivono anche restando sempre sé stessi. I secondi per resistere debbono necessariamente cambiare”. La “svolta pragmatico-realista di Giorgia Meloni nelle vesti di presidente del Consiglio”, dice Campi, “nasce esattamente da ciò: dalla consapevolezza che sprecare il potere che si è ottenuto, nel suo caso dopo una lunghissima battaglia all’opposizione e una decennale condizione di marginalità, è peggio che abusarne per fini personali. In politica estera, soprattutto, ha preso sinora le sue decisioni migliori. Vanificarle per tornare a tifare, come otto anni fa, il Trump divenuto nel frattempo sempre più isolazionista, antieuropeo e paranoico-complottista sarebbe un errore. Otto anni fa, dall’opposizione, il trumpismo poteva anche sembrare un modello vincente cui ispirarsi, oggi, per una destra di governo che si vuole conservatrice e che si è convertita ai valori dell’euro-atlantismo, è una zavorra ideologica e d’immagine”.
Anche quattro anni fa, nel 2020, Giorgia Meloni tifava senza indugio Trump: “Da patriota italiana”, diceva l’allora leader di FdI, ancora lontana dalla corsa a premier, “spero possa vincere Trump perché abbiamo già visto le disastrose conseguenze che la politica estera e la dottrina Obama-Clinton hanno avuto sulla difesa dell’interesse nazionale italiano”. Altra cosa, però, è vedere Trump tornare in scena dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, essendo a capo del governo italiano e di un partito che è passato dal 4 al quasi 30 per cento. Non sono più i giorni, insomma, in cui si possa definire Trump un “modello” senza incorrere nel ricordo di quello che è successo tre anni fa (morti e feriti compresi). Nell’estate scorsa, negli Usa, la premier infatti pattinava tra le parole: “Ho una evidente sintonia con il Partito repubblicano”, diceva Meloni senza nominare il tycoon repubblicano, “ma questo non mi impedisce di avere un ottimo rapporto con Biden. Usa e Italia hanno sempre avuto buone relazioni, indipendentemente dal colore dei governi”. Fatto sta che oggi, dice lo storico Ernesto Galli della Loggia, “Giorgia Meloni e tutti gli europei si trovano con le spalle al muro”, di fronte all’idea di un ritorno di Trump, ex presidente Usa che più volte ha minacciato di lasciare la Nato: “Mi rifiuto di ragionare sul periodo ipotetico di terzo grado, cioè su questo eventuale ritorno di Trump”, dice Galli della Loggia, “intanto però ci si ricordi che Trump è colui che ha detto a Ursula von der Leyen ‘se l’Europa viene attaccata non vi difenderemo…e tra l’altro mi dovete 400 miliardi di dollari’” (di spese per la difesa comune, ndr).
Per l’ex direttrice del Secolo d’Italia Flavia Perina, già deputata per An e Pdl fino al 2013, il punto imprescindibile è uno solo: “La destra italiana è filoatlantista e filoamericana a prescindere – che gli Stati Uniti siano governati da un presidente repubblicano o da un presidente democratico”. Meloni, come Biden, ora sostiene l’Ucraina. Con Trump le cose cambierebbero? “Sono convinta che si mostrerebbe filoamericana a prescindere, come da tradizione”, dice Perina, “con tutte le eventuali discontinuità che questo potrebbe comportare. Certo, non credo che la premier si metterà a fare campagna pro Trump, mi immagino una posizione del tipo ‘sono vicende interne di un grande paese…’. Salvini, invece, potrebbe sentirsi più libero”.
“Meloni ha già una via di uscita”, dice Nicola Porro, vicedirettore del Giornale e conduttore televisivo (“Quarta Repubblica” e “Stasera Italia” su Rete 4): “La premier ha già fatto capire che la sua linea è: i rapporti internazionali sono tra stati e non tra persone. Certo, Trump non è proprio in questo momento la sua cup of tea; meglio sarebbe per lei Ron DeSantis. E certo, il faro è il filoatlantismo, ma quando e se Trump, con la sua avversione per Nato e Onu, dovesse essere rieletto, la situazione in Ucraina e in Medioriente sarà già molto usurata. Non ci saranno fregate Usa nel Mar Rosso, questo potrebbe essere il problema”.
Quanto ai ricaschi di un’eventuale affermazione di Trump nei rapporti Meloni-Salvini, per il direttore del Secolo d’Italia ed ex braccio destro di Gianfranco Fini Italo Bocchino “la coalizione di centrodestra non è un monolite, le diverse sensibilità verrebbero assorbite. Vero è che il Trump di oggi e la Meloni di oggi sono meno convergenti di ieri, prima di tutto perché l’Ucraina ha fatto da spartiacque. Un Trump isolazionista, per una Meloni atlantista che ha costruito un buon rapporto con Biden, può essere fonte di grande perplessità. Mentre non vedo grande distanza fra Trump e Meloni sui valori, quindi non si ci aspetti un contrasto evidente. Il tema è e sarà: che ruolo deve avere l’occidente rispetto alle aree di crisi nel mondo? Abbiamo visto in questi mesi che, per esempio rispetto a Israele e al ruolo della Nato, e anche rispetto alle iniziative diplomatiche, le idee di Meloni erano in sintonia con quelle del segretario di stato americano Antony Blinken. Trump potrebbe portare avanti invece la linea del ‘chi me lo fa fare di ergermi a guardiano del mondo?’. Quanto a Salvini, userà Trump a suo favore, e farà bene, dal suo punto di vista, come leader della Lega, anche se è pur sempre vicepremier nel paese che detiene ora la presidenza del G7”. Le primarie repubblicane entrano intanto in questi giorni nel vivo, con i caucus in Iowa. Si vedrà se, lungo la strada della corsa di Trump per la nomination, avranno un peso (che per ora non sembrano aver avuto), i vari scandali e i processi penali pendenti per i fatti di Capitol Hill.