Cultura e nomine
L'ex ad Rai manda in tilt Meloni. Per indicarlo al Maggio Fiorentino esplode il Teatro di Roma
Il ministro Sangiuliano propone Fuortes a Firenze, ma il commissario, Cutaia, si candida a Roma, dove il ministro e il governatore Rocca hanno già il loro candidato
Un suggerimento per Salvini: segretario, rinuncia a Vannacci e candida Fuortes. L’ex ad Rai è l’unico che sta ridicolizzando Giorgia Meloni. Grazie a SanCarlo sta saltando il piano di Sangiuliano-Mollicone-Rocca, la “scuola d’Atene” della destra. I tre filosofi con il bastone vogliono indicare il regista Luca De Fusco come prossimo direttore del Teatro di Roma, il teatro di Pirandello, Ronconi e Martone. La nomina di Fuortes al San Carlo di Napoli, altro sublime disegno del governo, è stata ritenuta nulla dai magistrati. Il ministro Sangiuliano ripropone dunque Fuortes al Maggio Fiorentino, inizialmente rifiutato da Fuortes, e diretto dal commissario Onofrio Cutaia, apprezzato dall’ex ministro del Pd, Dario Franceschini. Cutaia deve lasciare Firenze, ma che fa? Si candida a Roma. Sfida De Fusco. Al suo fianco ha il sindaco Gualtieri, pronto a sciogliere il cda del Teatro. Abbiamo ovviamente provato, favoriti dal caso, ad avvicinare il plutoministro delle arti, della scienza, della cultura, della patria, del cinema, il sommo Sangiuliano. Eravamo alla Camera, ma quando lo abbiamo raggiunto, per porgere delle domande, l’erede di Benedetto Croce si è allontanato e ci ha guardato come fossimo ascoltatori abituali di Radio 3, la ex, quella diretta da Marino Sinibaldi. Puh. Nulla. Salvini, lascia perdere Vannacci!
Fuortes lo avevamo lasciato a Napoli. L’ultima volta che i quotidiani hanno parlato di lui, era per dare la notizia che il tribunale del Lavoro aveva bocciato la sua nomina a sovrintendente e reintegrato il francioso Lissner. Dalle sue dimissioni in Rai, Fuortes cerca un teatro, così come Sangiuliano le prove della complicità della sinistra nel “furto” della Gioconda per mano di Napoleone. Per dimettersi dalla Rai, SanCarlo, uomo del Pd, che non aveva rinnovato il contratto a Fabio Fazio (anche Fazio aveva intervistato il Papa in Rai e, a dire la verità, pure Lorena Bianchetti, conduttrice di A sua Immagine) ha strappato alla premier la promessa di un nuovo incarico. Aveva chiesto di andare alla Scala di Milano (impossibile) il governo proposto il Maggio Fiorentino (poco per Fuortes) per poi paracadutarsi sul San Carlo. Per sollevare di peso il sovrintendente in carica, a Napoli, il governo Meloni si è inventato perfino una legge a misura, un pasticcio giuridico. La legge verrà ora esaminata dalla Consulta. Fuortes al momento non ha incarichi pubblici ma Meloni gli deve la presa della Rai. Lo deve ricompensare. Sangiuliano tira dal baule, quello impolverato con le prime edizioni di Prezzolini, l’idea del Maggio Fiorentino. A Firenze, dove Fuortes aveva detto no, è stato spedito da Sangiuliano un funzionario del ministero, il migliore, il dirigente che si occupa di teatro. E’ Cutaia e non si può certo scrivere che sia vicino alla destra. Tutt’altro. Diventa commissario a Firenze. E’ un altro delle riserve del ministero ineccepibile per storia, cv, che appartiene alla stagione passata, quella di Franceschini, come Massimo Osanna, rimasto direttore generale dei musei con Sangiuliano. Osanna ha fatto pure il salto nel cerchio di fuoco. Si è iscritto al Partito nazionale Sangiulianista. Su Repubblica, mesi fa, per difendere le sostituzioni del suo nuovo ministro, ha rilasciato una intervista (insolita per un direttore) in difesa. Con Meloni non funziona. Chi è di sinistra lo rimane per sempre, anzi, queste prove servono solo a dimostrare che “se tradisce loro, tradirà due volte noi”. Sembra che anche Osanna sia destinato a essere rimosso. Sulla cultura, la destra di Meloni è adesso sistematica. Insieme a “riequilibrio”, parola che FdI ripete, un’altra espressione che viene pronunciata nel giro Meloni è “agire in maniera sistematica”. E’ la seconda fase di governo: ora vengono le maniere forti. A Roma, dopo il Maxxi, affidato ad Alessandro Giuli, l’altra grande istituzione teatrale è il Teatro di Roma, che significa il Teatro Argentina. Il socio di maggioranza, quello che mette la quota di denaro più alta, è il comune, il sindaco del Pd, Gualtieri. Oltre sei milioni di euro. Gli altri ad avere voce in capitolo sono la regione e il ministero, vale a dire il governatore di FdI, Rocca, e Sangiuliano. C’è poi un terzo, il monaciello della premier, e di FdI, il presidente della Commissione Cultura, Federico Mollicone, che si crede mezzo ministro. Tutti e tre vogliono De Fusco, già direttore del Teatro del Veneto, Napoli e Catania. E’ stato intervistato recentemente da Francesco Palmieri, sul Foglio, che gli ha chiesto se fosse vero che sarebbe andato a dirigere il Teatro di Roma, e lui ha risposto che “chiunque si occupi della materia sa che certe decisioni si prendono nelle ultime quarantott’ore”. In realtà ci sono oltre 42 candidature oltre quella di De Fusco. Quella di Cutaia scompagina. Se c’è un modo per dare coraggio a Cutaia, e c’è chi gliel’ha dato, è consigliare di “lasciare perdere, ma chi te lo fa fare metterti contro?”. Cutaia è un dg del ministero, ha già diretto il Teatro Mercadante, è stato dg dell’Ente teatrale italiano, ha un cv così forte che per Gualtieri, e non solo per lui, non c’è partita. Perfino un mite come Gualtieri ora potrebbe alzare la testa. Tra pochi giorni, sabato, il cda del Teatro di Roma dovrebbe decidere il nome del nuovo direttore. Sangiuliano può perdere, Meloni la faccia, Salvini, che lo ha capito, vincere. Ha già dato mandato alla Lega di difendere Cutaia. Fuortes è fuori classifica. In un anno e mezzo di stra-potere Meloni è il solo che è riuscito a far impazzire un governo, a mostrare questo traffico di teatri, cariche, la cultura come il banco della frutta. Salvini, lo candidi in tutte le circoscrizioni europee. Meloni è fuortes con i deboli, ma debole con i Fuortes.