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L'editoriale del direttore

La pericolosità di un Salvini che asseconda i Vannacci dell'autovelox

Claudio Cerasa

Un nuovo bipolarismo avanza: i limiti sono di sinistra, la velocità di destra. Ma il ministro delle Infrastrutture ha scelto di ignorare che i trenta chilometri orari e i controlli non servono a salvare il canto degli uccellini ma le vite delle persone

Il nuovo bipolarismo è ormai chiaro: l’autovelox è di sinistra, la velocità è di destra. Nelle ultime settimane, la politica italiana si è ritrovata a fare i conti con una nuova lacerante divisione relativa a un tema che ha fortissimamente appassionato i dirigenti dei principali partiti italiani. La divisione è legata al differente approccio maturato attorno a una tematica a suo modo interessante: è giusto o no, come ha fatto il sindaco di Bologna e come hanno fatto già altre sessantasei città in giro per l’Italia, abbassare nel cuore dei centri urbani il limite di velocità delle auto a trenta chilometri orari? Il mondo progressista, che domina le città italiane, si è schierato più o meno in massa con il sindaco del Pd, Matteo Lepore, che a gennaio ha esteso sulla maggior parte delle strade del comune il divieto di andare oltre i trenta chilometri orari, e ha trasformato i limiti alla velocità in una nuova bandiera dell’antifascismo militante.

 

Il leader della Lega, nonché ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha criticato la scelta del comune di Bologna e ha dedicato un intenso video sui social per ridicolizzare Lepore sostenendo che il sindaco abbia voluto introdurre il limite solo affinché i cittadini potessero “sentire il canto degli uccellini”. Salvini avrebbe potuto scegliere altre strade per criticare la scelta fatta dal sindaco di Bologna – e anche da alcuni comuni guidati dalla Lega, come Treviso – e avrebbe per esempio potuto dire che, come ha scritto Guglielmo Barone sul nostro giornale, non vi è alcuna prova scientifica definibile che certifichi quali sono gli effetti dell’abbassamento del limite sull’incidentalità, sull’inquinamento, sui tempi di percorrenza, gli effetti collaterali di tale scelta. Nulla di tutto questo. Per Salvini era necessario ribadire il concetto: la destra difende la velocità, la sinistra difende la lentezza. E per Salvini, e per l’idea di destra che ha in mente, difendere la velocità è così importante da averlo spinto in questi giorni a non dedicare neppure un tweet al prezioso lavoro che le forze dell’ordine stanno portando avanti per cercare di acciuffare il così detto Fleximan, il Vannacci degli autovelox, che da settimane sta girando il nord Italia per distruggere quanti più autovelox tra le strade italiane.

 

E si capisce perché per la destra che ha in mente Salvini limitare il potere stalinista degli autovelox è fondamentale: la destra, quando si parla di strade, non difende solo la velocità, ma difende anche la sburocratizzazione dell’Italia, e nella logica salviniana limitare gli autovelox e non abbassare in città i limiti è un manifesto perfetto della destra se non futurista certamente velocista. Il problema però, come capita spesso a Salvini, è nei numeri e nella comprensione degli stessi. E la destra velocista amata dalla Lega è una destra che ha scelto di ignorare la ragione per cui vi sono comuni che abbassano i limiti di velocità e prefetti che autorizzano gli autovelox nelle strade d’Italia: provare a salvare non il canto degli uccellini ma le vite delle persone. A questo servono i limiti più bassi nelle città. A questo servono gli autovelox. A questo dovrebbero servire anche i codici della strada.

  

Se non fosse che anche qui il ministro Salvini, quando a giugno ha varato il Codice della strada, ha scelto di puntare più sulle bandiere che sulla realtà, concentrandosi cioè solo sull’aumento delle pene per chi guida dopo avere assunto alcol e droghe legali (responsabili del 9,9 per cento e del 3 per cento degli incidenti registrati nel 2022) e poco o nulla sulla principale causa delle morti sulle strade, la velocità, responsabile del 13,4 per cento degli incidenti (dati Istat, novembre 2023). Nessuno può impedire al ministro Salvini di essere contro i limiti orari, qualcuno dovrebbe però iniziare a spiegare cosa succede a un ministro quando sceglie di schierarsi sistematicamente contro i numeri, contro la logica e contro la realtà. Meno Vannacci, più autovelox, grazie.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.