Nomine
Sangiuliano e Mollicone puntano il Piccolo di Milano per Sylos Labini
Meloni difende la scelta di De Fusco a direttore del Teatro di Roma e denuncia "l'amichettismo di sinistra", ma dimentica che De Fusco è amico di Gianni Letta. Le occupazioni della destra al momento tutte finite in tribunale
Roma. Mangiano teatri e ingolfano tribunali. Il sipario è la loro torta sacher. Sono i locandieri di Meloni. C’è il ministro della Cultura, lo strappamicrofoni, Sangiuliano, mentre il patriota Mollicone è il teorico dell’alternanza culturale, uno che saluta con la sigla: “Con gli auspici della presidenza della Commissione Cultura”. Dice Meloni, da Nicola Porro, a Quarta Repubblica, che “il tempo dell’amichettismo di sinistra è finito”. Ora c’è infatti l’amichettismo di destra con tre zollette di sinistra. A Roma, per affidare il teatro Argentina a Luca De Fusco, hanno organizzato il blitzkrieg con Danilo Del Gaizo, il vicepresidente del cda, ex avvocato dello stato, amico di De Fusco, a sua volta amico di Gianni Letta. A Napoli, al Teatro San Carlo, stavano per mandare l’ex ad Rai, Fuortes, sempre amico di G. Letta e di Bettini, che è amico pure di Giuseppe Conte e di De Fusco. La nomina di Fuortes, a Napoli, è finita di fronte alla Consulta. A Roma, il sindaco, Gualtieri, ha già detto che impugna. A Milano, gli amichetti della premier puntano al Piccolo di Strehler, già prenotato per il dannunziano Edoardo Sylos Labini. Non si può dire che la destra stia occupando la cultura. Neppure lo sa fare. Dei locandieri della premier finiscono per occuparsene giudici, tribunali del lavoro, Consulta, la trilogia della magistratura.
Quando Meloni dice che “per quanto ne so, il direttore del Teatro di Roma, nominato, ha un cv di ferro, non ha tessere di partito. Qual è lo scandalo? Che non ha la tessera del Pd”, dice il vero. Quello che non dice è che la sinistra, quando nomina, lo fa con la forchetta e non si sbava di sugo come la destra. Omette inoltre di aggiungere che De Fusco non ha la tessera del Pd, perché ne ha una più importante: quella di Gianni Letta. Il guaio è perfino un altro. Quanto sta costando l’abbuffata? De Fusco per insediarsi a Roma ha lasciato (ma lo ha lasciato?) il Teatro Stabile di Catania. A Catania il sindaco è di FdI. Si chiama Enrico Trantino. Abbiamo chiesto a Trantino cosa ne pensasse di questa nomina di De Fusco, ma non abbiamo ricevuto risposta. De Fusco parla già da direttore e dice che ha il cartellone pronto. Lo preparava quando era a Catania? In queste ore De Fusco non risulta che si sia dimesso dal suo incarico. Il presidente del cda del Teatro di Roma è Francesco Siciliano, ed è stato esautorato a casa propria dal vicepresidente Del Gaizo, già capo di gabinetto di Caldoro, oggi direttore Corporate di Terna. Può un presidente lavorare con un direttore che disconosce e un vice che gli ha tolto il potere di firma per contrattualizzare De Fusco? Sembra uno spettacolo di Beckett. Grazie ai locandieri ha fatto la sua ricomparsa pure il maestro della sinistra all’arrabbiata, Christian Raimo (si trovava domenica di fronte al Teatro Argentina e diceva all’assessore alla Cultura di Roma, Gotor: “A Migel, che famo? Dì qualcosa. Quanno ce riuniamo? Famò n’assemblea?”) così come si deve a loro la riscossa di Gualtieri, che si scopre trascinatore e che fa sapere: “Se De Fusco non lascia è battaglia senza quartiere”. Potrebbe adesso, oltre a impugnare la nomina, decidere di tagliare i finanziamenti al Teatro o revocare la concessione. Dal “buio in sala” si è arrivati a “un giorno in pretura”. A Firenze, al Maggio, rimarrebbe il commissario Onofrio Cutaia, il cui incarico è stato promesso all’ex ad Rai Fuortes. Prima del Maggio, Fuortes è stato nominato al San Carlo di Napoli, grazie a una legge ad hoc, che è stata bocciata dai magistrati. Al suo posto è stato reintegrato il vecchio sovrintendente Lissner che, a sua volta, potrà chiedere i danni. La domanda che Meloni dovrebbe farsi è: quanto costa? La premier è stata informata che De Fusco è amico di Letta, suo arcirivale, che la figlia di Letta è stata aiutoregista del nuovo direttore del Teatro di Roma, voluto dai suoi locandieri? Meloni ha detto che non “sapeva nulla della nomina”, così come sta facendo il suo ministro. L’idea che Sangiuliano fosse all’oscuro e che a Roma sia esploso tutto il talento di Mollicone, non rende merito a Sangiuliano, il locandiere che impasta il meglio di Prezzolini con il peggio della retorica forense. Dove non arriva con le sue prerogative da ministro lascia che ad aiutarlo siano giureconsulti. La ricetta Roma vuole replicarla a Milano, al Piccolo, che è l’unica vera preda, dato che la Scala è, per fortuna, ancora, il loggione dei Bazoli, Descalzi, Micheli. E’ inespugnabile. A giugno scadrà il mandato del direttore del Piccolo, Claudio Longhi, un bolognese, un altro pericoloso infiltrato del Pd. Nel cda è stato da poco nominato, il figlio di La Russa, Geronimo, e l’intenzione della destra è spingere il fantasioso Sylos Labini, direttore del mensile Cultura e identità, ex compagno di Luna Berlusconi. Il presidente della fondazione Piccolo di Milano è Marchetti, già presidente di Rcs, e gli si può augurare solo di non avere a che fare con Mollicone in trasferta, la destra locandiera. Gli uomini di Meloni pensano infatti di vendicarsi e non si accorgono che muoiono a ogni carica che ingurgitano, proprio come Ugo Tognazzi che, nella Grande Abbuffata, a Michel Piccoli diceva: “Mangia, se tu non mangi, tu non puoi morire”.
Carmelo Caruso