L'intervista
“Su Stellantis Meloni ha capito, il Pd non ci arriva”. Parla Calenda
La premier, gli Elkann, Repubblica, l'"amichettismo e ovviamente Renzi. Dialogo con il leader di Azione
“Meloni è arrivata tardi su Stellantis, ma almeno c’è arrivata, la Schlein e Landini invece temo non ce la faranno mai”. Carlo Calenda ha apprezzato la risposta della presidente del Consiglio all’interrogazione di Azione su l’ex Fca. Durante il question time di ieri alla Camera Meloni è stata abbastanza netta. “Con Stellantis faremo valere l’interesse nazionale, se si vuole vendere un’auto sul mercato mondiale pubblicizzandola come un gioiello italiano, allora quell’auto deve essere prodotta in Italia, vogliamo tornare a produrre qui da noi almeno un milione di veicoli l’anno”, ha dichiarato. “Adesso – dice Calenda – deve però sostanziare la pars costruens del suo intervento: bisogna chiarire qual è il piano di Stellantis per l’Italia, oggi non noto, e capire se è difforme dalle garanzie che gli Elkann avevano dato e, solo a quel punto, discutere di eventuali miglioramenti anche con quello che l’Italia deve fare per aiutare. Non può succedere però che questi facciano la vendita della fontana di Trevi due volte”. Ci spieghi meglio. “Bisogna evitare – dice il senatore di Azione – quanto accaduto finora dopo la sigla dell’accordo per la fusione con Psa. Quei giorni dicevano ‘salvaguarderemo tutti’, adesso tornano e dicono ‘salvaguarderemo tutti se ci date incentivi, soldi, etc’, questo significa vendere la stessa cosa due volte”.
Intanto ieri Calenda è tornato sulle colonne di Repubblica, dopo le polemiche degli ultimi mesi con il quotidiano di Largo Fochetti (edito dagli Elkann) che, era l’accusa del leader di Azione, non lo intervistava più dall’inizio della sua battaglia contro Stellantis. “Erano quattro mesi esatti che non ero né su Repubblica, né sulla Stampa, ma credo finalmente ci sia stato un chiarimento, sono pienamente soddisfatto”, dice.
Non è solo Stellantis comunque a unire Calenda e Meloni. Anche sulle privatizzazioni, mal viste a sinistra, il senatore di Azione sta con la premier che ieri rivendicava il piano del governo. “Certo che siamo favorevoli, non sono una svendita ma uno strumento per le casse dello stato, le abbiamo messe nei nostri programmi”. Troppe intese, non è che Calenda è d’accordo con Meloni anche sull’ “amichettismo” di cui la premier accusa il Pd dopo la nomina di Luca De Fusco al teatro di Roma, osteggiata dal sindaco dem Roberto Gualtieri e dalla sinistra? “Macchè, in quella storia si confrontano due meravigliosi ‘amichettismi’, diciamo che quello della sinistra è più elegante e civilizzato, Meloni e i suoi, con più volgarità, stanno però facendo la stessa identica cosa”.
Intanto ieri al Senato è stata la giornata del voto per rinnovare il supporto militare dell’Italia all’Ucraina. Calenda è intervenuto a palazzo Madama durante un dibattito che si è concentrato sull’ordine del giorno presentato dalla Lega (e poi parzialmente ritrattato) che lasciava ambiguità sul sostegno a Kyiv. “La discussione – dice – è stata un insulto agli ucraini, e non solo per la Lega, che in fondo fa con l’Ucraina quello che fa con l’Autonomia: campagna elettorale per cercare di arrivare al 10 per cento alle europee”. Per cos’altro dunque? “Vi sembra normale che il Pd proponga una conferenza di pace a Roma? E’ ridicolo, nessuno riesce a dire che il contenimento della Russia è un’esigenza dell’Europa da Pietro il Grande in poi, perché la Russia non è mai diventata una nazione e ha bisogno dell’impero per rimanere unita. La Russia di Putin sarà sempre aggressiva perché è così che si tiene in piedi, se Trump vince in America sarà l’Europa a doversene fare carico, non possiamo arrenderci altrimenti dopo l’Ucraina i prossimi saranno i paesi baltici”. Il Pd tentenna sull’argomento? “E’ inevitabile, sono il partito del ‘ma anche’”, dice Calenda. “Sono per la pace e per l’invio di cose che ormai non chiamano più armi nelle loro risoluzioni, hanno rinunciato a fare politica e vivono in una dimensione morale, e in quella devi dire per forza ‘noi siamo i buoni’, e così finisce che vogliono stare con Papa Francesco ma anche con la Nato e Mattarella”.
Voi del defunto Terzo polo invece siete d’accordo quasi su tutto, perché non tornate insieme in vista delle europee? “A parte che sul premierato e sul salario minimo, non proprio due banalità, non siamo affatto d’accordo, ma comunque Renzi, anche se capisco possa essere complicato, va preso sul serio: ha presentato un lista che si chiama ‘Italia al centro’ e ci lavora insieme a Clemente Mastella, Totò Cuffaro e altre rispettabilissime figure, auguri a lui e a tutti loro”.