l'intervista
“Cosa resta del mio amico Berlusconi? Le ceneri”. Intervista a Marcello Dell'Utri
“Non ci vado alle celebrazioni per i 30 anni della fondazione di Forza Italia. Io avrei fatto una giornata di silenzio. L’unica cosa che resta di Silvio è l’azienda. Meloni erede del Cav? In qualche modo sì”. Parla il cofondatore di FI
La voce allegra: “Sa cosa ho fatto con parte parte del legato che mi ha lasciato Silvio?”. No. Cosa ha comprato, una villa? “Ho comprato il manoscritto originale del ‘Mastro Don Gesualdo’ di Verga. Sarà esposto nella biblioteca siciliana che sto costruendo ad Agrigento”. Dice così Marcello Dell’Utri, nel giorno in cui ricorrono i trent’anni dalla fondazione di Forza Italia. Il partito che lui ha fondato insieme a Silvio Berlusconi.
“No, oggi non ci vado alle celebrazioni”. Starà a casa. A Milano. Tutto gli risulta forse posticcio, come si sentisse intrappolato in una gigantesca, sciropposa cartolina illustrata. Cosa resta del Cavaliere? “Le ceneri”, dice il vecchio amico di Berlusconi con dolorosa ironia, quasi allontanando la nube di rimpianti e di ricordi che sempre è nascosta dietro le ricorrenze. “Resta un partito che vive nel suo nome e resta un’azienda che, questa sì, è saldamente in mano ai suoi figli. E funziona”. Ma l’hanno invitata alle celebrazioni? “Mi hanno invitato, sì. Mi ha telefonato Maurizio Gasparri. Ma che cosa vuole che si dica in una giornata come questa? Quali parole sarebbero adatte? Solo il silenzio. Io avrei organizzato una giornata di silenzio. E poi non sono stati invitati tutti i veri fondatori di Forza Italia, gli uomini di Publitalia”. Chi? “Miccichè, Ghigo, Galan... per citare i primi che mi vengono in mente. Non vado anche per rispetto nei confronti di queste persone. Quelli che c’erano sul serio”. I testimoni di quel giorno fatale in cui Berlusconi scese in campo. “A Macherio, quando registrò quel videomessaggio di cui aveva studiato l’effetto d’ogni parola”. Lei era l’unico favorevole alla discesa in campo, gli altri erano tutti contrari. “Anche Ennio Doris era favorevole”. I contrari erano Fedele Confalonieri e Gianni Letta. “Letta un giorno mi prese da parte dicendomi con forza che dovevo smetterla di aiutare Silvio con questa idea suicida”. E lei? “E io gli rispondevo: ‘Ma secondo te io posso non fare quello che mi dice Silvio?’. Ma lui insisteva”. E come finì? “Che il giorno dopo la vittoria alle elezioni Letta era già a Palazzo Chigi. E di fatto è stato lui il capo dei governi nella gestione corrente”.
Tutti pensavano fosse matto, Berlusconi. Pure la mamma era contraria. “Ma lui, in realtà aveva già deciso”. Entrò in politica per farsi gli affari suoi? “Credeva nella possibilità di fare dell’Italia la prima nazione in Europa. Ma è vero che in quegli anni c’erano dei rischi che gravavano sulle sue attività. Mi ricordo benissimo quando il Credito Italiano gli chiese di rientrare con il prestito. Capimmo che volevano fare con lui quello che già avevano fatto con Rizzoli”. Spolparlo. “E allora reagimmo”. Berlusconi coltivava in sommo grado l’arte comune agli ambiziosi di conciliare le proprie convinzioni con i propri interessi. “Ci aveva provato a non fare politica. Aveva cercato Mario Segni. Aveva incontrato Martinazzoli. Ma niente. Non voleva che il paese finisse in mano al Pci, che aveva cambiato nome ma era sempre quello. Nessuno era disposto a dare battaglia. E’ finita che l’ha fatta lui”.
Sono passati trent’anni da allora. proprio oggi. E il legame tra Marcello Dell’Utri e Forza Italia si è pian piano allentato, come il nodo di due corde logorate dal tempo. “Lo chiamavano ‘partito azienda’. E io davvero volevo fare un partito azienda, gli uomini di Publitalia a dirigerlo e il meglio del paese mandato in Parlamento. Poi non ci sono riuscito”.
Le accuse, i processi, il carcere addirittura. “E anche qualcuno che remava contro, dall’interno”.
Ma cos’è Forza Italia oggi? “Un bel marchio che ricorda Silvio Berlusconi”. Quanto prenderà alle elezioni europee? “E’ tanto se terrà. Ma non crescerà come pensano alcuni dirigenti. Ci sono persone che la voteranno, sì. Perché è ancora vivo il ricordo di Silvio. Ma nulla più”. E che leader è Antonio Tajani? “L’unico che era rimasto disponibile e spendibile in quel partito. E poi è anche uno storico, Tajani. C’era dall’inizio. E ha fatto la sua dignitosissima carriera nelle istituzioni”.
Pier Silvio Berlusconi potrebbe entrare in politica? “No, no. E’ una sciocchezza che scrivono alcuni. Non ci credo. Pier Silvio è troppo intelligente per fare una cosa del genere. Anche Marina. Non esiste”. Che rapporto ha Marcello Dell’Utri con i figli del Cavaliere? “Un rapporto di affetto vero e sincero”. In tanti dicono che Mediaset sia sotto attacco, per via della concorrenza pubblicitaria della Rai. I complottisti sostengono che ci sia addirittura un sottile conflitto tra la famiglia Berlusconi e Giorgia Meloni. Un sottile dissidio che riguarda anche le questioni televisive. “Ma non è così. Guardi che la capacità di raccolta pubblicitaria che ha Publitalia non è paragonabile a quella di nessun altro in Italia. Supererebbe la Rai e chiunque altro”. A un certo punto è sembrato che Meloni ritenesse di avere subito una sorta di avvertimento da Mediaset, quando Striscia la Notizia ha mandato in video i fuorionda di Andrea Giambruno. “Stupidaggini. Quello è Antonio Ricci. Ricci ha sempre fatto quello che voleva. Faceva incazzare anche Silvio. Qualche volta lo danneggiava pure, sul piano politico”.
E perché il Cavaliere se lo teneva, Ricci? “Perché è bravo e perché lo ha sempre fatto guadagnare. Guardi che Berlusconi è l’unico al mondo che ha monetizzato anche gli sputi che riceveva. Un genio. Ricci lo attaccava? Ebbene Silvio in prima battuta s’innervosiva, poi però ci ripensava su, e con un sorriso esclamava: ‘Però hai visto quanti ascolti ha fatto?’. Lei sa cosa vuol dire fare audience?”. Vuol dire che tanta gente guardava la televisione Fininvest. “Significa tanta pubblicità. Dunque tanto fatturato”. Oggi su quel canale c’è Bianca Berlinguer. Le fa impressione? “No. Quei programmi sono tutti uguali. Uno manco si accorge se sta su Rete 4 o su un altro canale. E’ la Berlinguer che fa esattamente quello che faceva anche prima. A me questi talk-show sembrano l’orrore puro. L’unica che si distingue un po’ è La7, quella più moderna da questo punto di vista”. Ma è di sinistra? “Certamente non è di destra. E’ forse di sinistra, sì, con qualche presenza inquietante. Ma si fa guardare. Mi sembra più ordinata. Non so se per merito di Enrico Mentana o di chi. Ma non è male. Anche se guardare non significa condividere”.
Letizia Moratti è tornata in Forza Italia. Il meglio del berlusconismo è nel passato? “Moratti è una brava. E’ una buona notizia. Come è una buona notizia che ci sia anche Gabriele Albertini che è stato il migliore sindaco di Milano degli ultimi anni. Ma cosa porteranno dal punto di vista elettorale? Non lo so”. Si può dire che alla fine il vero lascito del Cavaliere sia Mediaset? E’ ciò che gli sopravvive. Non la politica, ma l’azienda. “E’ un lascito ben raccolto. Pier Silvio ha preso le redini in maniera decisa. E’ presente. Fininvest e Mondadori con Marina sono in buone mani. Tutto questo rimane. Purtroppo non rimane Silvio, ma ha lasciato una bella eredità: la sua azienda e la sua famiglia. I figli, i primi e i secondi, non hanno litigato. Si tengono tutti insieme in un vincolo che è la loro forza. Guardate i Del Vecchio, guardate i Caprotti. Ci sono famiglie che sono esplose intorno all’eredità del padre. Invece i figli di Silvio hanno fatto tutto in grande armonia. E intelligenza. Non è poca cosa. E penso che il merito sia di Berlusconi”.
A proposito di eredi: se non è Tajani, forse l’erede di Berlusconi in politica è Giorgia Meloni? “In qualche modo. E’ stata ministra di un governo di Silvio”. Che cosa le consiglierebbe? “Di continuare a essere se stessa. Che è la sua forza. Lei non si atteggia, non copia un modello straniero”. Centrodestra o destra-centro? “Guardi, se Silvio fosse ancora qui tra noi penso che suggerirebbe a Meloni di fare un partito unico del centrodestra”. Di ereditare Forza Italia. “Di costruire quella cosa che Silvio non è riuscito a fare con il Pdl, perché era un genialissimo impolitico”. E lo farà il partito unico, Meloni? Archiviare la Fiamma. “E’ tutto da vedere. Certamente ha le carte in mano, pronte. Vedremo se saprà giocarle. Anche individuando il momento giusto in cui lanciare questo nuovo partito”. Con Berlusconi all’inizio avevate coinvolto gli intellettuali liberali. “C’erano Colletti, Vertone, Melograni, Ferrara...”. Meloni dovrebbe aprire le porte alle intelligenze migliori che ci sono in Italia altrimenti rischia di trovarsi da sola con i Pozzolo di turno, quello che si portava la pistola alla festa di Capodanno? “Credo che il problema oggi sia che le persone in gamba non la vogliono fare la politica. Mi ricordo che una volta, quando cercavamo di candidare gli imprenditori, andai a trovarne uno di questi geniali. Un brianzolo. La moglie tergiversava. Era contraria. Lo spingeva a rifiutare. E allora io le dissi: ‘Signora, ma un giorno i suoi nipoti potranno dire che suo marito è stato Senatore della Repubblica. Pensi al Laticlavio’. Oggi la politica è screditata, quello stesso discorso non si potrebbe rifare. Non gliene frega niente a nessuno di fare il senatore. Quindi il problema è grosso, anche per Meloni. Che comunque ha anche gente in gamba attorno”. Un nome? “Uno è sicuramente Raffaele Fitto”. Viene da Forza Italia. “Ma non lo dico per questo. Lo dico perché è oggettivamente una spanna sopra gli altri. Ha fatto il ministro. Ha fatto il presidente di regione. Conosce le regole della politica, sa stare al mondo”.
Oggi niente celebrazioni per trent’anni, dunque. “Io avrei fatto una cosa breve. Di mezz’ora. Avrei letto dei pensieri del Cavaliere e detto: ‘Riflettiamo in silenzio’. Magari sbaglio, ma cosa diranno oggi? Cosa dirà Letta? Cosa c’è da dire?”. Cosa le manca di più di Berlusconi? “Mi manca la sua voce. La sua telefonata anche notturna. Il suo invito a pranzo. La sua conversazione”. Che avrebbe detto il Cav. del fatto che lei con parte del lascito testamentario ci ha comprato dei libri? “Silvio faceva una battuta che non posso ripetere a proposito della mia passione per i libri, che era diversa dalla sua passione”. Ce la dica la battuta. “Neanche sotto tortura”.