Maurizio Molinari, direttore di Rep. - foto Ansa

L'editoriale dell'elefantino

I fissati di Rep. per la famigerata struttura Delta dei poteri forti

Giuliano Ferrara

Le metafore sono sempre le stesse: il bavaglio, il manganello. L’argomento è decisamente debole: chi ha un editore padrone è un servo, appartiene a un’ideale struttura Delta che fa i bassi servizi per lui. Per noi fate una doverosa eccezione, io libero tu schiavo, e il comitato di redazione applaude e santifica

La fissazione è peggio della malattia. È un motto universale d’antica sapienza, qui riferito dall’ironista Giuseppe Sottile, ma lo trovate anche in un romanzo anni Venti di Isaac B. Singer (“Keyla la rossa”, Adelphi). Repubblica e i suoi editorialisti sono dei fissati. Le metafore sono sempre le stesse: il bavaglio, il manganello. L’argomento è decisamente debole: chi ha un editore padrone è un servo, appartiene a un’ideale struttura Delta che fa i bassi servizi per lui. Per noi fate una doverosa eccezione, io libero tu schiavo, e il comitato di redazione applaude e santifica. Struttura Delta: anche l’immaginazione può essere peggio della malattia, almeno per i fissati. Ma sarebbe risibile ora un regolamento di conti, fin troppo facile. Non uno squadrista o peggio uno Sciarpa Littorio meloniano, ma il composto e serioso Carlo Calenda, liberale doc, è all’origine dell’imbroglio che incastra l’ipocrita. È stato lui a dire che Repubblica lo ha imbavagliato per via delle sue liberalissime polemiche contro il sindacalista Landini che lottava contro Marchionne quando in Italia ancora si producevano auto e lavoro e ha smesso di lottare contro Elkann per non sguarnirsi sul fronte editoriale di un giornale progressista sì, ma stellato o Stellantis, quando lavoro e macchinine sono scomparsi. Ha segnalato un conflitto di interessi editoriale potenziale divenuto attuale, reale, sostanzioso, anche ai suoi danni.
 

Infatti alla fine, giacché il conflitto implica il rimorso e l’aggiustamento, gli hanno accordato il privilegio di un’intervista riparatrice, su Repubblica, che non fa danni. È stato Carlo, non Giorgia. L’allarme antifascista contro la mainstream Meloni che l’Economist, sempre un giornale con una partecipazione determinante di Elkann, segnala come colei contro la quale i pregiudizi dei liberal erano esagerati, visto come si comporta (lo ha registrato in questi mesi il giornaletto berlusconian-fascista su cui abbiamo il privilegio di scrivere), sa di manganello all’incontrario dopo il bavaglio a Calenda. In realtà sono giochi di ragazzini o bambini viziati. Vero quel che scriveva ieri un focoso Massimo Giannini, ribattendo il meno enfatico manifesto del suo direttore Maurizio Molinari.
 

Elkann non è entrato in politica, i discendenti degli Agnelli limitano alla Juve le discese in campo, ma l’osservatore razionale calmo e sereno delle cose sa che i conflitti sommersi sono anche più pericolosi di quelli emersi e giudicati per oltre due decenni dalla vasta platea degli elettori. Il monopolista editoriale di Wall Street, Mike Bloomberg, ha detenuto il potere amministrativo e politico sulla città che non dorme mai senza rinunciare da sveglio al diritto di tutti e di ciascuno, in una democrazia liberale, di concorrere alle cariche pubbliche. All’influenza politica gli Agnelli-Elkann un tantino qualche volta ci pensano anche loro, e la storia d’Italia lungo il secolo scorso e oltre ne è testimone. Solo che, com’è ovvio, anche come editori oltre che come investitori e industriali, preferiscono giudicare che essere giudicati: si chiama establishment borghese modello europeo, una couche di cui un fenomenale pazzo e incandescente Berlusconi non ha mai veramente fatto parte.
 

La sostanza, oltre la fissazione e fuori da essa, è quella individuata da Claudio Cerasa qui, basta ribatterla per spuntare le armi temerarie del filosofo del conflitto di interessi Massimo Giannini: Molinari ha abrogato decenni di assalti all’informazione asservita di noialtri semplicemente registrando, anche con un tono un po’ troppo sontuoso per l’occasione, che tra la ragione sociale di un giornale e la sua libertà si configura un arabesco, non si stringe necessariamente una catena, perché “there are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy” (ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne possa mai sognare la tua filosofia, ndr). Amleto era un malato, ma non un fissato. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.