Rapporti alla mano /2
Lo stato tartaruga. Ecco i “colli di bottiglia” che condizionano l'efficienza dell'Italia
Dalla lentezza con cui vengono prese le decisioni attuative ai ritardi nell’attuazione dei programmi di spesa. I dati da conoscere per governare
Già mezzo secolo fa si lamentava che lo Stato non sa spendere e si discuteva di accelerazione della spesa pubblica. Lo strumento era la mobilitazione dei residui passivi (cioè delle somme impegnate ma non spese, un indicatore della lentezza operativa delle amministrazioni pubbliche). Si proponeva di aver pronti i progetti esecutivi delle opere al momento dello stanziamento della spesa. Si osservava che la mancata realizzazione delle spese previste in bilancio conduceva all’annullamento di gran parte dei poteri del Parlamento, perché il Parlamento italiano era costretto ogni anno ad approvare una legge di bilancio che non rappresentava nulla, se non un documento formale. Si criticava un potere burocratico che finiva per eludere qualsiasi impegno o intervento, anche estremamente urgente, votato dal Parlamento, per far fronte a situazioni congiunturali o a eventi straordinari. Si notava che a decidere di un aspetto fondamentale della vita del Paese fosse il ministro del Tesoro o il Ragioniere generale dello Stato, d’intesa con le autorità monetarie esclusivamente preoccupate del pericolo inflazionistico. Si lamentava che la gestione dei residui sfuggiva al controllo politico del Parlamento e offriva al Tesoro e alla Ragioneria generale dello Stato un’ampiezza di poteri discrezionali sull’intera distribuzione della spesa pubblica, assolutamente insolita in un moderno Stato di diritto, rendendo il bilancio una mera finzione contabile e ingannando il Parlamento e l’opinione pubblica sull’entità e i tempi reali della spesa statale, affidandoli alle scelte non sempre sagge (e comunque avulse da ogni giudizio politico) di pochi alti funzionari pubblici, dotati così di un potere che loro non compete.
Un Ragioniere generale dello Stato riconobbe che quando il Tesoro non è chiamato a fare pagamenti, i fondi potevano essere utilizzati per altri scopi. Per esempio, se si trattava di spese finanziate con il ricorso al mercato, quel ricorso al mercato dava mezzi alla tesoreria, la quale copriva con essi in parte o in tutto il deficit del bilancio dello Stato e quindi poteva fare a meno di fare debiti per questo specifico scopo, come del resto la legge di bilancio esplicitamente consentiva. Quindi – si osservava – è esatto dire che non si tratta sempre di una sterilizzazione, ma piuttosto di un impiego diverso di fondi.
Se cinquant’anni fa la lentezza della spesa era persino considerata con favore perché consentiva un minor bisogno di ricorrere al mercato, la situazione è molto diversa quando il finanziamento arriva, come quello del Piano nazionale di riprese e di resilienza – Pnrr – dall’Unione Europea, perché si corre il rischio di perderlo. Tanto più che le risorse sono erogate per stati di avanzamento perché ci si fidava poco della capacità realizzative dello Stato italiano. E’ quindi importante individuare i “colli di bottiglia” che, nelle varie fasi dei processi decisionali pubblici, da quella iniziale a quella finale, condizionano la velocità dello Stato ed è utile non fidarsi delle conoscenze episodiche, valutare e giudicare su basi più sicure quali quelle che ci vengono offerte dal Dipartimento per il programma di governo dall’Ufficio parlamentare di bilancio.
Il Dipartimento per il programma di governo e l’Ufficio parlamentare di bilancio
Negli ultimi decenni, sia il potere esecutivo, sia quello legislativo si sono dotati, in Italia, di uffici per conoscere e valutare.
Il governo, dal 1992, dispone di un Dipartimento per il programma di governo. Questo ha cambiato più volte nome. E’ un ufficio permanente della presidenza del Consiglio dei ministri. Fa il monitoraggio del programma di governo misurandone il tasso di realizzazione.
A sua volta, il Parlamento, ha istituito nel 2014 un Ufficio parlamentare di bilancio, previsto già da una legge del 2012, costituito come organismo indipendente, sul modello di organismi simili dei Paesi Ocse, per l’analisi della finanza pubblica. Le analisi vengono svolte sulla base di un programma dell’Ufficio o su richiesta delle commissioni parlamentari. L’ufficio è composto di tre membri nominati dai presidenti delle Camere. È stato un successo averlo istituito, ma è anche il segno della debolezza della Corte dei conti, che avrebbe dovuto operare come “occhio del Parlamento” e non è riuscita a farlo.
I ritardi dello Stato e le loro cause
Dove sono i ritardi e da che cosa dipendono? Una prima indicazione è fornita dal Dipartimento per il programma di governo, che il 31 dicembre 2023 ha presentato la “Quinta relazione sul monitoraggio dei provvedimenti legislativi e attuativi”. Di questo rapporto sono importanti i dati relativi ai provvedimenti attuativi.
Bisogna distinguere quelli diretti ad attuare leggi dei governi precedenti e quelli diretti ad attuare le decisioni legislative del governo Meloni. Nella 18ª legislatura parlamentare, i tre governi che si sono susseguiti, Conte 1, Conte 2 e Draghi, hanno previsto 2020 provvedimenti attuativi e lasciato in eredità al governo Meloni 376 provvedimenti attuativi da adottare. Di questi ne sono stati adottati 173 nel periodo ottobre 2022-dicembre 2023. Ne restano quindi ancora 203 da varare.
Le decisioni legislative del governo Meloni, invece, richiedevano 431 provvedimenti attuativi, dei quali ne sono stato adottati 218, mentre ne restano da adottare 213, per 59 dei quali i termini sono scaduti.
La lentezza con la quale vengono prese le decisioni attuative comporta naturalmente effetti su tutta la macchina dello Stato: ad esempio, comporta ritardi nell’attuazione dei programmi di spesa. Ma presenta anche due singolari paradossi, il primo dei quali si è accentuato con il governo Meloni. Da un lato, ci si affretta ad approvare norme ricorrendo a procedure di necessità e di urgenza, come quelle dei decreti legge. Dall’altro, questi contengono rinvii a provvedimenti governativi che debbono attuarli. Se i provvedimenti attuativi non vengono adottati subito, dopo aver fatto una corsa, si rallenta, con effetti sulla complessiva velocità dello Stato.
Secondo paradosso: ogni governo deve governare nella prima parte del suo mandato attuando leggi dei governi precedenti, che in molti casi non condivide (e spesso lascia inattuate).
Questo è un primo fattore di ritardo dell’azione pubblica, un fattore che sta “a monte”, nella fase iniziale. Ma ce n’è anche un altro, segnalato dall’Ufficio parlamentare di bilancio nella “Memoria della presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio sull’attuazione del piano nazionale di ripresa e di resilienza” del 5 dicembre 2023. Questa memoria riguarda il Pnrr che, come noto, ha un finanziamento (europeo e nazionale) complessivo di 222 miliardi, che vanno utilizzati sulla base di 214 “milestone” e di 313 “target”. La “memoria” dell’Ufficio parlamentare di bilancio registra le fasi dell’assegnazione dei fondi, dei bandi di gara, dello svolgimento delle gare e dell’affidamento ai vincitori. Segnala che si sono avviate gare per un quarto dei fondi e si sono fatte assegnazioni solo per poco più del 10 per cento dell’importo dei progetti, con una spesa effettiva di poco più del 15 per cento del totale delle risorse del Piano.
Anche in questo caso, la velocità di spesa è un indicatore di efficienza amministrativa ed è interessante notare che i maggiori ritardi si verificano nel settore sanitario, che i ritardi del Sud sono maggiori di quelli del Nord e che gli attuatori più rapidi sono le società con partecipazione pubblica. Le cause dei ritardi sono principalmente nella fase della messa a bando e in quella dell’assegnazione dei lavori. Ma certamente, accanto alle difficoltà prodotte dalla legislazione e da quelle indotte dalle inerzie burocratiche, vi sono quelle dei cosiddetti territori, cioè delle resistenze delle comunità locali. Né bisogna dimenticare che questi ritardi non registrano i tempi dell’esecuzione.
La conoscenza dello stato dei fatti aumenterà con l’introduzione recentissima del Protocollo unico di controllo – Puc, per assicurare la rilevazione dei dati di attuazione finanziaria, fisica e procedurale.
Il governo razionale
Questi documenti sono strumenti indispensabili del governo razionale perché consentono di analizzare e valutare l’azione dello Stato. Il governo secondo ragione è a sua volta l’unico modo per non ritornare alla gestione arbitraria del potere ed evitare che si scatenino passioni politiche, in una parola per gestire in modo razionale il potere. Occorre convincersi che l’esercizio del potere e la conoscenza della società sono indissociabili e che per governare occorre avere una intelligenza dei bisogni generali della società, conoscere quello che essa vuole (queste sono osservazioni maturate da tempo, come ha notato Pierre Rosanvallon in un libro molto importante intitolato “Le moment Guizot”, edito da Gallimard a Parigi nel 1985). Senza di questo, il governo marcia in base al caso, senza un piano e un fine, è in balia degli avvenimenti e dei cambiamenti imprevisti.
Queste conclusioni sono mature da almeno due secoli, da quando, nel 1830, cominciò quella che è stata chiamata l’“era dell’entusiasmo statistico” (Harald Westergaard, “Contributions to the history of statistics”, London 1932). Da due secoli ci si è resi conto dell’importanza di quello che è stato definito un approccio matematico ai fatti sociali per evitare che questi restino dominio della politica quotidiana. E’ significativo che un grande economista come Jean-Baptiste Say abbia scritto più di due secoli fa un saggio intitolato “Statistique et aritmétique politique” (ora in “Cours complet d’économie politique”, “Oeuvres de Jean-Baptiste Say”, Paris, 1852, p. 483).