“L'autonomia è una cosa seria, ma quella del governo vale zero”. Parla Bonaccini (Pd)
Il governatore dell’Emilia-Romagna ci spiega perché la destra ha tradito l’autonomia. “Vogliono decidere tutto da Roma sulla testa dei territori. Controproposta? Era possibile”. Tra scambi elettorali e Pd
Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, dell’autonomia delle regioni è un sostenitore sincero. Nel 2017, ai tempi del governo Gentiloni, firmò una dichiarazione di intenti per attribuire alle regioni ulteriori “forme e condizioni particolari di autonomia". Sette anni dopo, l’autonomia è tornata al centro del dibattito politico. Martedì scorso, la Camera ha approvato un disegno di legge che definisce il percorso con cui le regioni potranno chiedere allo stato di gestire in proprio alcune materie non di loro competenza. Il Foglio ha incontrato Bonaccini e gli ha chiesto cosa ne pensa.
È uno scandalo discuterne?
“L’autonomia differenziata – ci dice – è prevista dalla Costituzione, ma il disegno di legge Calderoli non c’entra nulla con quanto indicato dalla Carta. Non mi riferisco all’articolo 116 in senso tecnico, ma alla necessità di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni, a quella di colmare le differenze territoriali, a partire dalle infrastrutture, a quella di definire le condizioni attraverso le quali lo stato decentra funzioni. Peraltro è un provvedimento che ha coperture finanziarie e non mette risorse a bilancio. Se i presupposti sono questi o non succede nulla o si pongono le condizioni per allargare le diseguaglianze tra nord e sud, si spacca il paese. Non se ne farà nulla, mi creda. È un bluff elettorale, lo scalpo che la Lega ha ottenuto da Fratelli d’Italia in cambio del via libera al premierato voluto da Giorgia Meloni. Benefici per i cittadini: zero”.
Quali sono le competenze in più che le regioni dovrebbero avere per rendere più efficiente il nostro sistema di governo?
“Nella nostra proposta c’era un’indicazione puntuale, quasi sartoriale delle funzioni richieste e degli obiettivi che intendevamo perseguire. L’avevamo costruita insieme agli enti locali, alle associazioni d’impresa e ai sindacati, agli atenei e alle professioni. Provo a spiegarmi. Si parla spesso di materie, per come sono indicate dal terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione; ma già questa è una mistificazione: il 116 indica sì gli ambiti, ma non per un semplice trasferimento degli stessi alle regioni. Si tratta al contrario di stabilire quali funzioni all’interno della singola materia sia opportuno decentrare per rendere meglio funzionanti le istituzioni e i servizi”.
Qualche esempio?
“Qualcuno pensa seriamente che uno stato possa delegare in toto a ogni singola regione il commercio con l’estero? Sarebbe come tornare a prima del Risorgimento, fa già ridere mentre lo si dice. Potrei fare un lungo elenco di questi paradossi. Non a caso come Emilia-Romagna non abbiamo mai parlato di istruzione ma di edilizia scolastica; né abbiamo mai chiesto la tutela della salute in sé, ma viceversa di togliere i vincoli della compartimentazione della spesa, quelli alla programmazione e all’organizzazione. A lei pare normale che per fondere due aziende sanitarie si debba chiedere il permesso allo stato? Se vogliamo fare una cosa seria bisogna discutere seriamente: ripeto, quella approvata dal Senato è, nella migliore delle ipotesi, propaganda; nella peggiore un modo per scassare le istituzioni”.
Quali sono le competenze che non dovrebbero essere date alle regioni, per non indebolire lo stato?
“L’istruzione e la sanità, anzitutto. Avrebbe senso avere 20 sistemi scolastici diversi? Sarebbe una follia, nel momento in cui dovremmo anzi impegnarci per allineare i sistemi formativi europei, la certificazione delle competenze, i titoli. Proviamo a non togliere dal mondo i nostri ragazzi. Stessa cosa vale per la sanità, che anzi occorrerebbe rafforzare come pilastro nazionale, come prevedeva la riforma del 2016: io difendo l’autonomia delle regioni in materia di programmazione e organizzazione, come ho detto, ma le norme generali deve fissarle lo stato e debbono valere per tutto il territorio nazionale”.
Sarebbe uno scandalo dare alle regioni più poteri sulla sanità e sulla redistribuzione delle entrate fiscali?
“Premessa: lasciare il gettito fiscale in mano alle regioni, sulla base di quanto raccolgono, è una secessione di fatto. È il famoso residuo fiscale di cui parla la Lega che porta i territori più ricchi ad avere di più e quelli più poveri ad arretrare ulteriormente. È il principio opposto a quello della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale: a parole si dicono d’accordo, ma come si vede l’obiettivo concreto è opposto. Se invece parliamo di autonomia di spesa io sono più autonomista della Lega, che invece sta imponendo vincoli inaccettabili a regioni e comuni. Predicano l’autonomia ma poi vogliono decidere da Roma sulla testa dei territori. Sulla sanità credo di aver risposto: ci sono cose che andrebbero rafforzate a livello statale, e altre che andrebbero liberate a livello locale. Ma il problema di fondo è un altro: parlano di autonomia della sanità per nascondere il fatto che stanno distruggendo la sanità pubblica a favore di quella privata. Obbligando chi se lo può permettere a pagare e chi non se lo può permettere ad aspettare o a non curarsi. Questa è l’emergenza nazionale che vivono le persone in carne e ossa”.
Cosa sbaglia la destra quando parla di autonomia?
“Troppa retorica. Di concreto cosa c’è? Poco o nulla. Sono bandierine piantate a dispetto dei territori e delle persone. Noi abbiamo subito un’alluvione devastante in Romagna nel maggio scorso, un evento senza precedenti sul piano nazionale. Le pare che abbiano scelto l’autonomia? No, hanno affidato tutto all’esercito, come mai era capitato. La Lega ha bisogno di un contentino elettorale per fermare il calo di voti pesantissimo di questi ultimi a favore di Fratelli d’Italia. Il partito della Meloni è storicamente contrario all’autonomia, ma oggi rinnega se stessa per tenere in piedi il suo governo e per avere in cambio il premierato. È uno scambio elettorale, lo sanno tutti: può mai essere il presupposto di una riforma seria e ponderata?”.
In cosa deve essere meno ideologica la sinistra quando parla di autonomia?
“Il centrosinistra nasce autonomista, è scritto nelle nostre radici e nel Dna riformista della nostra tradizione. L’autonomia è prevista e promossa dalla nostra Carta costituzionale perché era chiaro ai Padri costituenti cos’era stato il fascismo. Uno stato meno centralista e che delega le funzioni ai governi territoriali, pur dentro una cornice solida, avvicina le decisioni ai cittadini, permette alle persone e alle imprese di risparmiare tempo e risorse. Ma questo non ha niente a che fare con l’egoismo territoriale e sociale che anima questa destra, perché sono disvalori estranei alla Costituzione e che, se perseguiti, renderebbero il nostro paese più debole, più ingiusto e meno moderno”.
(cl.ce.)