Confindustria ha molto da dire sul Made in Italy di Urso
L'Italia ha varato la legge 206 sulla politica industriale. Tra le altre cose, prevede una giornata "del Made in Italy", un liceo dedicato, lotta alla contraffazione tramite blockchain e la Fondazione ministeriale con tanto di premi annuali. Proclami, retorica e provvedimenti vuoti
Negli ultimi giorni della sua perigliosa esistenza il 2023 ci ha lasciato in eredità – bontà sua – una legge di politica industriale, la numero 206 “per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy”. Legge considerata ad alta intensità identitaria e strumento di dialogo (magari anche elettorale) tra i partiti di governo e i distretti della specializzazione produttiva. Una legge che nella sua ultima stesura sembra composta per lo più di proclami & mance e quanto alla rilevanza strategica dei suoi obiettivi basta sottolineare che l’articolo 17 assicura sostegno persino alla filiera del pane fresco. Dal primo testo lanciato nell’agone parlamentare dal ministro Adolfo Urso ci sono stati dei cambiamenti e la Confindustria in questi giorni ha pensato bene di riassumerli a uso e consumo dei suoi iscritti, limitandosi a sottolineare come siano “numerose” le disposizioni dedicate a specifiche filiere produttive.
Insomma meglio elencarle una a una per evitare che strutture e associazioni territoriali possano perdersi in tanta confusione. Rari nantes in gurgite vasto. La legge promette ancora una volta che la promozione dell’eccellenza italiana sarà un obiettivo di sistema a cui dovranno piegarsi anche le ambasciate, storicamente riottose. I precedenti suonano a sfavore ma, per carità, guai a gufare. La scelta importante, intanto, sarà quella di istituire la Giornata nazionale del made in Italy. Data già scelta: 15 aprile. Si prevedono “celebrazioni” in coordinamento con le associazioni di settore e quindi avremo un’inflazione di dibattiti in provincia, con panel straordinariamente rigonfi di amministratori e politici locali, chiacchiere in libertà per cercare di ritualizzare l’eccellenza italiana. E convincere i già convinti.
Ma siamo solo all’antipasto. Subito dopo arrivano le cosiddette “misure orizzontali”. Che in realtà cominciano con una scelta verticale: la creazione del Fondo nazionale del made in Italy. Dotazione iniziale di 700 milioni nel 2023 e di altri 300 nel 2024. Compito assegnato: investire direttamente o tramite altri fondi nel capitale di Spa che hanno sede legale in Italia. I criteri di scelta sono rimandati a un successivo decreto del Mef che dovrà sciogliere anche il nodo dell’eventuale partecipazione degli investitori privati. Molto probabilmente le casse previdenziali dei professionisti. Eccoci però subito dopo alla prima misura orizzontale: 15 milioni di euro per le imprese a prevalente partecipazione femminile. Segue un milione di euro per il Voucher 3I, utilizzabile per coprire le spese di brevettazione. Il passaggio-clou però è quello che riguarda gli incentivi ai settori e alle filiere. Sono tanti e conviene metterli in fila: 1. legno per l’arredo; 2. olio di olive vergini; 3. fibre tessili naturali e provenienti da processo di riciclo; 4. moda (!); 5. nautica; 6. ceramica; 7. pane fresco e pasta; 8. terme. Definirle mance sarà anche banale ma è certo che una politica industriale non si costruisce così e si capisce anche poco come siano state scelte le suddette filiere o come ne siano state scartate delle altre. Coriandoli di spesa visto che sta arrivando il Carnevale.
Come se non bastasse il provvedimento di legge istituisce la definizione di “imprese culturali e creative” purché svolgano una delle seguenti attività. Altro prolisso elenco: ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione di beni, attività e prodotti culturali. Una lista onnicomprensiva che rinvia a un decreto per la definizione dei criteri di (auspicabile) selezione. Intanto però la legge voluta da Urso definisce “start up innovative culturali e creative” le imprese che rispondono alla definizione di start up e a quella di impresa culturale e creativa. Un cortocircuito in cui la norma inscatola la realtà, si rilasciano patenti di innovazione sulla carta e soprattutto si istituisce un (inutile) albo delle imprese creative di interesse nazionale. A che serve tutto questo giro di Peppe se non a finanziare con 3 milioni di euro, per ogni anno dal 2024 al 2033, le preziosissime imprese culturali e creative? Come andrà a finire è facile prevederlo: soldi distribuiti come fossero onorificenze perché quella è la cultura di fondo. L’auto-celebrazione pagata con i soldi dei contribuenti. E infatti, subito dopo, la legge si preoccupa di promuovere anche il settore fieristico e qui i milioni sono 10 per il solo 2024. Il riparto delle risorse è rimandato a un decreto adottato di concerto tra ben cinque ministeri.
Ma in questo castello di carte, prebende e piccoli favori poteva mancare l’istituzione di un altro ente inutile? Certo che no, ed ecco la Fondazione Imprese e competenze per il made in Italy. La sua nascita costerà 1 milione per il 2024 e 500 mila euro per il 2025 e, almeno dalle premesse, si capisce che servirà a conferire ogni anno il premio di “Maestro del made in Italy” a imprenditori che si siano particolarmente distinti (e che evidentemente non riescono a mettersi in gara per un cavalierato). Il made in Italy diventa un festival della medaglia, che a questo punto sarà più difficile negare che assegnare. Dimenticavamo: la Fondazione curerà anche un’Esposizione permanente del made in Italy. E arriviamo alla norma che la stessa Giorgia Meloni si è incaricata di anticipare e lodare: il liceo ad hoc. Che dovrà catechizzare gli studenti sulle virtù dell’industria nazionale e dei distretti e addirittura sviluppare competenze imprenditoriali. Il debutto non è stato dei migliori: non sono molte le scuole che vogliono adottare il nuovo liceo, hanno scritto con eufemismo i giornali. E i primi calcoli parlano di solo una scuola su cinque.
Finiamo con la lotta alla contraffazione e all’italian sounding. Altro finanziamento: 4 milioni di euro per il 2023 e la bella somma di 26 milioni per il 2024 sono destinati a tutelare il prodotto italiano promuovendo la ricerca e l’utilizzo della tecnologia di tracciabilità “tramite blockchain”. Ma siccome non di solo high tech può vivere l’occhiuta repressione dei falsi la legge voluta da Urso estende la possibilità di ricorrere alle “indagini sotto copertura” per i reati di contraffazione. Avremo, dunque, anche un nostro 007 del made in Italy che in omaggio ai principi rigidamente nazionalistici della legge sarà convenzionalmente chiamato Giacomo Bondi.