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Berluscopardo

Forza Italia celebra ancora una volta Berlusconi. Gianni Letta incorona Tajani

Carmelo Caruso

Ci sono le bandiere, le stampelle, i bastoni e poi è vero che ci sono i giovani, i nipotini dei dirigenti di Publitalia ma si può ancora celebrare, come fa Forza Italia, il giorno del ricordo del Cav, ricordato? Tajani urla che “c’è aria di vittoria”

Gianni Letta ci ha dato una carezza, “Il Foglio? Mannaggia a voi, ma bravi!”, Antonio Tajani garantito che “FI è in testa alla classifica”, Fulvio Martusciello spiegato che i voti “sono come gli abbracci: non bastano mai”. Immaginate vostro nonno di 89 anni ballare, all’Eur, al Salone delle Fontane, “Gety Lucky” dei Daft Punk e poco lontano il ministro Gilberto Pichetto muovere il suo piedino sulle note di “è un’emozione/ sarà perché ti amo”. Se lo avete immaginato avete anche capito che i prossimi trent’anni di Forza Italia  saranno da balera. 

Le luci sono tecno, Betty Casellati arriva con due macchinoni, pronta a scatenarsi sulle note di Annalisa e della sua “Bellissima”. Sulla carta si celebrano i trent’anni della discesa in campo di Berlusconi, “questo è il paese che amo”, la famosa videocassetta Beta,  ma dopo pochi minuti sembra di stare a una festa del generone romano, quelle dove mettono “Bandiera Gialla” di Pettenati e Maurizio Gasparri si toglie la cravatta, frustra Sigfrido Ranucci di Report. Un’altra volta ancora è cerimonificio e si evoca lo spirito di Silvio che, come dice Tajani, “anche se non c’è ci guarda dall’alto”. Speriamo per lui che il Cav. si sia distratto perché se avesse visto la fotografia, a schermo intero, che il vicepremier ha scelto,  lo avrebbe demansionato a parcheggiatore di Segrate. La fotografia è in bianco e nero, risale agli anni ottanta, e si vedono le prime stempiature di Silvio. Accanto c’è Tajani con tutti i suoi capelli. Un parricidio. L’evento è più seguito di un G7. La Gazzetta del Mezzogiorno ha mandato la firma delle firme, il campione De Feudis, il Corriere ha il gran maestro Verderami.

 

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Per fortuna Gianni Letta, che rompe il silenzio (“difficile vincere l’emozione dopo aver sentito quella voce”) il partigiano Gianni, ci promette che ci difenderà lui da Giorgia Meloni e da tutti i concorrenti. La famiglia Berlusconi lo ha spedito per confermare che i 98 milioni di debiti di FI li coprono ancora loro. Sollievo. Marta Fascina è rimasta nel suo castello con i folletti e i suoi cento milioni. Il partigiano Gianni indossa un gessato che se lo vede Fazzolari muore di invidia, ma il partigiano Gianni indica pure la direzione per tutti i gappisti in nome di Silvio: “Quello che ha creato Silvio deve continuare nel suo ricordo”. Viene circondato dai fedeli che a loro volta vengono rimandati al viceministro del Made in Italy e delle Imprese, Valentino Valentini: “Si, Gianni. Ho preso io il numero di telefono”. Manca purtroppo Gianfranco Miccichè che ha litigato di brutto con Tajani ma c’è il “Gorla”, Carlo, che è il figlio di Alessio, storico assistente di Berlusconi. Oggi il Gorla assiste il Crippa di Mediaset, l’Oppenheimer di Pier Silvio Berlingueroni. Tra Fininvest, Mondadori, Mediaset si assistono tutti. Letizia Moratti è in turchese ma ha la sedia in terza fila. Eh, no. Il partigiano Gianni le bacia la mano. Bruno Vespa fa il maliardo e ricorda di quando lui “nel 2000 dovette tagliare dodici minuti di Berlusconi”. L’evento lo presenta Safiria Leccese. Il direttore del Tgcom24, Paolo Liguori, altro invitato, scommette che FI “può tenere alle europee”. Seduto c’è Cesare Previti e pure D’Amato, ex presidente di Confindustria. Ma dicevamo di Letta, uno che, come raccontava Dell’Utri a Salvatore Merlo, era contrario alla discesa in campo salvo poi piazzarsi a Palazzo Chigi dove ancora c’è il suo pettinino di madreperla e acqua di Avezzano, il profumo di Gianni. Dice che il discorso di Berlusconi ha “fatto la storia” e che, “grazie a te, “caro presidente, siamo qui. Io sono qui e non ho i titoli anche se qualche giornale ha voluto …”. Boia chi Letta! Mentre parla si presenta un simpaticone, un militante, con un capello a cilindro con su scritto “da Scafati, Silvio per sempre”. Giannilotta, che in pratica fa il postino (porta il messaggio dell’imperatore con la schiscetta, Piersilvio Berlingueroni, e di Marina B.) resta convinto che il “miracolo è destinato a ripetersi. Proseguitene l’opera per un altro ventennio e trent’anni ancora”. Fa l’elenco delle tessere: “C’era la numero due quella di Martino, la tre di Tajani”, del tenero Antonio, uno che per Berlusconi, dice sempre Letta, “non ha mai sbagliato una dichiarazione”. Mentre il partigiano parla si aggira con il suo dolce vita anche il patron del Giornale, Angelucci, che ci fa segno del silenzio. Ha gli occhiali da sole, il baffetto impomatato. Gli manca solo il marranzano. Vito Bardi, governatore della Basilicata che la Lega non vuole ricandidare, e neppure Ronzulli, si diverte e dice che “serve pazienza. Io resisto”.

Per fortuna compare Francesco Paolo Sisto, il sottosegretario alla giustizia, che la dice da filosofo: “Berlusconi è ontologico. Berlusconi è. Per carità non scrivete che guardiamo indietro”. Infatti guardiamo avanti e incontriamo Franco Carraro, ex ministro con la Dc, già sindaco di Roma, che consiglia a Meloni di lasciare perdere il premierato che “porta scalogna” e che, certo, sarebbe bello il partito unico che suggerisce Dell’Utri, ma “Dell’Utri è un utopico, un bibliofilo”. Ci sono le bandiere, le stampelle, i bastoni e poi è vero che ci sono i giovani, i nipotini dei dirigenti di Publitalia ma si può ancora celebrare, come fa Forza Italia, il giorno del ricordo del Berlusconi ricordato? Tajani urla che “c’è aria di vittoria” e non lo si vuole ferire, ma c’era anche aria di Berlusconipardo. Quando veniva diffusa “Azzurra libertà” sembrava infatti di trovarsi nelle pagine di Tomasi di Lampedusa: “Noi fummo i berlusconiani, i dellutri, i gianniletta, i fidelconfalonieri, quelli che ci hanno sostituito sono i Fazzolari, i Delmastro, i Sangiuliani, e tutti si sentono il sale di Palazzo Chigi”. 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio