L'editoriale

Il nuovo squilibrio tra fascismo e comunismo

Giuliano Ferrara

Il sovietismo è reincarnato dallo zarismo neoimperiale putiniano, la Cina si staglia come minaccioso gigante del comunismo del XXI secolo, eppure solo l’antifascismo, specie in Italia dopo la vittoria elettorale del centrodestra,  fa bon chic e bon ton

Quando cercavo di complicare il grande semplificatore, il mio amico Berlusconi, gli dicevo che con quella tiritera anticomunista non andava da nessuna parte, e lo scrivevo. Mi sembrava un modo affannoso, propagandistico e privo di fascino politico, di rincorrere un pregiudizio tanto più assurdo nel paese del Berlinguer pro Nato, dell’eurocomunismo cosiddetto, e prima della via italiana e di Togliatti. Si poteva, pensavo, e si doveva, essere anticomunisti, privilegio dell’intelligenza che rivendicavo da quando mollai una giovinezza intensamente comunista senza intrupparmi nella modalità liberal dei filocomunisti, in un modo più argomentato e sottile di quello scelto dal Caro Leader, compresi, visto che al semplificatore nulla era precluso, i bambini mangiati, bolliti proprio e sgranocchiati.

 

Per me il libro chiaro del liberalismo, almeno come metodo e come piattaforma contro la rivoluzione triste delle procure della Repubblica e dei pool, una variante burocratico-borghese dell’autoritarismo statalista, era molto meglio del libro nero del comunismo agitato come spauracchio per inebetiti e creduloni. Aveva le sue ragioni, il Cav., il suo contatto con il paese e il suo centrodestra richiedevano quel mastice e altre pratiche appiccicose, era la via più facile, solo che quelle ragioni non erano le mie, non erano quelle del giornale di fiancheggiamento e fronda che ci era toccato in sorte di creare, potevano essere incompatibili con una certa gravitas che a Berlusconi sembrava una fanfaronata peggiore anche delle sue (era un uomo consapevole della propria maschera), incompatibili con lo spirito rassembleur che per un certo periodo fu all’origine di un suo vero successo nazionale e popolare e dello scompaginamento della sinistra antiberlusconiana, nullista, giustizialista, demagogica e oltranzista.

 

Oltre tutto, io non ero per l’equiparazione dei totalitarismi, avevo un senso dell’individualità storica dei fenomeni dl Novecento molto spiccato, la simiglianza delle procedure e di alcuni valori oppressivi e criminogeni non implicava, almeno per la mia formazione intellettuale,  l’appiattimento in una notte in cui tutte le vacche sono grigie: anticomunista sì, e fino in fondo, ma come volevo io, come imponeva la mia matrice, che non era quella del ceto medio brianzolo benemerito e di una certa chiacchiera italiana generica.

 

       Ora però sono colpito da un fenomeno che nessuno segnala ma è sotto gli occhi di tutti. Il sovietismo è reincarnato dallo zarismo neoimperiale putiniano e dai suoi simboli, la Cina si staglia come un minaccioso gigante del comunismo del XXI secolo, perfino il bambolotto missilistico coreano si fa avanti credibilmente su uno scenario di guerra, la nomenclatura di Xi domina un comunismo di mercato ma non per questo meno comunismo e stato totalitario guidato dalle leggi bronzee del partito unico e dell’ideologia d’antan. In confronto alle ideologie e pratiche di guerra e sconfinamento degli interpreti attuali di questo vecchio incubo, i deliri populisti e trumpiani e orbaniani in giro per il mondo sono una variante minore ed equivoca della vecchia reazione antibolscevica. Eppure solo l’antifascismo, specie in Italia dopo la vittoria elettorale del centrodestra a guida ex missina,  fa bon chic e bon ton, solo quello si porta come bagaglio di memoria, e dall’equiparazione troppo facilista e ideologica fra i totalitarismi si è passati alla cancellazione del retaggio della dittatura del proletariato e alla sovraestimazione, in certi casi fanatica e intollerante, del lascito o deposito del fascismo. La bandiera rossa cinese e maoista sventola, l’inno di Stalin suona nelle cerimonie di Putin, le truppe varcano i confini riproponendo una storia blindata, il dissenso è sempre ben custodito nelle prigioni siberiane, lo sterminio e la deportazione dei popoli si fa largo con le solite pratiche asiatiste ai confini cinesi, il culto della personalità si ripropone pervasivo e penetra anche in occidente in forme sghembe, e noi siamo impegnatissimi con la fiamma poverella e nostalgica nel simbolo del partito di Meloni, con i saluti romani di un centinaio di veterani di una strage antimissina dei tempi di Almirante, con le metafore abusive del bavaglio e del manganello. Solo il Foglio e l’Economist riconoscono la Ducia liberale per quella figura tentativamente mainstream, normalizzatrice di una destra che fu e non c’è più. Non è un po’ assurdo questo squilibrio?

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.