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"Lasciato il Pd, sono diventato Al Capone". Un'anticipazione del nuovo libro di Renzi
L’inchiesta “vergognosa” su Open, le “tesi strampalate” della procura di Firenze, il coinvolgimento dei genitori. Un conflitto politico-istituzionale. Nel suo nuovo libro l'ex premier si toglie molti sassolini dalle scarpe
Nei prossimi giorni in libreria “Palla al centro. La politica al tempo delle influencer”, il nuovo libro di Matteo Renzi, edito da Piemme, con rivelazioni sul primo anno di governo Meloni e sulle prossime sfide che attendono il leader di Italia viva. Pubblichiamo qui di seguito un’anticipazione.
Quello che doveva essere il grande processo Open – la prova delle malefatte mie e del cosiddetto Giglio Magico – sta diventando il più clamoroso autogol che la procedura penale abbia vissuto negli ultimi dieci anni. L’allora Procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, il suo aggiunto, Luca Turco, il sostituto Antonino Nastasi si convincono che dietro la Fondazione Open, che tra le altre cose organizza la Leopolda, ci sia un giro di malaffare. È una tesi strampalata che le carte smentiscono se solo si ha l’onestà intellettuale di leggerle Ma il boccone è troppo ghiotto. Abbiamo appena lasciato il Pd e tentiamo di lanciare un’alternativa per il centrosinistra riformista. Sono tornato a dare le carte – cosa che farò comunque, come dimostra la vicenda Conte-Draghi – e intendo farlo fino in fondo. L’apertura dell’inchiesta tramortisce le nostre speranze perché tutti i media aprono per mesi su Open. Al Capone al confronto sembra un ragazzino.
Vengono disposte perquisizioni impressionanti, centinaia di uomini su tutto il territorio nazionale vengono chiamati a rovistare nei cassetti delle mutande di persone per bene e non indagate, alla ricerca delle prove del finanziamento a Open. Ma siccome tutti i versamenti erano fatti con bonifici tracciati e regolari, bastava andare in banca senza bisogno di scomodare centinaia di finanzieri. Si faceva una richiesta alla banca e si mandavano i finanzieri, i carabinieri e i poliziotti a cercare i narcotrafficanti o i camorristi. O Matteo Messina Denaro, visto che se avessero spedito duecento persone a Campobello di Mazara avrebbero arrestato prima il Boss dei Boss. Ma a loro interessava un altro Matteo. Bisognava dimostrare che Renzi aveva scalato il Pd partendo dalla Leopolda. Ma dai, non mi dire. Che notizia straordinaria. Chi l’avrebbe mai detto, eh? E che lo aveva fatto raccogliendo risorse. Già, come si fa in tutte le democrazie. Ma quelle risorse erano trasparenti e legittime.
Andare a prendere i telefonini, magari per verificare che cosa ci fosse dentro anche oltre la vicenda Open, è una cosa che non si può fare in un paese democratico. Le sentenze della Cassazione contro la Procura di Firenze sono cinque, tutte importantissime. Mettono un freno alla discrezionalità dei pm
Sapete che cosa non era legittimo, secondo la Corte di Cassazione? Il decreto di sequestro e di perquisizione. Cioè di illegittimo in questa vicenda c’è solo l’attività dei pm, non la nostra. Andare a prendere i telefonini, magari per verificare che cosa ci fosse dentro anche oltre la vicenda Open, è una cosa che non si può fare in un Paese democratico. Non è che un magistrato si sveglia e attenta alla privacy di un cittadino senza una ragione precisa e proporzionata. Le sentenze della Cassazione contro la Procura di Firenze sono cinque, tutte importantissime. Mettono un freno alla discrezionalità dei pm. Pm che nel frattempo sono costretti da scandali a tornare a casa, come Creazzo, il Procuratore capo, nei guai per un’aggressione sessuale a una collega. O che sono costretti a difendersi dai propri colleghi, come Turco e Nastasi che dovranno affrontare un procedimento disciplinare al Csm.
Sconfiggiamo i Procuratori di Firenze davanti alla Cassazione ma lo facciamo anche davanti alla Corte Costituzionale. Il loro modo di procedere non rispetta le norme dell’articolo 68 della Costituzione. E il bello (il brutto) è che glielo avevo scritto quattro anni fa: “Guardate che io sono parlamentare. Per utilizzare certi documenti dovete formalmente chiedere autorizzazione al Senato. Sappiate che io sono favorevole a darvi tutte le carte che volete ma dovete rispettare le forme previste dalla Costituzione perché le leggi valgono per tutti. Anche per i Procuratori della Repubblica di Firenze”. Invece loro decidono di non rispondere alla mia lettera. E pensano di vivere in una Repubblica autonoma dove la Costituzione non conta. Il Senato pone il conflitto d’attribuzione. E ovviamente noi vinciamo e la Procura di Firenze perde, nonostante venga difesa in Corte da un autorevole membro della direzione nazionale del Pd. E già, perché in questo procedimento penale non solo il Procuratore Turco interroga come testimone dell’accusa un tandem composto da Pier Luigi Bersani e Rosy Bindi (hai capito su che solide basi poggia l’accusa? La testimonianza di Bersani e Bindi) ma poi, quando va in Corte Costituzionale per difendersi, sceglie l’avvocato Andrea Pertici, membro della direzione nazionale del Pd di Elly Schlein e da sempre avversario storico delle nostre riforme. Ma vi rendete conto di che commistione politico-istituzionale ci sia in questo procedimento casualmente aperto appena ho lasciato il Pd?
Quello che mi fa male è che la Procura di Firenze fa spendere allo Stato centinaia di migliaia di euro in intercettazioni, perquisizioni, documentazioni per un reato che chiaramente non esiste, visto che il finanziamento illecito è tecnicamente impossibile per la Fondazione Open. Ma lo fa comunque perché con ogni evidenza è convinta di trovare altro. E nel momento in cui non trova altro, perché noi siamo persone serie e quello che facciamo lo facciamo rispettando le leggi e alla luce del sole, anziché fermarsi e occuparsi dei reati che ogni giorno si commettono a Firenze (e da cittadino residente ho la sensazione che non siano pochi), questi magistrati vanno avanti. Quando Luca Turco diventa reggente della Procura perché dopo lo scandalo sessuale e la mancata promozione l’ex capo Creazzo torna a Reggio Calabria, alla Procura minorile, a Firenze il capo degli inquirenti diventa lui. Ma mentre continua a imbastire e seguire processi su di me, mia madre, mio padre, mia sorella, mio cognato, il Procuratore capo facente funzione non si accorge – o, peggio ancora, decide di non intervenire o di non far intervenire i suoi –di una drammatica piaga nel cuore del capoluogo toscano.
Siamo nell’ex Hotel Astor, una struttura posta nel Quartiere 1, quello centrale, nelle immediate retrovie del centro storico. Questa struttura viene occupata nel settembre 2022. Vi si riversano centinaia di persone, con molti minori, guidate soprattutto da un gruppo di peruviani. Correttamente il Comune chiede lo sgombero immediato. La Procura rifiuta di procedere. In quell’occupazione abusiva piano piano succede di tutto. Non è solo il racket delle stanze con un posto letto pagato al clan criminale di turno. E non è solo la “solita” questione di droga. C’è molto peggio. Le violenze si accavallano finché nel maggio 2023 un uomo vola dal quarto piano. È un tentato omicidio ma neanche dopo questa follia la Procura decide di intervenire e sgomberare. Chissà di cosa si stanno occupando in quella fase gli uomini e le donne di Luca Turco. Magari non dei miei processi, chissà. Ma sicuramente neanche dell’Astor che rimane in questa situazione fatiscente nonostante gli allarmi e le denunce.
Sabato 10 giugno 2023 una bambina di cinque anni, Kata, sparisce nel nulla all’improvviso. La mamma era fuori e l’aveva lasciata con cuginetti e amici. Il padre è in carcere. Potete immaginare come può crescere una bambina di cinque anni in un contesto privo di ogni legalità. E quanta colpevole responsabilità ci sia in chi ha lasciato Kata e quelli come lei in una situazione così degradata. Mentre scrivo non so che cosa sia davvero accaduto a Kata. Spero con tutto il cuore che sia viva. Che sia all’estero come alcune segnalazioni lascerebbero pensare. Ma da padre e da fiorentino mi vergogno di una città che un tempo era famosa per essere la culla dei bambini abbandonati creando – prima al mondo – una struttura come l’Ospedale degli Innocenti e oggi lascia che i bambini vengano rapiti perché la Procura di Firenze non sgombera un edificio che sia il Comune che la proprietà hanno chiesto di sgomberare. Ma quelli che allora guidavano la Procura evidentemente avevano altre priorità. E chi sbaglia non paga mai, perché? Eppure è questo ciò che i cittadini si aspetterebbero dalla giustizia: la garanzia della loro sicurezza. Il tema delle occupazioni abusive è una piaga troppo spesso tollerata nelle nostre città. Dalle case private, il cui canone è spesso fonte di sostentamento per i proprietari che non sono certo ricche multinazionali, alle case popolari che vengono illegittimamente sottratte con la forza a chi ne avrebbe diritto. Anziani che vengono ricoverati in ospedale e che tornano trovando la loro casa occupata da altri, criminali senza scrupoli. Fino agli edifici, come l’ex Hotel Astor, che diventano centri di delinquenza e spaccio. E ancora, tutti quegli stabili occupati da sigle politiche di estrema destra ed estrema sinistra.
Tanto ci sarebbe da fare, per combattere l’illegalità. E su questo le procure serie si concentrano. Non sulla ricerca dei titoli sui giornali, ottenuti attraverso inchieste che crollano poi come fragili castelli di carta. La Consulta ci ha dato ragione e ha annullato quei provvedimenti illegittimi. Ha dimostrato che dalla parte della legalità stavamo noi, non i due pm. La stampa l’ha definita una sentenza storica: storica non perché riguarda me, ma perché traccia un netto confine. Se la si dovesse riassumere in una sola frase, si potrebbe dire che ha dimostrato che anche i pm devono sottostare alla legge. Che ci sono dei limiti che non possono essere travalicati e che quei limiti sono stati scritti nero su bianco dai nostri padri costituenti.
I pm fiorentini dovranno adesso rivolgersi nuovamente al Senato per chiedere l’utilizzo di quella corrispondenza sequestrata in modo illegittimo. Considero quel sequestro illegittimo, ma voterò affinché il Senato consegni alla Procura quella corrispondenza. Non ho nulla da temere, perché sono nel giusto e io non ho commesso alcun reato, a differenza a mio avviso dei pm. La battaglia che ho combattuto e che ha portato alla sentenza della Corte Costituzionale non l’ho combattuta per me stesso, ma per la legalità. E per i tanti cittadini che non possono permettersi di pagare avvocati, dedicare tempo e denaro alla propria difesa. E che restano incastrati nel meccanismo distruttivo della malagiustizia. Quello che volevo era ristabilire un principio, quello della legalità. Ridare dignità alla politica e alla separazione dei poteri. Una dignità che troppo spesso nel corso degli ultimi anni la politica stessa si era negata. Ed è con la stessa determinazione che mi sto difendendo nel corso delle udienze su questa vergognosa inchiesta. In una di queste, è capitato che mi dovessi difendere anche da un attacco che definire irrituale è un eufemismo. Nell’aula di un tribunale, infatti, si intende per difesa quella realizzata a colpi di diritto, con cui i legali contestano le tesi dell’accusa. Non ti aspetti di certo che il pubblico ministero contesti all’imputato, per giunta parlamentare della Repubblica, un’intervista. E invece è accaduto perfino questo. Il dottor Turco ha polemizzato su una intervista che ho rilasciato a La Stampa, invitandomi a ripetere la frase rivolta a lui e ai suoi colleghi: “Non mi fido di voi”.
La battaglia che ho combattuto e che ha portato alla sentenza della Corte Costituzionale non l’ho combattuta per me stesso, ma per la legalità. E per i tanti cittadini che non possono permettersi di pagare avvocati, dedicare tempo e denaro alla propria difesa. E che restano incastrati nel meccanismo distruttivo della malagiustizia
Naturalmente rivendico quella frase. E gliela ho ribadita in faccia con determinazione. Chi pensa di intimidirmi non mi conosce. Peraltro Luca Turco mi ha risposto: “Fa bene a non fidarsi di noi”. Mai avuto dubbi in merito. Ma la prima cosa che ho pensato, a mente fredda, è stata: e se quella contestazione, quei toni, fossero stati rivolti a chi non ha come me la stessa visibilità, gli stessi spazi per replicare, le stesse spalle larghe?
Le azioni del dottor Turco saranno giudicate dall’organo competente, perché è in corso un’azione disciplinare del Csm nei suoi confronti. Mi auguro che, finalmente, questo nuovo Csm sancisca un principio sacrosanto: chi sbaglia, paga. Anche se indossa una toga. Da parte mia, mi sono limitato a mettere in fila, nero su bianco – in un esposto disciplinare che ho recapitato al presidente del Consiglio superiore della magistratura, al presidente della Corte di Cassazione, al ministro della Giustizia, al presidente della Repubblica – tutte le azioni del dottor Turco che a mio avviso violano la legge. Le ho stampate su un quaderno rosso, colore scelto non a caso, viste le attenzioni che mi riservano le cosiddette toghe rosse. Da ultimo una di loro, Eugenio Albamonte, leader di Area, in un’intervista ha detto che “Renzi è ubriaco di maggioritarismo”. Sinceramente non so se sia normale che un magistrato possa rivolgersi così a un cittadino. Immaginate cosa succederebbe se un parlamentare desse dell’ubriaco a un magistrato. Sarebbe messo immediatamente sotto processo, come minimo. E’ quello che è successo a me, per molto meno.
Dovrò difendermi dall’accusa di diffamazione per essermi permesso di criticare l’azione della Procura di Potenza. Il dottor Francesco Basentini, già sostituto Procuratore a Potenza e poi capo del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, mi ha citato per diffamazione nei suoi confronti. E i suoi ex colleghi della città lucana mi hanno citato in giudizio. Il dottor Basentini, oltre a essere stato a capo del dipartimento per volere del guardasigilli Alfonso Bonafede all’epoca delle rivolte nelle carceri esplose durante il periodo del Covid, e di cui avevo per questo chiesto in aula le dimissioni, è anche l’autore del clamoroso buco nell’acqua che prende il nome di Tempa Rossa, l’inchiesta che lambì Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico nel mio governo, e che portò alle sue ingiuste dimissioni. Ho molto sofferto vedendo patire la mia amica Federica e vedendo messa in dubbio la nostra correttezza.
Basentini oggi mi porta in tribunale per aver definito quell’inchiesta uno scandalo. Nel dubbio lo ripeto. E dico anche, nero su bianco, che il fatto che la Procura di Potenza porti a processo un parlamentare per aver espresso una legittima opinione è un atto eversivo e anticostituzionale. Ma anche qui: io rispondo, replico colpo su colpo, ribatto. Un cittadino normale come può reagire?
Io faccio questa battaglia non per me, ma per chi non si può permettere di alzare la voce o spendere soldi per un ricorso.
Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A.
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