La proposta di legge
Il Pd vuole cambiare nome alla Camera in nome della parità di genere
La proposta di riforma costituzionale di due deputati dem: inserire anche "le deputate" nella denominazione ufficiale di Montecitorio. "È una provocazione", dice al Foglio uno dei due firmatari
Cambiare il nome della Camera dei deputati in "Camera dei deputati e delle deputate". È la proposta di legge costituzionale presentata da due parlamentari del Partito democratico, Gian Antonio Girelli e Sara Ferrari, che mira a cambiare la denominazione della seconda camera del Parlamento italiano in nome dell'inclusività e della parità dei sessi. "La nostra proposta è frutto della presa di coscienza che i tempi oggi sono cambiati, ma vuole essere anche una provocazione alla maggioranza e al paese per far sì che i diritti e la parità di genere tornino a essere rilevanti nel dibattito pubblico", spiega al Foglio Girelli, uno dei due firmatari. "Il contesto nel quale è nato quel nome ora non esiste più", per cui "occorre cambiare".
Inutile dire che la notizia ha scatenato l'ironia dei social. Gli elettori, tra i commenti e i messaggi, si sono chiesti se siano queste le priorità del Partito Democratico e se un nome possa fare la differenza nell'immenso lavoro che c'è da fare dal punto di vista del rispetto di genere. "Francamente sono rimasto sorpreso da alcune reazioni" dice Girelli. "Noto una grande contrapposizione ideologica a questa provocazione, anche e soprattutto per chi ci parla di 'priorità'. La questione non è prioritaria? I diritti nella scala dei valori non credo che vengano dopo altri temi. Il problema qui non è di priorità o importanza, ma nella volontà di non riprendere alcuni temi su cui fare dibattito".
A questo punto gli chiediamo se un provvedimento del genere non rischi di banalizzare quella che invece è una battaglia più complessa: "L'idea è nata in una delle tante situazioni di confronto sui pregiudizi culturali nei confronti delle donne. Non si tratta di banalizzazione. Io le lezioni le prendo da chi è in grado di darmele, non da chi pensa che un'idea del genere possa banalizzare il dibattito", continua il deputato. "Come Pd abbiamo presentato una marea di proposte di legge che mirano a tutelare le donne, la disparità salariale, la maternità, il lavoro femminile, i diritti e i diritti effettivi, la sanità femminile e altri temi. Tutte ci sono state bocciate dalla maggioranza", attacca il dem.
Che sia quindi questo sintomo della debolezza della leadership del partito? A questa domanda Girelli non risponde, ma spiega come "sia importate investire in una migliore comunicazione". E su Giorgia Meloni, che ha scelto di farsi chiamare presidente al maschile commenta: "Meloni è la stessa che più delle altre ha penalizzato le donne, mentre noi abbiamo sempre cercato di proporre leggi a loro vantaggio come quella sui caregiver, ad esempio".
L'approvazione della proposta di legge, come ogni riforma costituzionale, nei fatti è abbastanza impegnativa. Come ha scritto per primo il Giornale questa mattina, il testo è stato depositato il 31 gennaio alla Camera. Il tutto è ancora in fase embrionale e il documento non è ancora disponibile. Anzi, forse non lo sarà mai: "Per modificare il nome occorre modificare la Costituzione, il testo è tutto lì", ci dice Girelli. Perché passi è necessaria la maggioranza qualificata del Parlamento (pari a due terzi) e, qualora non ci fosse, per approvarla occorrebbe coinvolgere i cittadini attraverso un referendum dai costi considerevoli. Il tutto per modificare un singolo nome che difficilmente inciderà su quello che è un problema – piuttosto – socio-culturale. Provocazione riuscita, però.