Il ministro dei "se" e la banalità del debito

Luciano Capone

Se non ci fosse evasione, se non avessivo avuto il Covid, se non esistesse il Superbonus... Giorgetti ormai parla del debito pubblico solo con periodi ipotetici del terzo tipo, quelli dell'irrealtà. Ma il problema di tanta ovvietà è che implica l'ineluttabilità: l'assenza di una strategia per ridurlo

Giancarlo Giorgetti pensa di poter ridurre il debito pubblico con i “se”. Nel senso che ormai affida la questione solo con i periodi ipotetici. Ma il problema più grande è che non usa periodi ipotetici della realtà o della probabilità, ma quelli del terzo tipo: dell’irrealtà.

 

Commentando gli ultimi dati, molto positivi, sul contrasto all’evasione fiscale, il ministro dell’Economia ha detto che l’Italia ha un grande “magazzino” di tasse accertate ma non riscosse: “Quando le agenzie di rating cominciano a chiedermi conto del debito pubblico italiano – ha dichiarato Giorgetti – io rispondo che la metà del debito pubblico sarebbe coperto se questo magazzino non esistesse e fossero state pagate le imposte accertate”.

 

Purtroppo non conosciamo la risposta delle agenzie di rating, né siamo in possesso di una diapositiva dei loro sguardi dopo aver ascoltato le parole del ministro dell’Economia che gestisce il debito pubblico più alto d’Europa dopo la Grecia. Perché le parole di Giorgetti non hanno alcun senso. Come ha chiaramente spiegato pochi giorni fa il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, il magazzino della riscossione contiene una mole di 163 milioni di cartelle e avvisi vari per un valore complessivo di 1.200 miliardi di euro. Ma di questa massa di crediti appena 100 miliardi possono essere verosimilmente riscossi. I restanti 1.100 miliardi, pari al 92 per cento del totale, sono crediti inesigibili, perché intestati a persone decedute, nullatenenti, aziende in fallimento o già chiuse, o a soggetti verso i quali l’agenzia ha già svolto attività di riscossione senza risultati. Cosa avranno replicato le agenzie di rating all’acuta osservazione di Giorgetti? Probabilmente che se quelle tasse fossero state incassate, l’Italia avrebbe avuto un rating migliore. Un po’ lapalissiano, forse, ma tant’è.

 

Non è la prima volta che Giorgetti parla del debito pubblico italiano con il “se”, ovvero descrivendo scenari alternativi irreali e a tratti surreali. Qualche mese fa, il ministro dell’Economia ha spiegato che la crescita del debito al 140 per cento del pil non è responsabilità di nessuno: “Non è colpa né di Berlusconi né di Conte – ha detto Giorgetti –. Ci sono stati il caso Lehman Brothers e c’è il Covid” che hanno fatto salire il debito di 20 punti, “togliete lo choc dei due fattori esogeni che non dipendono dalla politica italiana e avrete un profilo di debito diverso”. In sintesi, se non ci fossero state la crisi finanziaria e del debito sovrano del 2011 e la pandemia del 2020 il debito sarebbe più basso. Anche questa non deve essere stata un’affermazione che ha sconvolto, se non per l’ovvietà, le agenzie di rating e gli investitori. Dovrebbero essere concetti noti. 

 

In un’altra occasione, commentando le nuove regole del Patto di stabilità e la difficoltà dell’Italia a far calare il debito come richiesto, il ministro La Palice ha sentenziato che “se non ci fosse l’eredità del Superbonus, il debito si ridurrebbe in automatico di un punto di pil l’anno, come chiede la Germania”. Il problema, che non sarà sfuggito agli osservatori più perspicaci, è che il Superbonus esiste e ha continuato a macinare 3,5 miliardi di spesa al mese anche durante tutto il 2023.

 

Il problema dei periodi ipotetici del terzo tipo di Giorgetti non è solo la banalità ma l’implicita ineluttabilità. Il messaggio che rischia di passare non è tanto quello di un ministro dell’Economia lapalissiano, ma di un ministro dell’Economia che non ha alcuna strategia per ridurre il debito pubblico nel mondo reale. Secondo le proiezioni della Commissione, l’Italia sarà l’unico paese europeo ad alto debito che vedrà il suo debito pubblico crescere ulteriormente: dal 139,8% del pil nel 2023 al 140,9% nel 2025. A questo scenario non si può rispondere con i “se”, perché non servono a ridurre lo spread né la spesa per interessi che corre verso i 100 miliardi all’anno.

 

Anche perché nel resto d’Europa ci sono paesi cosiddetti periferici che registrano consistenti e costanti riduzioni del debito. La Grecia ha un debito pubblico previsto in discesa dal 160,9% del 2023 al 147,9% del 2025, per poi arrivare sotto l’Italia negli anni successivi. Il Portogallo ha già portato il debito pubblico sotto il 100%, con un crollo di 35 punti in quattro anni, tornando così al livello del 2009.

 

L’Italia che strategia per il futuro presenta? Se avessimo riscosso 1.000 miliardi di tasse non pagate, se non avessimo avuto la crisi del debito e la pandemia, per non parlare della guerra, se non ci fosse stato il Superbonus... Giorgetti ha un’alta considerazione dei “se”, come spessio accade ai debitori in difficoltà, ma non è esattamente il tipo di discorso che tranquillizza i creditori. Anzi.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali