Le proteste
Le ragioni dei trattori. Servono ricerca, innovazione e poca burocrazia
L’agricoltura in crisi affronta sfide cruciali: cambiamento climatico, sostenibilità ambientale, maggiore competitività. Quel che si chiede alla politica sono strategie e strumenti innovativi per superarle
Le proteste degli agricoltori e il modo in cui si sceglie di raccontarle sui media portano a commentare che sì, siamo in campagna elettorale e tutti hanno un’agenda. Questo non fa bene all’agricoltura e al bisogno di rispondere alle molte sfide che essa ha davanti. Da agricoltrice ed europeista convinta mi preoccupa la facilità con cui si abbandonano le sofferenze del settore primario alle risposte facili e sbagliate del populismo. Sono le sofferenze di fronte a un cambio epocale, come quello introdotto dalla nuova Politica agricola comunitaria e dal Green deal.
Premetto che non condivido i modi della protesta e nemmeno tutti i contenuti: prendersela con la carne coltivata o con la farina di insetti non ha alcun senso ed è solo un segnale di disagio mal diretto. Gli agricoltori europei producono all’interno del quadro di regole più severo che esista, sia dal punto di vista ambientale che della salubrità: il nostro cibo è il più sicuro al mondo eppure abbiamo i consumatori più spaventati al mondo. È vero, siamo sovvenzionarti per produrre cibo sano e a buon mercato. Ma il valore di quegli indennizzi si è dimezzato negli ultimi due anni a fronte di requisiti ancora più stringenti che spesso non seguono logiche scientifiche. Si dice che la spesa comunitaria per l’agricoltura non è calata, ma la verità è che per ottenere contributi di qualche decina di euro in più a ettaro viene chiesto di rinunciare alla difesa delle colture da insetti e malattie, quindi di produrre di meno: da dove dovrebbero arrivare il reddito degli agricoltori e il cibo per i consumatori, quando un prodotto non difeso rischia di essere malsano e non vendibile?
Quanto all’esenzione dall’Irpef, gli agricoltori non sono tassati a bilancio ma a forfait, quindi a prescindere da quel che producono. Prendiamo ad esempio la coltivazione di frumento e quella di uve da vino: la prima porta a un genere di prima necessità, il pane, che non può costare troppo; la seconda porta a un prodotto a valore aggiunto e quindi a redditi ben maggiori. Entrambe sono tassate allo stesso modo: un cerealicoltore che non ha titoli per piantare viti, cioè non ha il permesso per farlo, paga un’imposta pari a quella di un viticoltore o di un produttore di piantine di vite. Si dice che gli agricoltori sanno solo lamentarsi e non sanno confrontarsi con il mercato. Di certo non possiamo confrontarci con quello estero che produce mais Ogm, più sano del nostro e più richiesto dai mangimisti, con il quale si nutrono gli animali che danno i prosciutti e formaggi del Made in Italy. Agli agricoltori italiani questa tecnologia utile per la competitività è stata negata; non dall’Europa, ma da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni in Italia. Siamo passati in dieci anni dall’essere autosufficienti per il nostro fabbisogno di mais a importarne la metà, in buona parte Ogm.
Insomma, gli agricoltori protestano perché non riescono a fare bilancio, sono soffocati dalla burocrazia e da troppe regole non sempre basate su dati scientifici, sono umiliati, sono accusati di non essere competitivi ma non vengono autorizzati a esserlo. E protestano perché tutto questo sta peggiorando. Cosa ci serve? Oggi ci sono nuove biotecnologie utili per la sostenibilità ambientale ed economica del processo di produzione del cibo: in Italia le chiamano Tea, recniche di evoluzione assistita; in Europa Ngt, Nuove tecniche del genoma. Finalmente anche l’Italia ha fatto richiesta per le prove in campo di un riso ottenuto con Tea dal team della prof. Vittoria Brambilla dell’Università di Milano. Permetterà di evitare il trattamento fungicida visto che il riso non si ammalerà di brusone. Bene: ci auguriamo che da questa apertura arrivi anche una nuova stagione di finanziamenti per la ricerca e una chiara strategia per la filiera del cibo.
Ci serve una politica che aiuti a creare un clima fertile per l’innovazione. E, banalmente, serve la seria volontà di tagliare la burocrazia. Infine serve che noi agricoltori condividiamo le sfide che abbiamo davanti: cambiamento climatico, sostenibilità ambientale, competitività. Con la società dobbiamo condividere strategie e strumenti innovativi per affrontarle.
Deborah Piovan è imprenditrice agricola