Il caso
I conflitti che paralizzano da un mese il quarto decreto Fitto sul Pnrr
Si capirà solo oggi se il provvedimento potrà arrivare in Consiglio dei ministri. La tensione tra il ministro per il Pnrr e il Mef è ancora altissima
Decreto-legge “Pnrr 4” sul filo di lana. A Palazzo Chigi si è lavorato anche sabato e domenica per cercare di portare il provvedimento al Consiglio dei ministri di oggi, ma ancora ieri il groviglio che ha tenuto paralizzata la quarantina di articoli del Dl per oltre un mese non si era sciolto. Solo stamattina si capirà se lo sprint per chiudere in giornata sarà possibile o se si dovrà rinviare al prossimo Cdm. La tensione tra il ministro per l’Europa e il Pnrr, Raffaele Fitto, e il Mef-Ragioneria generale era ieri ancora altissima. La questione più divisiva resta il destino degli interventi stralciati dal Piano, a partire da quelli comunali che valgono dieci miliardi e hanno ormai assunto le sembianze di un mostro a tre teste: oltre al problema della copertura finanziaria, che resta il numero uno, ci sono anche quelli della collocazione dei progetti stralciati e, conseguentemente, delle regole che dovranno applicare. Con il suo consueto modo di operare improntato a prudenza, la Rgs è tutt’altro che convinta che l’impianto messo su da Fitto con la revisione generale del Pnrr arrivi tutto al traguardo al 2026. Cerca quindi di prevenire drammatici ritardi, che già si avvertono anche laddove tutto marciava spedito fino a qualche tempo fa (per esempio Rete ferroviaria italiana che sta rendicontando con molta lentezza i nuovi interventi svolti). E soprattutto cerca di cautelarsi rispetto a pesanti contraccolpi che i ritardi potrebbero portare in termini di minori finanziamenti europei nelle casse del Tesoro. Ha quindi deciso di costruirsi con i progetti stralciati da Fitto una “riserva” che potrebbe tornare utile qualora i progetti rimasti nel Pnrr non ce la facessero a rispettare target e cronoprogrammi. Una sorta di lista parallela, finanziata con risorse nazionali, che potrebbe trovare posto anche all’interno del decreto Mef atteso da settimane che deve sancire ufficialmente cosa resta dentro e cosa esce dal Pnrr, indicando l’elenco dei progetti finanziati dalla Ue. A questo proposito, la posizione Ue è sempre stata che quel decreto ministeriale – una vera enciclopedia dei progetti del Pnrr che è stato varato in prima edizione il 6 agosto 2021 – è un atto di ordinamento “interno” mentre a fare testo con Bruxelles è unicamente la decisione di esecuzione del Consiglio Ue. Differenze o allegati con progetti di riserva non creerebbero nessun problema di rapporto con l’Unione. Questa è una delle ragioni per cui il Mef ostinatamente ha deciso di non pubblicare la riedizione del decreto del 6 agosto, che darà il via libera al Pnrr riformato, finché non sarà stato pubblicato il decreto legge Pnrr 4 e non sarà stata trovata una soluzione definitiva al problema del finanziamento e della collocazione dei progetti stralciati. Per altro, senza il decreto ministeriale del Mef non possono partire tutti i progetti nuovi catapultati nel Pnrr che già dovrebbero fare un miracolo a essere avviati e completati in 24 mesi.
In questa partita intrecciata trova un ruolo anche il tema delle regole da applicare ai progetti stralciati, che invece ha già trovato una sua composizione. Ai vecchi progetti si continueranno ad applicare norme, procedure e semplificazioni del Pnrr, come se non fossero mai stati stralciati. Resta la corsia preferenziale per continuare a correre e rispettare le scadenze. Almeno per tutti quei progetti per cui è già stato pubblicato il bando di gara. E sappiamo ormai – e sa anche la Ragioneria – dai numeri clamorosi degli appalti comunali del 2023 – bandi pubblicati per 24 miliardi di euro e gare aggiudicate per 12,9 miliardi di euro – che i progetti dei comuni hanno marciato velocemente, come diceva – nella querelle con Fitto - il presidente di Anci Decaro. Tutti i progetti comunali, quindi, andranno avanti e dovranno andare avanti rapidamente, non più perché lo chiede Decaro, ma perché è questo il paracadute del Mef rispetto a crepe che dovesse mostrare il Pnrr rivisto da Fitto. Anche se dovesse comportare qualche sacrificio in termine di risorse di cassa. Il Mef ha fatto filtrare che per gran parte dei progetti comunali stralciati non ci sarebbero problemi di copertura perché non è mai stato cancellato o ridestinato lo stanziamento nazionale che in origine finanziava questi progetti. Vero. È anche vero che, se dovranno rispettare i tempi accelerati del Pnrr “parallelo”, avranno bisogno di una pronta cassa che non necessariamente era disponibile. Ma in questo potrebbe venire in aiuto il fondo rotativo per i progetti Pnrr istituito dal comma 1037 della legge di bilancio 2021 che con i suoi 32 miliardi è lì proprio a garantire finanziamenti temporanei che dovessero mancare sul singolo progetto.
Alla vigilia del decreto legge “Pnrr 4” non è neanche chiaro se ci sarà o meno la resa dei conti, inevitabile prima o poi, sul Piano nazionale complementare (Pnc) da 30,6 miliardi, altra “riserva” parallela al Pnrr che finanzia progetti collegati ma che in genere ha tempi intermedi più lenti. La resa dei conti ci dovrà essere perché il Pnc è fuori controllo, sia in termini di informazioni disponibili sia in termini di ritardi rispetto ai cronoprogrammi. Una quota del Fondo nazionale complementare potrebbe essere già “requisita” ora proprio per finanziare i progetti comunali rimasti senza coperta, soprattutto i Progetti urbani integrati. Al Mef non dispiacerebbe visto che quei fondi – a differenza del Fondo sviluppo coesione – hanno già cassa fino al 2026, non presentano vincoli territoriali e non devono essere discussi troppo né con le Regioni né con i ministeri. Almeno se i ritardi di singoli progetti risultassero assolutamente ingiustificabili.