Il racconto
La cautela di Meloni con Milei. La premier tiene unita la maggioranza: il 21 tutti a Cagliari
Il presidente argentino a Palazzo Chigi: deve restare lontano da Cina e Russia. Intanto tiene banco il Milleproroghe: sì all'esenzione Irpef per gli agricoltori e Crosetto si interessa delle università telematiche
La “cautela” di Giorgia Meloni verso questo anarcocapitalista argentino che disprezza lo stato, parte da lontano. Da quando lo scorso dicembre il governo italiano inviò a Buenos Aires per il giuramento del loco la ministra dell’Università Anna Maria Bernini. Non ci andò la premier, né uno dei suoi due vice o un ministro di FdI. Nonostante in Argentina viva la più numerosa comunità di italiani all’estero con oltre un milione di persone (gli italo discendenti sono circa 20 milioni: quasi il 50 per cento della popolazione). Eppure, unendo la visita al Papa, Javier Milei ha scelto l’Italia, la sua Italia, come prima tappa in Europa. Palazzo Chigi ha gestito l’ospite con ago e filo, altro che motosega. Nessuna dichiarazione congiunta al termine del bilaterale (durato un’ora) e solo una nota finale.
Il presidente argentino, al contrario, ha commentato così postando la sua foto con Meloni: “Viva la libertad, carajo”. Tradotto: viva libertà, fanculo! (ma forse, la Crusca è divisa, si potrebbe interpretare anche come un romanesco daje!). Tutto rientra nello stile del personaggio che ha passato tre giorni a Roma e ieri, dopo la doppia visita riparatoria a Papa Francesco e l’incontro informale con Sergio Mattarella al Quirinale, ha varcato il portone di Palazzo Chigi. Anticipato, e questa forse è una maligna analogia con la premier italiana, dalla sorella minore Karina Elizabeth, detta el jefe, il capo, segretaria nazionale della presidenza della Nazione Argentina dopo la designazione del fratello. L’Arianna Milei, anzi Meloni, argentina? Non proprio, ma qualche punto in comune forse c’è. La potentissima sorella minore del presidente in serata ha incontrato con la ministra delle relazioni estere, commercio internazionale e culto Diana Mondino, il vicepremier e omologo Antonio Tajani. Un vertice per illustrare la nuova politica economica liberista del paese sudamericano e per cercare punti di contatto.
In generale l’interesse di Meloni è quello di far uscire il più possibile l’Argentina dalla sfera di influenza di Russia e Cina. E i segnali sotto questo aspetto non mancano: Milei ha respinto l’invito ad aderire ai Brics, e, al contrario, ha avviato il processo di adesione all’Ocse. Inoltre si è schierato con l’Ucraina (come dimostrò la presenza di Zelensky a Buenos Aires per l’insediamento del presidente) e su posizioni filo israeliane. Il presidente la scorsa settimana è stato in Israele e ha annunciato l’intenzione di spostare l’ambasciata a Gerusalemme. La ministra Mondino ha confermato l’adesione alla soluzione dei due Stati.
In generale la premier al cospetto di questo presidente così sopra le righe, che non si definisce di destra né di sinistra anche se odia i comunisti, è stata molto cauta. Anche perché prima di riceverlo aveva letto le agenzie stampa che anticipavano l’intervista rilasciata a Nicola Porro a “Quarta Repubblica”: “Di fatto lo Stato è un’associazione criminale in cui un insieme di politici si mette d'accordo e decidono di utilizzare il monopolio per rubare le risorse del settore privato”.
E’ la ricetta economica di Milei che lascia titubante i consiglieri di Meloni: la reazione del paese ai tagli promessi è tutta da calcolare, dunque meglio evitare adesioni e abbracci particolari (al di là di quelli nelle foto di rito, molto colorate). Ecco perché a Palazzo Chigi ci vanno con i piedi di piombo e nella nota diramata in serata si sono limitati a sottolineare come il colloquio si sia concentrato “sulla comune volontà di rafforzare le relazioni bilaterali a partire dalla cooperazione economica in settori strategici quali l’energia, le infrastrutture e l’agricoltura”.
La premier, d’altronde, ha più di qualche problema in questi giorni con la gestione dei conti e delle risorse da trovare per per placare la protesta dei trattori. Il veicolo è quello del decreto Milleproroghe. Alla fine la soluzione e i soldi si sono trovati con tanto di corsa finale – per metterci il cappello sopra – fra Salvini e Fratelli d’Italia. E’ finita con l’esenzione Irpef per i redditi sotto i 10 mila euro e per il 50 per cento per chi arriva fino a 15 mila. Troppo poco per la Lega, che con il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, chiede che si arrivi a 30 mila “per includere anche gli agricoltori professionali”. Chissà cosa ne penserebbe Milei di questo assalto alla diligenza pubblica per sussidi e sconti.
L’altro tema non ancora sciolto nel decreto Milleproroghe riguarda l’emendamento della Lega per aiutare le università telematiche: permetterebbe agli atenei online di poter rinviare ulteriormente l’adeguamento degli standard qualitativi, come pretende il ministero dell’Università che ha dato parere negativo infatti. La notizia curiosa riguarda l’interessamento in queste ore del ministro della Difesa Guido Crosetto che si sta spendendo a favore dell’emendamento “salva Bandecchi” nel suo partito ma anche con i vertici del Miur, come raccontano al Foglio tre fonti incrociate. Un interesse bizzarro: la decisione è ancora congelata. Finita la battaglia su questo decreto le acque nella maggioranza dovrebbero placarsi. Lo dimostra l’evento di mercoledì 21 a Cagliari dove sono attesi, a sostegno del candidato governatore di centrodestra Paolo Truzzu, i tre tenori Meloni, Tajani e Salvini. Appuntamento alla fiera di Cagliari, parola d’ordine: “Le diverse sfumature della maggioranza sono un valore aggiunto”