Il racconto

Un giorno da De Luca: insulti a Meloni e sfide alla polizia: "Mi devono uccidere"

Simone Canettieri

Lo show senza freni tra i Palazzi del governatore accompagnato dai sindaci campani fra no all'Autonomia e fondi di coesione. E per scrupolo arrivano gli agenti anti sommossa sotto la sede del Pd 

“Festeggiamo De Luca con un bicchiere di sambuca. Che se poi è Molinari lo portiamo al Quirinale”. La mattinata in piazza Santi Apostoli,  luogo caro alla sinistra che vince, era partita con questa filastrocca un po’ ubriaca. Recitata da un anziano signore – originario di Salerno, ovvio – vestito da Garibaldi con tanto di caciocavallo e barbone candido. Folclore. Tutti ad aspettare il viceré, l’arciduca, Don Vincenzo, lo sceriffo. Piazza piena di sindaci campani, lavoratori della manutenzione strade, sindacalisti Uil e direttori generali della Asl. La giornata finirà con il governo che attacca De Luca: in Transatlantico, dopo un Crodino alla buvette, si è messo seduto su un divanetto e ha dato della “stronza” alla premier che gli aveva consigliato di “lavorare invece di manifestare”.

   

 

Dopo un venerdì così fra insulti e sfide alla polizia (“dovete ucciderci!”), richieste (evase) di un incontro al governo, spinte ai giornalisti, marcette lungo il Corso acclamato dalla gente si immagina che Maurizio Crozza dovrà aggiornare, e di molto, il repertorio della celebre imitazione.

   

  

Questa volta, racconta chi lo conosce, non ha recitato ma questo crescendo racconta altro: il vecchio funzionario del Pci era davvero irritato, alterato, fuori controllo. Una mina vagante tra i Palazzi della capitale.

 

Il presidente della regione Campania aveva organizzato questa manifestazione per dire no all’Autonomia e per chiedere – sicuramente i modi saranno da rivedere, diciamo – lo sblocco dei fondi di coesione a Meloni e Raffaele Fitto, nemici giurati. Con grappoli e grappoli di sindaci campani – e anche la scaltra eurodeputata Pinuccia Picierno – tutti con la fascia tricolore al petto. Tutti deluchiani, non del Pd, deluchiani. “Io vengo da Mondragone”. “Io da Minori”.

 

“Io da Pratola Serra”. “Io da San Cipriano d’Aversa”. E via così. Primo colpo d’occhio: al di là delle rivendicazioni istituzionali è chiaro che questa sia una prova di forza di De Luca, pronto a ricandidarsi “nei secoli” alla guida della Campania. “Nonostante il Pd”, come recita il  suo ultimo libro. Nonostante “Elena” – come la chiama il presidente – Schlein che di prima mattina gli aveva fatto trovare anche una intervista su Repubblica contro l’autonomia, scomparendo poi da radar. Un modo per placarlo? Ma quando mai. Nemmeno la presenza in piazza del figlio Piero De Luca, scudo umano in mano al Pd, è servita a qualcosa. Il padre a fine giornata sarà implacabile, fuori misura, in grado di confondere con i suoi modi la ragione con il torto.  

 

Tutti questi sindaci, assessori, consiglieri, addetti della regione a turno e senza mettersi d’accordo  ripeteranno al nostro taccuino un concetto chiaro: “Quando ci saranno le regionali in Campania, l’anno prossimo, Elly non ci sarà più e don Vincenzo sì”. Anche Marisa Laurito, comparsa in questo chiassoso e fino a quel momento simpatico evento, spiegava a tutte le telecamere che “devono decidere i cittadini: se un politico ha ben governato è giusto che si ricandidi”. Però la Campania ha bisogno di risorse perché “non si può friggere con l’acqua”. Divertito e in formissima, Clemente Mastella sindaco di Benevento spiffera  nell’orecchio una chiave di interpretazione da vecchio lupo diccì. “De Luca ha capito che Schlein e Meloni hanno un accordo sul terzo mandato: teme questo”. Sindaco Mastella, ma che animale è questo presidente? “Un populista che non si sa che ci faccia nel Pd”. Però ha visto che truppe mastellate ha portato qui a Roma? “Eh, sì: dieci pullman, ho letto”.

  

Dal palco di piazza Santi Apostoli il governatore dirà basta al “racconto infame del sud cialtrone e del nord virtuoso”. Con tanto di numeri sulla spesa pro capite e poi dettagli burocratici sui fondi di coesione bloccati dal governo. “Non piego la testa: non mi faccio ricattare da qualche pinguino. Questo è squadrismo: vogliono gestire tutto a Roma per le clientele”. Fin qui insomma, tutto abbastanza nella norma. Compresa la frase appuntata: “Meloni non ha dignità politica”. Il fatto è che dalla Calabria la premier a un certo punto risponde al governatore consigliandogli di lavorare. “Lavora tu, stronza”, dirà in Transatlantico De Luca, circondato da una decina di cronisti, tutti intorno al piatto forte di giornata. Poco prima aveva sfidato la polizia (“siete dei pinguini”), aizzato sindaci, bussato a porte chiuse, tornato indietro verso la prefettura per lamentarsi della gestione dell’ordine pubblico e poi ancora su e giù per il centro. Non è andato al Nazareno. Ma per scrupolo – non è una battuta – la questura aveva mandato i poliziotti antisommossa davanti alla sede del Pd. Ma che dice Schlein di questa giornata del “suo” presidente di regione? Voci dal partito: “Non abbiamo nulla a che fare con lui, stiamo pensando al faccia a faccia con Meloni”. Chissà che fine avrà fatto Piero De Luca, il rampollo riverito in piazza, e usato come ostaggio dal Pd.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.