editoriali
La formazione non è solo di stato
Il codice degli appalti vieta ai privati di insegnare formazione nella pa
In passato la formazione professionale nella pubblica amministrazione è stata spesso terreno di caccia e di business senza garanzia di qualità nel risultato per società private, enti pubblici, associazioni e organizzazioni di varia natura, ed è un bene che oggi venga percepita invece come uno step necessario per far fare un effettivo salto di qualità alle prestazioni del settore pubblico e che vengano richiesti criteri per svolgere l’attività di formatori. Il codice degli appalti recepisce questa nuova impostazione, mettendo però dei vincoli che sono frutto più di un atteggiamento ideologico che non della cultura del risultato.
Oggi, infatti, interpretando rigidamente quei vincoli, un gruppo di lavoro costituito da Scuola nazionale dell’amministrazione, Autorità anticorruzione, dipartimento della Funzione pubblica e ministero delle Infrastrutture partorisce linee guida contenenti i criteri per l’erogazione di attività formativa alle stazioni appaltanti (che devono farne anche per ottenere il bollino della qualificazione) escludendo drasticamente le società private dai corsi di formazione e lasciando spazio solo a Università e società in house della Pa e altri soggetti pubblici e privati “senza scopo di lucro”. Un conto è frenare la fame di lucro dei formatori e comunque dettare criteri rigorosi che assicurino la qualità dell’attività svolta, un conto è escludere drasticamente il mercato e le imprese da questo settore. Le Università pubbliche e le società in house sono gli unici detentori della conoscenza e della capacità di trasmetterla? O si propone invece uno schema prigioniero della peggiore lobby pubblica? E’ d’accordo anche l’Antitrust?