Premierato dem
I padri del Pd, da Salvati a Ceccanti, dicono a Schlein che la riforma non è tabù
Cara Schlein non ti arroccare, è il messaggio che corre sottotraccia tra i dem. L'elezione del premier può essere (anche) di sinistra
Accade regolarmente, di questi tempi. Quando s’ode, a destra, un accenno alla riforma costituzionale voluta dalla premier Giorgia Meloni, a sinistra risponde uno squillo: vade retro premierato. Ed è infatti quello che ieri ha ripetuto la segretaria del Pd Elly Schlein durante la direzione nazionale del partito: “Continueremo a contrastare con grande nettezza la proposta del premierato, che è un gran pasticcio e ha un impianto così pericoloso e caotico”, ha detto Schlein: “Finchè c’è l’elezione diretta del presidente del Consiglio in quella riforma, faremo muro. No all’uomo solo al comando: l’abbiamo già visto nel nostro paese e non vogliamo tornare indietro”. Intanto però c’è, chi, a sinistra, come il professor Michele Salvati, l’uomo che del Pd stesso teorizzò l’idea, riflette su un’altra possibilità (come ha fatto ieri su questo giornale): una riforma costituzionale relativa al rafforzamento del primo ministro che, se condivisa, darebbe inizio alla vera Seconda Repubblica.
E, ricorda Salvati, “il rafforzamento dei poteri del primo ministro era nel programma originario del Partito democratico”: se nelle prossime tornate elettorali (Europee e Amministrative) gli equilibri attuali si modificassero, si potrebbe produrre lo spazio per una riflessione e un’azione comune. Intanto ieri, in Senato, è stata presentata, su iniziativa del senatore di Iv Ivan Scalfarotto, la maratona oratoria che va sotto il titolo di “Premierato: non facciamolo ‘strano’- la terza via del modello neo-parlamentare”, maratona prevista per il 27 febbraio alla Sala Umberto di Roma (promotori: la Fondazione Magna Carta, LibertàEguale e IoCambio). Cara Schlein non ti arroccare, è il messaggio che corre sottotraccia, tanto che, tra i documenti allegati all’iniziativa, figura non soltanto la proposta di premierato firmata dal costituzionalista ed ex parlamentare pd Stefano Ceccanti per LibertàEguale (“proposta sul premierato non elettivo, alternativo a quello predisposto dal governo Meloni”), ma anche un estratto dalle tesi per la definizione della piattaforma programmatica dell’Ulivo (1995-1996) in cui si parlava dell’opportunità” di adottare nel nostro paese “una forma di governo del primo ministro investito in seguito al voto di fiducia parlamentare in coerenza con gli orientamenti dell’elettorato”, con indicazione sulla scheda del candidato premier designato da un determinato partito e da una determinata coalizione.
E insomma, nella discussione bipartisan di ieri – attraverso i discorsi dello stesso Ceccanti, dell’ex senatore Pds-Ds-Pd ed ex viceministro Enrico Morando, dell’ex ministro e presidente di Magna Carta Gaetano Quagliariello, del costituzionalista ed ex parlamentare Giuseppe Calderisi e della costituzionalista Serena Sileoni, docente a Napoli, già vicepresidente dell’Istituto Bruno Leoni – si stagliava la sagoma di una riforma costituzionale potenzialmente accettabile da destra e da sinistra. Si discuteva della necessità di un “aggiornamento” delle nostre istituzioni, “ma, visto che si tocca il potere esecutivo”, diceva Quagliariello, la riforma deve “essere fatta bene”, senza dare poteri di veto a nessuno e anzi andando verso la possibilità di una condivisione, cercando di promuovere anche in Italia un “assetto partitico-politico di tipo europeo, tanto più dopo la crisi dei partiti liberal-democratici” (Morando) e partendo dal fatto che, al discorso sul premierato, si deve legare quello su una legge elettorale maggioritaria a doppio turno (Ceccanti), ragionando sull’opportunità di guardare al modello tedesco per quanto riguarda il meccanismo del potere di scioglimento e per correggere la proposta dell’attuale maggioranza sulla cosiddetta “norma anti-ribaltone” (Calderisi, Sileoni). Si può fare, la riforma, dicono i costituzionalisti, e senza neanche scomodare troppo il referendum (ma vallo a dire a Elly Schlein).