Il colloquio
D'Amico, il gancio russo di Salvini: “Non è stato Putin. Su Navalny Matteo ha ragione”
"Non credo che sia stato il Cremlino a ucciderlo. L'accordo Lega-Russia unita? Fui io a propiziarlo ma ormai è carta straccia. Perché non parlate di M5s e Venezuela?”, dice il dirigente leghista che presentò Putin a Salvini
Roma. Bella questa spilla gialla e blu che ha sulla giacca: è lo stemma dell’Ucraina? “Ma siamo matti! E’ un vecchio simbolo del Veneto”. Claudio D’Amico si aggira per il Transatlantico semideserto. Dirigente leghista da 30 anni, ex deputato e già assessore a Sesto San Giovanni, è colui che introdusse Matteo Salvini nel mondo russo di Vladimir Putin. Tutte le volte che ritorna il link fra il Cremlino e Via Bellerio D’Amico – e il sodale Savoini – viene cercato dai giornalisti. “Infatti, sono stanco di dichiarare. Mi sento ancora con Matteo, certo, ma non mi va di fare il protagonista. Altrimenti ricominciamo con la solita storia”. Lei presentò Putin a Salvini. “Sì. Bevvero un caffè insieme a Milano, ma vogliamo parlare di tutti i leader che hanno una foto con Putin? Basta con questa storia, no?”.
Va bene, ma allora parliamo della morte in Siberia del dissidente Alexei Navalny: Salvini dice che dovranno essere giudici e medici russi a stabilire la verità. “Concordo, Salvini ha ragione e la penso come lui. E aggiungo: non credo che sia stato Putin a ucciderlo”. Perché? “Quale vantaggio ne trarrebbe?”. Lo stesso di quando cercò di avvelenarlo, magari. “Non sono convinto fino in fondo”. Scusi la curiosità: come mai si aggira qui in Parlamento? Ha incontro con i leghisti? “Saranno fatti miei? Adesso faccio parte del consiglio d’amministrazione di un’azienda privata. Ma rimango negli organismi della Lega: ho rapporti con tutti”. Anche con Salvini? “Sì, ma non lo scriva. Altrimenti ripartono le polemiche: ci sentiamo spesso, questo sì”.
Ma perché il vicepremier deve sempre distinguersi rispetto al resto del centrodestra quando c’è la Russia di mezzo? “Questo lo chieda a lui”. E’ una strategia, quella di Salvini, oppure è una convinzione sincera? “La verità è che in questo paese non si fa altro che utilizzare due pesi e due misure. La storia di Navalny è emblematica”. Sta per citare il caso di Assange, vero? “Certo. Magari morirà a Londra, ma sembra non interessare a nessuno. Navalny è morto, ed è un fatto grave, ma perché due diversi trattamenti? Ma c’è di più”. Sentiamo. “Come si può tacere davanti alla storia di Gonzalo López, giornalista dalla doppia cittadinanza, statunitense e cilena, morto il 12 gennaio scorso mentre era detenuto dalle autorità ucraine, ancora senza processo, con la consueta accusa di compiere attività filorusse”. Questo per dire? “Era una giornalista che indagava sull’Ucraina e sull’America: è morto ucciso dagli ucraini. Perché non se ne parla?”.
Lei e Savoini siete stati i ganci russi di Salvini a Mosca: rifarebbe tutto? “Certo, perché no? Mi sta registrando?”. Un’altra curiosità tornata di forte attualità: l’accordo fra Lega e Russia unita, il partito di Putin, è ancora in vigore? “Fui io a propiziare quegli accordi, prima con i senior poi con i giovani. Dunque me li ricordo bene”. E quindi? “Ormai è carta straccia”. Perché? “Quelle intese politiche prevedevano una serie di atti reciproci, di collaborazioni e di iniziative che non sono mai avvenuti. Dunque non vale. Ma perché non indaga sui patti stipulati venti e passa anni fa fra l’Italia e la Federazione russa?” Cioè? “Sono ancora in vigore? E perché non parlate mai dei rapporti fra il M5s e il Venezuela? Avete due pesi e due misure voi giornalisti italiani”.
D’Amico è un leghista tutto d’un pezzo: ex sindaco di Cassina de’ Pecchi (Milano), ex capo di gabinetto del ministro delle Riforme Roberto Calderoli. Oltre ad avere fatto il deputato è stato anche candidato alle europee con la proposta di istituire una commissione d’inchiesta sugli Ufo. Con Gianluca Savoini è stato il motore dell’Associazione Lombardia-Russia. Nel 2018, primo governo gialloverde, è stato per un anno a Palazzo Chigi come “consigliere per le attività strategiche di rilievo internazionale” dell’allora vicepremier Salvini. E gli diedero anche la colpa di aver invitato Savoini alla cena romana di gala con Putin. Sempre due pesi e due misure.