Il retroscena

Meloni e il sostegno a Kyiv nel giorno di Trump: salta il videomessaggio della premier

Simone Canettieri

La presidente del Consiglio presiederà il G7 a due anni dall'invasione dell'Ucraina mentre a Washington è atteso l'intervento dell'ex presidente Usa che punta al bis: l'imbarazzo della delegazione di FdI inviata alla Cpac

La coincidenza non aiuta: mentre Giorgia Meloni presiederà  la sua prima riunione del G7 sull’Ucraina, a Washington Donald Trump chiuderà la Cpac, la convention dei Repubblicani. In America Meloni ha inviato una delegazione di parlamentari di Fratelli d’Italia in rappresentanza dell’Ecr, il partito dei Conservatori europei di cui è presidente. Le parole di Steve Bannon, ex ideologo del tycoon nonché ospite della festa di Atreju nel 2018, hanno però messo in allarme Palazzo Chigi. A partire dal passaggio, consegnato a Repubblica, sull’ “Ucraina paese corrotto” che specula sull’invio di armi a cui si aggiunge la messa in mora dell’Europa (“si deve difendere da sola”). Ecco perché la premier sembra aver deciso di non inviare un videomessaggio alla Cpac. 


Il cortocircuito potrebbe essere abbastanza devastante: sabato 24 febbraio ricorrono due anni dall’invasione russa dell’Ucraina. La premier vuole celebrare l’impegno dell’Italia al fianco di Zelensky, tanto che firmerà anche un accordo bilaterale di sicurezza, come annunciato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Le parole di Trump sono attese con una certa ansia. Tuttavia se la linea sarà quella espressa da Bannon si potrebbe verificare uno scollamento: Joe Biden videcollegato con Meloni, mentre il candidato repubblicano attacca sull’invio di armi a Kyiv ribadendo magari la non ostilità nei confronti di Mosca. Al party trumpiano, come anticipato dal Foglio, partecipa una delegazione di parlamentari di FdI: il vicepresidente del gruppo alla Camera, Manlio Messina, il presidente della commissione Ambiente di Montecitorio Mauro Rotelli e la senatrice Cinzia Pellegrino, coordinatrice nazionale del dipartimento tutela vittime di FdI, insieme ad Antonio Giordano, deputato e segretario generale di Ecr Party. I meloniani danno per scontato che non arrivi alcun videomessaggio di saluto, al contrario della scorsa edizione. Se l’ex presidente Usa rappresenta comunque una dinamica complicata e a tratti imponderabile, la presidente del Consiglio ha da gestire in casa i distinguo di Salvini. Il fatto è talmente evidente che deve scendere in campo anche il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Questa volta con una dichiarazione e non con il consueto mattinale di spunti fabbricato dal partito (Ore 11). “La chiarezza della Lega è data dal voto in Parlamento, che è l'unica cosa che interessa agli ucraini. Perché gli ucraini sanno che grazie al governo di centrodestra, guidato da Giorgia Meloni, il sostegno a loro è garantito”. 


Al contrario per Fazzolari – netto sulle colpe di Putin rispetto alla morte di Navalny – se al governo adesso ci fossero Pd e M5s l’invio di armi a Zelensky sarebbe già stato sospeso da un pezzo.

La premier non vede problemi interni dunque. Anche la mossa della Lega sul terzo mandato la riconduce a dinamiche parlamentari, salvo sottolineare, giusto per metterlo, agli atti che “non ha mai fatto parte del programma di governo”. Meglio dunque, e questo le riesce bene, entrare nella carne viva dell’opposizione: dal silenzio di Schlein sugli insulti che ha ricevuto dal governatore De Luca fino alla gestione sempre del presidente campano dei fondi coesione, utilizzati per le sagre.

Meloni sembra inscalfibile, almeno a leggere le dichiarazioni rilasciate a Bruno Vespa nel corso di una doppia intervista (prima per la striscia “Cinque minuti”, poi per “Porta a Porta”). Dice la premier che l’Italia ha uno degli esecutivi più solidi d’Europa e lega la riforma del premierato a una svolta economica.  In attesa dello spoglio di lunedì in Sardegna, l’attenzione della presidente del Consiglio è rivolta all’Ucraina. Non vuole dare segnali di stanchezza, ma sarà interessante anche capire le reazioni alle parole di Trump, previste proprio per domani. Nel dubbio meglio evitare il videomessaggio per l’amico Donald.
 

Di più su questi argomenti:
  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.