La Camera dei Deputati - foto Getty Images

Rapporti alla mano/4

Così il Parlamento viene svuotato dei suoi poteri e della sua legittimità

Sabino Cassese

Perché sono sempre più numerosi i decreti legge sfornati dall’esecutivo e sempre meno gli atti di iniziativa parlamentare. Le conseguenze di un’anomalia. E la forza del governo, debole solo a causa dell’instabilità politica. Un'analisi

Sono sempre più numerosi i decreti legge, cioè gli atti normativi decisi dall’esecutivo, salvo conversione parlamentare in legge. Sempre meno, all’opposto, gli atti di iniziativa parlamentare. Nel 1748, Montesquieu, commentando la costituzione inglese, espose, sulla scia di Locke, la teoria della separazione dei poteri, per cui questi sono distinti in tre categorie (dettare norme, eseguirle, dirimere i conflitti), ognuna affidata a organismi diversi. Nel 1776, in Inghilterra, il governo North emanò un “order in council” che si salvò solo grazie a un successivo “bill d’indennità” votato dal Parlamento.
 

Nel Regno di Piemonte e Sardegna, lo Statuto albertino del 1848 attribuiva congiuntamente alle due Camere e al Re il potere legislativo, ma già nel 1852 il governo D’Azeglio emanò un decreto che si salvò anch’esso grazie a un “bill d’indennità” parlamentare. Sorte peggiore ebbe il decreto istitutivo della Banca d’Italia, del 1865 (governo La Marmora), di cui fu sospesa l’esecuzione. Le cose cambiarono con Francesco Crispi, a partire dal 1893, e specialmente con la Prima guerra mondiale, finché, Alfredo Rocco, ministro della Giustizia del governo Mussolini non propose una apposita legge che consentiva al governo di legiferare, spiegando che questa era una “necessità storicamente manifestatasi”, per cui si era formata una “consuetudine legittimatrice” (la vicenda storica più lontana è raccontata da S. E. Pizzorno, Genealogia della Costituzione. Personaggi e istituti, Firenze, Passigli, 2023, p. 105 ss.; quella successiva in S. Cassese, La decretazione d’urgenza: le colpe dello Stato liberale, in Parlamento e storia d’Italia, vol. II, Procedure e politiche, a cura di V. Casamassima e A. Frangioni, Pisa, Edizioni della Normale, 2016, p. 209 ss.).
 

Nella Costituzione italiana del 1948, la separazione dei poteri non fu sancita espressamente, ma venne riconosciuta implicitamente. Superando le critiche di Costantino Mortati, si consentì, tuttavia, che, “in casi straordinari di necessità e urgenza”, il governo adottasse provvedimenti provvisori con forza di legge con l’obbligo di presentarli “il giorno stesso”, per la conversione in legge, alle Camere; trascorsi 60 giorni, i decreti legge “perdono efficacia fin dall’inizio”.
 

Alla Costituente si discusse molto sull’opportunità o meno di disciplinare il decreto legge, se negare cioè all’esecutivo la potestà di emanare provvedimenti con forza di legge in casi eccezionali, oppure ammetterla e con quali limiti. Vi fu chi sostenne che la figura era stata accettata in passato, ed era implicita in un sistema parlamentare, fondato sulla fiducia. Vi fu chi menzionò lo stato di necessità. Vi fu chi notò che non vi è regime che non abbia in taluni momenti sentito il bisogno di legiferare  senza alcuna norma costituzionale. Si giunse alla conclusione di prevedere nella Carta costituzionale l’istituto, circondandolo tuttavia di limiti e cautele, attraverso una procedura molto rigorosa e tale da impedire e colpire abusi e accettando – come si disse – l’innesto, nell’“iter” di conversione, dell’ordinaria funzione legislativa, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame tra decretazione d’urgenza e potere di conversione.
 

La Corte costituzionale, con la sentenza 22 del 2012, ha poi stabilito che “non si può […] escludere che le Camere possano, nell’esercizio della propria ordinaria potestà legislativa, apportare emendamenti al testo del decreto-legge, che valgano a modificare la disciplina normativa in esso contenuta, a seguito di valutazioni parlamentari difformi nel merito della disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in vista delle medesime finalità. Il testo può anche essere emendato per esigenze meramente tecniche o formali. Ciò che esorbita invece dalla sequenza tipica profilata dall’art. 77, secondo comma, Cost., è l’alterazione dell’omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica”. La Corte ha quindi deciso che  non si può “spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione” perché non si può fare un “uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o no, in legge un decreto-legge”.

Il Servizio studi della Camera dei deputati

Per comprendere quello che sta accadendo da qualche tempo alla funzione legislativa del Parlamento, un ausilio prezioso è offerto dalle statistiche elaborate dal Servizio studi della Camera dei deputati. L’articolo 33 del Regolamento dei servizi e del personale della Camera dei deputati dispone che “Il Servizio studi cura: a) l’assistenza tecnico-documentaria agli organi parlamentari attraverso la ricerca, l’analisi e l’elaborazione della documentazione nazionale, comunitaria e straniera, a supporto delle relative attività; b) le verifiche tecniche relative alla formazione e alla attuazione delle leggi, in concorso con gli altri Servizi e Uffici della Segreteria generale interessati; c) l’osservatorio sulla legislazione; d) il collegamento con gli istituti culturali e scientifici, nonché con centri di ricerca e di consulenza, per lo svolgimento delle attività di cui alle lettere a), b) e c); e) lo svolgimento di studi e ricerche e l’assistenza tecnico-documentaria, a richiesta, anche per i gruppi parlamentari e per i singoli deputati”.
 

Il Servizio studi della Camera dei deputati ha origine con il regolamento per gli uffici e il personale della Camera emanato nel 1947, che istituiva un ufficio studi legislativi. Poi, fu più volte lamentata l’assenza di documentazione tecnico-legislativa, fino al 1964, quando la riforma Cosentino ammodernò gli apparati istituendo un settore della documentazione articolato in vari servizi, attraverso cui garantire l’informazione sul Parlamento e l’informazione per il Parlamento, il servizio documentazione e statistiche e il servizio archivio, oltre al servizio studi, legislazione ed inchieste parlamentari. Si voleva evitare il “declino del potere del Parlamento” e il “continuo impoverimento della sua capacità di svolgere un ruolo non effimero nella vita costituzionale del Paese… agendo all’interno stesso dell’istituto parlamentare… contro l’azione di erosione delle funzioni dell’istituto esercitate qualche volta dai partiti”.
 

Nel 1974 venne istituito alla Camera un servizio di documentazione automatica, che seguiva l’istituzione di un ufficio analogo del Senato. Seguirono continui dibattiti sulla necessità di rafforzare le strutture informative, ma anche richieste di consulenza a organi ed enti pubblici esterni alla Camera. Seguì, nel 1977, una riforma dei servizi di documentazione con l’istituzione di un servizio studi, ricerche, statistiche che ha unificato le competenze dei precedenti servizi nel settore. Inoltre, venne istituito, nel 1979, il comitato di vigilanza per l’attività di documentazione, organo dell’Ufficio di Presidenza, che formula indirizzi generali. È seguita l’organizzazione del servizio in dipartimenti, corrispondenti ad aree omogenee e serventi le Commissioni che a queste aree si collegano.
 

Anche il Senato ha un Servizio studi, di  dimensioni più ridotte,  con il compito di fornire studi, documentazioni e ricerche agli organi del Senato. Non vi è una previsione espressa ad esso nel Regolamento del Senato. Le norme del regolamento minore sull’amministrazione del Senato articolano il Servizio studi in vari uffici, competenti nelle materie di interesse delle Commissioni parlamentari, affidando ad essi il compito di curare, in collegamento con gli altri servizi e uffici dell’amministrazione, “l’assistenza tecnico-documentaria” nelle rispettive materie, “nonché l’analisi e l’elaborazione della documentazione nazionale, comunitaria e straniera, a supporto delle relative attività”. Il Servizio studi del Senato fornisce, inoltre, “studi e ricerche e assistenza tecnico-documentaria, a richiesta, anche per i Gruppi parlamentari e i singoli Senatori”. Il Servizio studi del Senato pubblica vari fascicoli di documentazione come i Dossier (che possono contenere schede di lettura, testi a fronte e documentazioni di base) e le Note, anche sugli atti o sui temi di interesse dell’Unione europea. I due Servizi studi, quello della Camera e quello del Senato, hanno promosso, negli ultimi dieci anni, una sempre più stretta collaborazione: gran parte dei dossier sui provvedimenti legislativi è elaborata in modo congiunto. 

Le statistiche parlamentari

Il Servizio studi della Camera dei deputati pubblica da qualche anno un rapporto intitolato “La produzione normativa: cifre e caratteristiche”. L’ultimo, del 13 gennaio 2024, contiene un bilancio di 15 mesi, che vanno dal 13 ottobre 2022 al 13 gennaio 2024. Su questa base sono fondate le osservazioni che seguono. Le figure che seguono sono anche esse tratte da questo rapporto.
 

Se si considerano per tipologia le leggi approvate negli ultimi 15 mesi (governo Meloni), si nota che quelle di conversione di decreti legge sono il 47,2 per cento. Durante la 18ª legislatura sono state il 33 per cento. Durante la 17ª legislatura, invece, il 21,90 per cento. Ne discende che c’è un aumento dell’attività che può chiamarsi seguace del Parlamento, che è più che raddoppiata, dal 21,90 per cento al 47,2 per cento.

 

 Tipologia delle leggi approvate

 

Se, però, si approfondisce l’analisi, e si considera il numero di parole delle leggi approvate, ripartite per soggetto che ha l’iniziativa, negli ultimi 15 mesi, si nota che le norme di iniziativa governativa sono il 33,4 per cento, quelle di iniziativa parlamentare poco meno del 3 per cento. Durante la 18ª legislatura, il numero delle parole delle leggi approvate, era del 31,5 per cento di iniziativa governativa e del 2,1 per cento di iniziativa parlamentare.

Leggi di conversione più  decreti legge comprendono, negli ultimi 15 mesi, il 63,1 per cento della legislazione, e quindi la gran parte dell’attività legislativa (quantificata in parole) ruota intorno all’iniziativa governativa delle norme. Durante la 18ª legislatura rappresentava una cifra più alta, il 66,3 per cento.
 

Nei 15 mesi del governo Meloni i 50 decreti legge adottati hanno avuto un corso parlamentare rapido, perché il tempo di esame medio è stato di 42 giorni. I decreti legge sono cresciuti, nel corso dell’esame parlamentare, del  66,2 per cento in termini di parole. Ciò vuol dire che i decreti legge non sono osteggiati in Parlamento, anzi che i parlamentari ne approfittano per aggiungervi loro proposte, spesso a contenuto amministrativo. Nella 18ª legislatura i testi erano cresciuti ancora di più, del 70,43 per cento in termini di parole.
 

L’ultimo elemento interessante che si trae dai dati raccolti ed elaborati dal Servizio studi riguarda la provenienza degli emendamenti nel corso dell’esame parlamentare. Negli ultimi 15 mesi, circa un sesto degli emendamenti approvati in commissione e in assemblea sono stati proposti dall’opposizione. Ciò vuol dire che c’è un certo dialogo tra maggioranza ed opposizione. Durante la 18ª legislatura, gli  emendamenti approvati in commissione e in assemblea e proposti dall’opposizione sono stati più di un decimo del totale degli emendamenti. Quindi c’è continuità tra la 18ª e la 19ª legislatura e non rileva l’orientamento politico del governo, se di centrosinistra o di centrodestra.
 

Infine, se si aggiungono ai decreti legge i decreti legislativi, che negli ultimi 15 mesi sono stati 51, si conferma lo spostamento dell’attività legislativa sul governo. Va però considerato che 31 del 51 decreti legislativi sono di recepimento della normativa dell’Unione Europea e quindi provengono da un altro soggetto con potere normativo.

La commistione dei poteri e il governare per decreti legge

Dai dati fin qui commentati possono trarsi numerose conclusioni. La prima riguarda il ruolo del governo. Secondo un punto di vista che risale alla tradizione costituzionale francese, il governo è il comitato direttivo della maggioranza parlamentare. Questo punto di vista fu ripreso da Leopoldo Elia in Italia in un importante scritto. Ora che sforna continuamente decreti legge, il governo si è trasformato da comitato direttivo della maggioranza parlamentare in sostituto della maggioranza parlamentare.
 

In secondo luogo, sbagliano quelli che ritengono che i governi italiani siano deboli. Al contrario, sono forti perché sommano potere legislativo e potere esecutivo. Ciò che li fa deboli è l’instabilità, e quindi la breve durata. È, tuttavia, un paradosso che il massimo di concentrazione dei poteri legislativi nel vertice dell’esecutivo si realizzi proprio quando pare iniziare un nuovo corso dell’esecutivo italiano, caratterizzato dalla stabilità, con la conseguenza che vengono a sommarsi nello stesso tempo la maggiore stabilità e la massima concentrazione dei poteri.
 

In terzo luogo, quanto finora osservato fa comprendere anche la forza e la pluralità di valenze di un processo legislativo che si fonda sui decreti legge. Esse derivano dall’immediata entrata in vigore, con la pubblicazione, del decreto legge: il “fait accompli” rende difficile per il Parlamento fare passi indietro, non solo perché il governo gode della sua maggioranza parlamentare, ma anche per il fatto che le opposizioni che facessero difficoltà dovrebbero comunque mettersi contro i beneficiari delle norme già approvate ed entrate in vigore. Inoltre, la forza del governare per decreti legge sta nella circostanza che, una volta ammessa la loro emendabilità, il decreto-legge si trasforma in un traino per tutti i parlamentari che hanno interesse all’approvazione di loro proposte, ivi comprese – come si è notato – le opposizioni. Né va dimenticato che, attraverso i legami con i parlamentari, anche l’alta burocrazia e i gruppi di burocrati sindacalizzati approfittano frequentemente della potestà emendativa per aggiungere emendamenti, approfittando dei due mesi concessi per la conversione. Si accentua, quindi, con i decreti legge, l’amministrare per legge, fenomeno ben diverso da quello prima già noto delle leggi-provvedimento.
 

In quarto luogo, l’accentuato ricorso ai decreti legge costituisce una anomalia ancora più singolare con la riduzione del numero dei parlamentari perché i tempi di esame delle iniziative legislative si sono ridotti (meno emendamenti, meno interventi). Il governo potrebbe utilizzare lo strumento ordinario del disegno di legge (accompagnandolo con le relazioni tecniche e le analisi di impatto), disponendo di una relativa certezza con riferimento ai tempi di esame.
 

Quinta conseguenza del governare per  decreto legge: giacciono in Parlamento 2.350 proposte di legge di deputati e senatori, che attendono il loro turno per essere esaminate.
 

Sesto: la fretta che spinge ad adottare decreti legge è poi seguita spesso da stasi attuative, perché anche i decreti legge hanno bisogno di decreti attuativi (è stato valutato che più del 50 per cento degli atti con forza di legge rinvia a tali decreti). La normazione primaria dei 15 mesi del governo Meloni richiede 316 decreti attuativi, che divengono 500 se si aggiungono quelli dei tre governi precedenti che attendono ancora di essere emanati.
 

Infine, il fenomeno del governare per decreti legge, l’esondazione governativa, ha una componente che dipende dal Parlamento stesso, sia dalla sua incapacità di razionalizzare le sue procedure, sia dalla facilità di superare il dettato della Corte costituzionale circa l’omogeneità dei provvedimenti, utilizzando i decreti legge come norme “omnibus”.

Che cosa resta del Parlamento?

Il Parlamento italiano ha dovuto accettare di recente la riduzione dei suoi componenti. Ha rinunciato da tempo a svolgere l’attività di controllo dell’esecutivo: lo dimostra la disattenzione per le relazioni della Corte dei conti e per quelle dello stesso Ufficio parlamentare di bilancio. Sta rinunciando all’iniziativa legislativa,  sia pur conservando il controllo dei decreti legge in sede di conversione. Ad esso spetta ancora il potere di scegliere il governo e di registrarne le crisi (un potere quest’ultimo che è stato di recente anche meglio esercitato), ma su questo l’affermazione del premierato potrebbe incidere pesantemente. Sta mostrando maggiore attenzione alla politica estera, a quella europea e alle loro implicazioni su quella nazionale, come è dimostrato dai modi in cui interviene pronunciandosi sulle guerre in corso e sulla gestione del piano nazionale di ripresa e di resilienza.
 

Mostra maggiore attivismo nei suoi organi decentrati, le commissioni, dove vengono udite le varie voci del Paese. Resta al Parlamento il compito di assicurare un “forum” di discussione, nel quale possa svolgersi la funzione che Bagehot chiamava “theatrical”. Ma anche questa, che si è accentuata di recente con il ricorso al “question time”, perde il significato originario con la trasmissione televisiva dei dibattiti parlamentari. C’è da chiedersi come possano reagire parlamentari sempre più frustrati a questo progressivo svuotamento di poteri.

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