Gabbiani e Meloni

Le idi di Marzo di FdI. Il congresso di Roma per Meloni è peggio di un G7. E c'è pure un (altro) cognato

Simone Canettieri

Il 23 e il 24 marzo si tiene il congresso più atteso di Fdi. Una sfida tra Arianna Meloni e Fabio Rampelli. I nomi: Milani e Perissa, ma non si esclude che alla fine la spunti il cognato di Rampelli

Roma.  Per Giorgia Meloni vale quasi come un G7 e poco meno del risiko della nuova Commissione europea. Deve vincere, non può fallire. E’ il congresso romano di Fratelli d’Italia, il giardino della “capa” dove venne piantato il seme della conquista. Dal Grande raccordo anulare all’Italia, fino alla guida dei Conservatori europei: daje. La sera uscivamo a Colle Oppio, insomma. Roma chiuderà la campagna congressuale nazionale iniziata alla fine dell’anno scorso. La data  indicata è quella del 23 e 24 marzo. Il dove è stato oggetto di riflessione accurata in Via della Scrofa. Si è pensato all’Auditorium Parco  della musica, chiesa laica della sinistra romana, ma non può ospitare eventi di partito. Poi si è ragionato sulla Fiera di Roma, già teatro di congressi pulp di An: troppo lontana. Allora la Nuvola? Troppo costosa. Alla fine si dovrebbe andare nel razionalista quartiere Eur.


Per un partito che è un monolite la faccenda diventa importante perché al momento l’accordo fra le due anime, entrambe meloniane, non c’è. E quindi bisogna ricordare che da una parte spinge Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e padre politico maltrattato del nucleo originario, e dall’altra il resto del mondo, che pende dalle labbra di Arianna Meloni, sorella d’Italia e numero due del partito. La compagna del ministro Francesco Lollobrigida, che è appunto segretaria politica di FdI, da tempo ha indicato come presidente di Roma (una volta lo avrebbero chiamato federale) il deputato Marco Perissa, made in Garbatella, quarentenne rampante con lunga esperienza nel mondo dell’associazionismo sportivo: tipo smart. Rampelli, unico big di FdI a non essere andato al governo e rimasto  nella stessa posizione di quando stavano all’opposizione, dice in giro che questa volta venderà cara la pelle. In poche parole è pronto a contarsi. Il suo candidato al congresso, ma manca un mese e tutto può succedere, è Massimo Milani, presidente uscente di Fdi nella Capitale, commissariato da Meloni (il giorno in cui era in visita ad Algeri) poco prima delle ultime regionali del Lazio. Il reggente di Roma per tutti questi mesi è stato Giovanni Donzelli, numero tre di Via della Scrofa in quanto coordinatore nazionale: questo per dire quanto il partito dell’Urbe sia importante. Quasi come un G7, poco meno della nuova commissione Ue. Bisogna partire come sempre dai numeri dell’ultimo tesseramento, forniti da Arianna Meloni che è anche la responsabile del dipartimento. Lo scorso ottobre dichiarava: “Gli oltre 43.000 tesserati della capitale, a fronte dei 15.000 del 2022, confermano il trend di crescita del partito anche a Roma”. Sì più di 40 mila iscritti. Secondo le stime che anche i meloniani confermano, il mondo rampelliano ha in mano il 45 per cento delle tessere. I gabbiani, come amano farsi chiamare i ragazzi cresciuti a Colle Oppio, sono anche sicuri che esista una zona grigia aggredibile nel 55 per cento della maggioranza.


E’ composta da Luciano Ciocchetti, Roberta Angelilli, Giovanni Quarzo. Tutti portatori di tessere che difficilmente, però, saranno insensibili ai richiami della foresta: quelli delle sorelle Meloni. Visto che manca un mese e che finora le due fazioni si sono timidamente parlate solo per concordare la data dell’appuntamento per ora lo stallo prevede il seguente scenario: per Rampelli il candidato è Milani, per gli altri è Perissa. Se non accade nulla “ci contiamo”.


 In subordine l’offerta della minoranza è questa: togliamo dal tavolo Milani e vi offriamo una rosa di nomi. Tra questi il senatore diversamente rampelliano Andrea De Priamo, Lavinia Mennuni o Marco Scurria, senatore e cognato di Rampelli (strano, ma vero: deve essere una precondizione politica). Per Arianna e Lollobrigida, ma anche per Donzelli non ci deve essere alcuna trattativa sui nomi della minoranza. Altrimenti non si giustificherebbero mesi e mesi di commissariamento all’ombra del Colosseo. Per gli altri invece la partita è più aperta che mai “perché noi gabbiani sapremo mobilitarci più degli altri”. Le parti si annusano a bordo ring. Il gong non è ancora suonato. Molto spetterà ora all’opera diplomatica di Arianna con Rampelli (la sorella della premier a lungo ha lavorato per lui in regione Lazio e si conoscono da venti anni). Sarà davvero una guerra fratricida con finale a sorpresa? C’è chi alla fine giura di no. Perché se le cose dovessero complicarsi, se i veleni iniziassero a scorrere a fiumi scatterebbe il piano B. Che poi è quello A. Ovvero l’unico possibile e contemplabile: medierà e deciderà la presidente del Consiglio. Tra un vertice del G7 e un dossier europeo, appunto.
 

Di più su questi argomenti:
  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.