L'intervista

“Giù le mani dal Veneto: pronti a rompere ogni alleanza”. Parola di Marcato, il bulldog di Zaia

Francesco Gottardi

Gli emendamenti bocciati sul terzo mandato “sono dettagli romani irrilevanti”, dice l’assessore sul piede di guerra. “Dopo Zaia ci sarà un altro candidato leghista: siamo irremovibili. Gli alleati ci seguano, o non saranno più tali”

I cannoni del Doge già sparano. Nel corso della nostra chiacchierata, Roberto Marcato usa per due volte la parola “muscoli”, dice per tre “lotta”, ripete per quattro “esercito”. Ed ecco rompersi le catene del bulldog, troppo a lungo messo a cuccia dal suo stesso partito, che a scoppio ritardatissimo ora ne riconosce – senza dargliene atto – l’intuizione politica: non ci può essere Lega senza Veneto. I meloniani se lo mettano bene in testa. “Non sarà la bocciatura di un emendamento a fermarci”, tuona al Foglio l’assessore allo Sviluppo economico. “Per noi cambia nulla. Se ci fosse stato il terzo mandato, dopo Zaia ancora Zaia. Se così non sarà, dopo Zaia ancora Liga. Su questo siamo irremovibili: Roma fatica a leggere la nostra regione. Anzi, non l’ha mai capita”.

   

È un serenissimo colpo di reni, che fa il paio con le battute del presidente – “preferivo la Lega Nord”, ultimissime da Treviso, fino a scomodare la telefonata di Salvini per accertamenti. Per ora Matteo stia tranquillo: al Veneto il Carroccio serve ancora. Ma guai dimenticare il fine ultimo dei suoi militanti. Guai a dare Zaia per spacciato. “Fidatevi”, continua Marcato, “Luca lo conosco bene: la sua candidatura alle europee non è mai stata un’opzione”. Checché ne dica Via Bellerio. “C’è un rapporto simbiotico fra lui, uomo di coerenza, e il popolo che rappresenta: vuole portare a termine la legislatura, oggi più che mai che c’è il carico da novanta sull’autonomia. Poi nel 2025 avremo una lista Zaia, una lista Lega e una lista venetista: continueremo a governare la regione. Il resto del centrodestra farebbe bene a seguirci”. A sentire il senatore De Carlo, Fratelli d’Italia non è affatto dello stesso avviso. “Capisco. Al loro posto farei lo stesso. Ma noi siamo la Liga: non basta una turnata elettorale a vuoto per cancellare la storia, l’organizzazione capillare, la capacità di governo che ci contraddistingue. Roma si inganna con l’enorme consenso per la premier ottenuto qui alle politiche: il territorio è un’altra partita. E nessuno può contare su un esercito di amministratori locali come il nostro”.

   

Di quel che succede in Parlamento, a Marcato poco importa. “Dettagli capitolini”, liquida il naufragio tecnico sul terzo mandato. “La cronaca di una morte annunciata. E un illogico politico, visto che Meloni ha tutto l’interesse a mettere un piede al nord. Ma il Veneto, locomotiva d’Europa, resterà ai veneti”. Ruggisce il leone di San Marco. “E finalmente anche la Lega sembra essersi accorta dell’importanza di questa battaglia”. Perché adesso fioccano dichiarazioni convergenti. Ma appena lo scorso giugno il campione di preferenze veniva tradito dal fuoco amico, mentre il congresso incoronava Alberto Stefani segretario – soldato di Salvini, con l’inatteso benestare di Zaia. “Il rancore non me lo porto in politica”, taglia corto Marcato. “L’unico paròn che go – dialettismo inevitabile – è il mio popolo: sono fra i cinque fondatori della Liga e avevo il dovere di segnalare i campanelli d’allarme che arrivavano da Padova a Vicenza. Il territorio va ascoltato sempre. Non c’è stata alcuna reazione. Se poi all’improvviso i vertici sono d’accordo con me, tanto meglio”. Ma da qui a fidarsi. “Tutti mi fanno la corte, da Forza Italia al centrosinistra. Tranne il mio partito: se non ci arrivano da soli amen. Non mi sono mai autocandidato e mai lo farò”.

 

In vista delle europee, “la Lega punta sui deputati uscenti”. E su controversi rinforzi, dal generale Vannacci in giù, “che nulla c’entrano con noi. Fare male alle urne però renderebbe tutto più difficile: la diffidenza momentanea si recupera, quella a più riprese sarebbe tosta”. Marcato guida il tanko. “Non conosco le intenzioni del partito a livello nazionale. Ma in Veneto siamo pronti a rompere ogni alleanza, se necessario”. Trema la terra. “La nostra è figlia di un equilibrio delicatissimo, fatto di microimprese e localismi: i risultati che ci vedono primeggiare sempre sono frutto di una commistione felice fra politica, economia e società. Lasciateci fare a noi”. In autonomia. “I veneti aspettano deleghe e risorse, non leggi-quadro. Altrimenti usciamo dal governo”. Marcato non guarda in faccia nessuno. “Se invece ce la portano a casa, faccio un monumento a FdI”. Opportunismo lagunare, scusa tanto Carroccio. “Fino a quel giorno però non mi illudo. Pensiamo concreto. Raccogliamo il testimone di Zaia. Poi che vinca il migliore, e sarà un leghista”. Meglio. “Un venetista”.