L'editoriale del direttore
L'ad di Fincantieri ci dice cosa manca all'Ue nella difesa del Mediterraneo
Tabù pacifisti da rimuovere per proteggere l’interesse nazionale nel globo “terracqueo” e anche in quello subacqueo. Parla Pierroberto Folgiero
Proteggere i nostri mari, già, ma in che senso? Ci si concentra molto su quello che si vede, ma bisognerebbe forse cominciare a concentrarsi progressivamente su quello che non si vede, su quello che non affiora, su quello che, ormai da anni, si muove sotto la superficie dei conflitti conosciuti. Ci si concentra molto sugli interventi necessari da mettere in campo per rendere meno pericoloso il transito delle navi commerciali nel Mar Rosso, ma ci si concentra ancora poco su tutto quello che accade sotto quelle navi, in quella zona d’ombra del mondo sottomarino dove vi sono conflitti latenti, che la guerra combattuta dagli houthi contro l’occidente (ieri, secondo Associated Press, un attacco da parte dei ribelli houthi dello Yemen a una nave commerciale greca nel Golfo di Aden avrebbe causato delle vittime) ha per la prima volta portato alla luce del sole. Due giorni fa, il Parlamento ha scelto meritoriamente di votare quasi all’unanimità per consentire alle Forze armate italiane di difendersi dai terroristi del Mar Rosso. E la scelta della politica italiana è avvenuta alla luce di ciò che sta accadendo sopra la superficie del mare (cinque giorni fa una nave italiana ha neutralizzato un drone degli houthi) ma anche alla luce di ciò che sta accadendo nei fondali del Mar Rosso dove pochi giorni fa i fornitori dei servizi internet che gestiscono alcuni cavi sottomarini in quest’area hanno dovuto reindirizzare circa un quarto del traffico tra Asia, Europa e medio oriente a causa di danni riscontrati lungo quattro dei sedici cavi posati sul fondale (e non è solo una coincidenza temporale il fatto che il voto in Italia sia avvenuto poche ore dopo la notizia del taglio, nel Mar Rosso, di tre cavi sotto marini).
L’intelligence italiana, da mesi, sta valutando la possibilità che si verifichino scenari simili anche nel Mediterraneo e alla luce delle preoccupazioni trasmesse dai servizi al ministro della Difesa il governo, come confermano fonti della Difesa al Foglio, ha messo in programma di sviluppare una nuova tecnologia di mini sottomarini compresi anche i cosiddetti sottomarini “unmanned” (senza equipaggio). Ma cosa vuol dire, esattamente, preoccuparsi della sicurezza non solo del globo terracqueo (citazione meloniana) ma anche di quello subacqueo? L’azienda italiana che aiuterà il comparto della Difesa a sviluppare strumenti utili a proteggere l’interesse europeo sotto il livello del mare è Fincantieri e l’amministratore delegato, Pierroberto Folgiero, ha accettato di discutere con il Foglio su cosa può significare non farsi trovare impreparati di fronte alla stagione delle nuove minacce globali. Folgiero ricorda che la guerra del futuro con la quale presto dovremo confrontarci “è la famosa guerra ibrida”, ma la guerra ibrida “non è un concetto astratto, lontano, virtuale: è qualcosa di concreto, qualcosa che si può toccare: sono i cavi sotto il livello del mare, che possono essere aggrediti anche senza dover mettere in moto battaglioni militari”. Di fronte a questa guerra, dice Folgiero, “non c’è ancora abbastanza consapevolezza per fronteggiarla fino in fondo, perché la minaccia è sottostimata”.
“E anche perché non è chiaro a tutti quanto sia cruciale accelerare sulle tecnologie che possono permetterci di governare il problema, di prevenirlo, di affrontarlo per tempo”. Folgiero mette in fila alcuni dati interessanti, per capire la grandezza del fenomeno e per capire perché il voto del Parlamento, sul tema houthi, deve essere il primo tassello da usare per comporre un mosaico più grande. Il 90 per cento delle merci mondiali viaggia via mare e questo è un dato intuitivo. Il 50 per cento del cibo nel prossimo secolo proverrà dal mare. L’80 per cento della popolazione mondiale vive entro 200 chilometri dalla costa (in Italia il 30 per cento della popolazione italiana vive entro 300 metri dalla costa). Il 98 per cento delle comunicazioni, dato meno autoevidente, viaggia attraverso dorsali sottomarine. E in tutto il mondo ci sono 1,2 milioni di chilometri di cavi sottomarini che devono essere monitorati, ispezionati e mantenuti. “Tutto ciò – dice l’ad di Fincantieri – è ancora più vero nel Mediterraneo che rappresenta solo l’uno per cento della superficie mondiale acquea, ma è attraversato dal 20 per cento del traffico marittimo mondiale (arriverà al 25 per cento in cinque anni), dal 16 per cento del traffico internet mondiale, collega tre continenti, tre culture, tre confessioni religiose”.
Il Mediterraneo, dice ancora Folgiero, ha riguadagnato centralità nelle strategie di approvvigionamento energetico dell’Italia e dell’Europa e il dominio subacqueo è oggi anche un’industria in crescita, “le sue dinamiche sono simili a quelle che si sono intraviste qualche decennio fa quando esplose la space economy”. Sfide nuove, ovviamente, richiedono risposte innovative in termini di governance, di architettura organizzativa, di processi, di finanziamento e, ovviamente, di tecnologie. L’Italia, dice Folgiero, ha “la possibilità concreta di avere un ruolo di leadership in questo settore, ha la possibilità di esercitare una leadership innovativa e di guidare collettivamente l’innovazione, ma ha anche la necessità di comprendere fino in fondo qual è lo scenario che ha di fronte a sé”. Il primo tema è di carattere generale: “Nei prossimi anni è verosimile che l’impegno degli Stati Uniti nel Mediterraneo si ridurrà, è verosimile che le forze americane dedicheranno maggiore energia ai paesi potenzialmente più minacciati dalla Russia, nell’est dell’Europa, ed è infine verosimile che le forze navali dislocate nel Mediterraneo, sottomarini compresi, vengano spostati nel quadrante asiatico, nel Pacifico” (e si capisce cosa significhi avere sempre meno sottomarini americani e sempre di più sottomarini russi: al momento, nel Mediterraneo, dicono ancora fonti della Difesa, sono tre). Una volta compresa l’entità delle trasformazioni in corso sarà importante poi capire come agire, come comportarsi, come muoversi. “Dal punto di vista tecnologico sarà cruciale capire quali sono, in giro per il mondo, i nodi strategici il cui presidio diventerà fondamentale come lo è il Mar Rosso e come lo è Mediterraneo. Penso al canale di Panama, allo Stretto di Malacca in Indonesia, allo Stretto di Hormuz nella penisola arabica, agli Stretti turchi, al Canale di Suez, al Bab el Mandeb al sud del Maro Rosso, allo Stretto di Gibilterra, al Capo di Buona Speranza. Monitorare questi snodi significherà difendere la sicurezza dell’occidente e per monitorare questi snodi serve coraggio, serve investire, servono soluzioni di breve e di lungo termine. Serve, per esempio, non considerare l’uso di tecnologia militare come un tabù. E serve, ancora, scommettere non solo sulla Difesa tradizionale ma anche su soluzioni nuove, innovative, come le così dette docking station, le stazioni da attracco nel mare, che dovranno essere sempre di più trasformate in centri di difesa attiva e passiva”.
Di che numeri stiamo parlando quando parliamo di Difesa mondiale? Nel 2023, il budget globale della Difesa è stato pari a 2,34 triliardi di dollari (più 14,6 per cento di aumento in termini nominali rispetto al 2022) e di questi 150 miliardi sono stati investiti nel settore navale militare. Ma oltre ai numeri, che sono importanti, c’è una direzione da comprendere e da studiare che è la direzione dell’Europa e quella dell’Italia. “La crescita vertiginosa della connettività dei dati sottomarini, dell’eolico off-shore, degli interconnettori energetici sottomarini e dei flussi di petrolio e gas nel bacino stanno oggettivamente spingendo le nazioni a perfezionare le contromisure di sicurezza. L’Europa deve prendersi cura del Mediterraneo e lo deve fare attraverso l’Italia magari accelerando il processo legislativo finalizzato a dare regole certe all’economia dell’underwater. Ma in questo quadro vi è un problema, perché le forze navali europee purtroppo non sembrano pronte e disposte a mettere in comune la loro capacità di sviluppare e costruire i propri prodotti strategici e il consolidamento a livello europeo del settore non è atteso nel breve periodo”. L’Italia, al momento, con Fincantieri, a livello europeo ha due accordi importanti. Il primo si trova sotto il cappello di Naviris, che è una joint-venture tra Fincantieri e la francese Naval Group (accordo nato nell’ambito del Trattato del Quirinale). Il secondo si trova sotto il cappello del programma “Near Future Submarine” grazie al quale Fincantieri prodece un sottomarino di nuova generazione insieme con la Germania. Per capire però che fine farà la difesa europea – dove per difesa europea si intende la volontà da molti solo sbandierata di collaborare maggiormente per difendere l’interesse nazionale europeo – sarà utile, osservare che direzione prenderà la politica europea, sarà utile osservare che direzione prenderanno i parlamenti ma sarà anche utile capire se le industrie europee accetteranno o no di fare quello che l’ad di Fincantieri oggi considera cruciale ma molto difficile: fare leva sulle sinergie, aggregare il know-how, superare i tabù anti bellicisti e rendersi conto che in un momento in cui l’Europa è sotto minaccia far prevalere gli egoismi industriali nazionali sull’interesse europeo sarebbe un modo come un altro per perdere un’occasione e mostrare di essere poco interessati all’agenda del futuro. Proteggere il globo subacqueo oltre a quello terracqueo è una priorità, ovviamente, ma per farlo l’Italia dovrà fare qualche passo in più per spingere l’Europa a superare i suoi vizi, a rivedere i suoi tabù e a ricordare che per essere pacifisti, senza essere ipocriti, bisogna sapersi difendere e per sapersi difendere, oggi, servono, anche sott’acqua, i deterrenti giusti per difendere la pace.