Il caso
"Salvini ha poco agibilità nella Lega". L'analisi di Cesa e il patto congelato con l'Udc. Il documento
L'intesa con i centristi prevede la formazione del gruppo alla Camera e sei posti sicuri alle politiche. Il vicepremier non lo porta in Consiglio federale perché teme il no del Carroccio
“Matteo in questa fase è così debole che sembra non avere agibilità politica all’interno del suo partito”. Il commento, analitico e spietato, è stato consegnato dal segretario centrista Lorenzo Cesa ai suoi “amici democristiani” nei giorni scorsi.
Salvini per le europee aveva proposto a Cesa un accordo politico – con baricentro al centro sud dove il Carroccio rischia di scomparire – con uno sguardo anche alle prossime politiche.
Una lista di impegni onerosi e dettagliati da rispettare che però il capo del Carroccio non riesce a ratificare.
Cioè a farli approvare dal Consiglio federale di Via Bellerio. Cosa prevede il patto federativo Lega-Udc? Il Foglio ha potuto visionare il documento preparato da Salvini e Cesa, che al momento è bloccato.
L’accordo prevede quattro punti. Il primo: “Nascita della componente Udc alla Camera dei deputati”.
Per fare questa operazione Salvini aveva promesso il prestito di una manciata di leghisti a Cesa, tutti eletti nel sud, pronti a traslocare per arrivare alla creazione di una componente centrista, con tanto di simbolo, nel gruppo Misto.
Secondo punto: “Riconoscimento del diritto di tribuna per le prossime elezioni al Parlamento europeo che preveda nella lista della Lega l’inserimento di candidati indicati dall’Udc provenienti dall’area politico culturale democratico-cristiana”. In questo caso l’unico nome certo è quello dell’europarlamentare di lungo corso, proveniente da Forza Italia, Aldo Patriciello, che sarà candidato con la Lega (operazione strana visto che è uno storico esponente italiano del Ppe che si troverebbe intruppato nel gruppo di Id, salvo andarsene il giorno dopo, appena eletto, per ritornare con i Popolari).
Il terzo punto del patto federativo che il Foglio ha potuto leggere è ancora più interessante: “Riconoscimento della pari dignità e della rappresentanza dell’Udc nella lista della Lega per le prossime elezioni politiche. La rappresentanza è determinata in numero di quattro candidati alla Camera dei deputati e numero due al Senato della Repubblica in posizioni favorevoli”. Sei posti sicuri ceduti ai centristi. Uno scenario che sta facendo borbottare (eufemismo) il partito del nord. Basta ascoltare i commenti del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari o quelli di Stefano Candiani, ex sottosegretario.
Il quarto ed ultimo punto è legato invece alla comunicazione: “Un evento nazionale dell’Udc al fine di presentare il patto federativo ai territori”.
Salvini in questa fase ha bloccato tutto. Teme che in Consiglio federale si levino, per la prima volta, pareri contrari a questa operazione: sarebbe una clamorosa sconfessione dell’operato del leader nonché un mezzo avviso di sfratto.
Il momento non è dei più brillanti per Salvini, dal punto di vista politico elettorale. E lo dimostra la paura abruzzese di questi ultimi due giorni: sei tappe in 24 ore per cercare di tirare su la lista, indicata anche da Fratelli d’Italia come l’unica incognita in grado di sbarrare la conferma al governatore uscente Marco Marsilio. Per il leader sembra che lo spazio politico nei territori si restringa sempre di più. Vanno messi insieme i segnali. Se l’intesa con i centristi è congelata, anche nella vecchia base del nord si segnalano scricchiolii. Ieri alla Camera Cateno De Luca ha presentato l’alleanza con un pezzo di ex leghisti che fa capo a Roberto Castelli.
Alla fine si è finiti a parlare di Umberto Bossi, non proprio entusiasta della linea salviniana. I lumbard delusi fanno sponda con “Sud chiama Nord” per le europee. “La Lega di Salvini ha tradito gli ideali autonomisti della Lega di Umberto Bossi, e la ha trasformata in un partito centralista: da qui la fondazione del nostro Partito popolare del Nord, che si oppone al centralismo di Roma e al centralismo di Bruxelles”, ha detto l’ex Guardasigilli Castelli.
Alla domanda se si cercherà l’appoggio esplicito di Bossi, De Luca ha risposto ricordando di averlo incontrato a Gemonio lo scorso 22 settembre: “Cercherò di andarlo a trovare di nuovo”. Castelli ha invece osservato che “Umberto è un parlamentare della Lega Salvini premier, ma il fatto che la parola Nord sia evocata nel nostro simbolo gli farà piacere. Gli chiederò il voto, poi c’è il segreto dell’urna”.
Tutti segnali che piovono addosso al vicepremier. Costretto a destreggiarsi tra i risultati elettorali incombenti e l’ombra di Massimiliano Fedriga, il governatore del Friuli Venezia Giulia, sempre più evocato (ma chissà...) come unica soluzione praticabile per un ipotetico dopo-Salvini. Sospetti e veleni arricchiti anche dal rapporto personale (“ottimo”) fra il presidente di regione e Giorgia Meloni. Oggi la premier sarà a Pordenone per la firma dell’accordo di programma sui fondi di coesione. A riceverla ci sarà, come da grammatica, Fedriga. Bisogna dunque unire i puntini e metterli insieme da nord a sud. In Sicilia, per esempio, non è passata inosservata l’intervista di Fabio Cantarella, pioniere del salvinismo sull’isola: “Questa non è più la mia Lega, Matteo è cambiato”. O forse internamente è più debole: ecco perché non riesce a chiudere il patto con Cesa.