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L'intervista

“TeleMeloni non esiste, la destra si comporta come la sinistra”. A pranzo con Maurizio Mannoni

Salvatore Merlo

Da Donatella Di Cesare a Orsini, “chi l’ha detto che serve la sparata per fare audience?”, dice l'ex conduttore di Tg3 e Linea notte

“Macché TeleMeloni”, dice con un accento di neghittosità, con quel distacco ironico che gli uomini di sinistra hanno forse soltanto a Roma. “Io in questa Rai vedo soprattutto un oggetto che fatica a trovare una propria identità. E comunque la sinistra in materia di occupazione dei posti ha assai poco da insegnare. E te lo dico avendoci militato, a sinistra. Quando la sinistra ha governato la Rai ha fatto esattamente come gli altri. Anche nominando direttori spesso incapaci”. Dice così Maurizio Mannoni, sessantasei anni, una vita da giornalista, in televisione, alla Rai, con Sandro Curzi e Michele Santoro, conduttore del Tg3, di “Ultimo minuto”, di “Primo Piano” e  di “Linea Notte” fino al 2023: “A metà aprile andrò in pensione, mio malgrado. Adesso sono in ferie forzate. Quando in realtà vorrei e potrei ancora fare molte cose, se soltanto qualcuno me lo permettesse”.

Appena un mese fa il Pd ha protestato anche davanti ai cancelli di Viale Mazzini contro “l’occupazione della destra”. C’era pure la segretaria Elly Schlein. “La mia esperienza è che la sinistra ha fatto scelte non dissimili da quelle della destra e di tutti gli altri”. Insomma chi è senza peccato scagli la prima pietra. “Guarda, io avrei potuto ambire a diventare direttore del Tg3. Ci sono andato anche molto vicino. Ma non lo sono mai diventato, perché non ho mai fatto quel passo in più necessario”. E qual è il passo necessario? “Quello di chiedere. Io non ho mai chiesto. Ma non per superbia, semplicemente perché pensavo che fosse più naturale che ti venisse offerto, il ruolo di direttore”. Quindi per diventare direttori bisogna chiedere alla politica? “Non sempre. Ma quasi sempre. Bisogna chiedere, e bisogna anche avere un assenso dell’opposizione. Ci sono direttori, anche molto rinomati e di sinistra che forse sono stati più portati dalla destra che dalla sinistra. Quindi, francamente, faccio fatica a parlare di TeleMeloni. Ecco. E non soltanto in termini di occupazione dei posti”. Che vuoi dire? “Voglio dire che anche dal punto di vista editoriale, del prodotto televisivo, mi sembra tutto il contrario. Mi sembra, anzi, talvolta, una cosa assai confusa. Fatta di corsa.  Non certo una caserma ideologica, non so come dire. Io  conosco Roberto Sergio, l’amministratore delegato, e penso che sarebbe potuto essere amministratore delegato della Rai anche in altre epoche. E conosco pure Paolo Corsini, il direttore dell’Approfondimento Rai. Lui, per esempio è una persona capace, anche se ha rivendicato la sua appartenenza politica alla destra post missina. Penso però che malgrado uno abbia l’ambizione di fare bene il proprio lavoro, alla fine anche le buone intenzioni in Rai si infrangono su un fatto inaggirabile: la politica, qualsiasi essa sia,  non ha interesse a fare bene la televisione. Così alla fine la Rai è diventata un posto dove l’unica cosa che conta è annettersi l’azienda. Purché sia. Controllare i processi. Il prodotto invece non conta. Il che è paradossale, perché tu ti annetti una cosa e poi la fai male e non ti serve a niente. A me per esempio piacerebbe, lo dico sul serio, vedere un bel programma televisivo di destra. Ma non lo fanno”. E perché non lo fanno? “Perché non sono nemmeno messi nelle condizioni di poterlo fare. Dunque lo ripeto: altro che TeleMeloni”. E in effetti quello che descrive Mannoni, più che altro, sembra Tele-casino. 


Maurizio Mannoni è il conduttore del disincanto, l’anchorman del distacco ironico dai fatti. Maurizio Crozza lo ha imitato a lungo, lo chiamava “Mannoioni”. Quando glielo si ricorda, Mannoni sorride. “A qualcuno forse ho dato l’idea di essere quasi disinteressato, ma è sempre stato l’esatto contrario. Io ho sempre cercato di portare la testimonianza degli altri, e pur avendo una personalità rimarchevole, pur pensando che il conduttore deve esprimere la propria identità, ho sempre cercato anche di non sovrastare gli altri”. La neghittosità è sempre stata una cifra della sinistra romana: ironia e un certo grado di cinismo. “Può darsi che questo abbia influito in me. Penso che i fatti talvolta meritano un po’ di distacco e di ironia. Invece vedo una serietà quasi manichea, che talvolta sfiora il fanatismo”. Ecco, a proposito di fanatismo: martedì due giovani donne, due influencer e scrittrici lanciate dai talk-show televisivi hanno organizzato una manifestazione di aggressione antisemita a Firenze alla presentazione della biografia di Golda Meir scritta da Elisabetta Fiorito. Qualche giorno prima Donatella Di Cesare, professoressa anti Nato del talk-show nazionale, aveva scritto un post su X nel quale diceva che la “rivoluzione” della brigatista rossa Balzerani era anche la sua battaglia. Cos’è il “mostro da talk-show”, secondo Mannoni? “Il mostro televisivo è quello che la spara grossa, ed è consustanziale al talk-show”, risponde lui. “Il vero genio che ha inventato queste cose è stato Aldo Biscardi. L’antesignano. Biscardi poneva un’attenzione maniacale e scientifica nella ricerca di personaggi che definire sopra le righe è poco. Personaggi capaci di creare conflitto in tempi brevi, con una sparata. Anche alzando il tono della voce. Trascinando così  gli altri nello scontro. Oggi ci sono fior di professionisti che lavorano nello scouting del mostro televisivo”. Che è una figura della nostra commedia: Di Cesare, Orsini,  Corona... Chi li ospita fa informazione o spettacolo? E perché queste trasmissioni le chiamano “approfondimento”? Cosa approfondiscono? “Non si può generalizzare, le trasmissioni non sono tutte uguali. Ma certo è difficile capire cosa provino ad approfondire. Sono sempre alla ricerca di ospiti che attirano un certo tipo di pubblico, che peraltro si  restringe. E  malinconicamente ciò che si restringe sempre di più è la parte ragionevole, quella di chi vuole capire cosa succede. Si guarda della gente che straparla, e litiga”. Mannoni ha cominciato la sua carriera con Curzi e Santoro. Erano faziosi. E nelle trasmissioni di Santoro il conflitto verbale era continuo. “Faziosi, sì, ma ti facevano capire in televisione la realtà del paese. Per la prima volta entrava in televisione la gente, le piazze, la realtà sociale dell’Italia. Certo, c’era, a ‘Samarcanda’, con Santoro, un’alta dose di conflittualità e di scontro in diretta, ma non era una conflittualità recitata come quella di oggi.

Quando venne ucciso a Palermo Salvo Lima  a ‘Samarcanda’ organizzammo una diretta. Fu difficilissimo. Tentavano di impedirla in ogni modo. Noi trovammo faticosamente una postazione, a Palermo. E a un certo punto fummo circondati da giovani, che esprimevano un concetto che suonava all’incirca così: “Non potete chiederci di piangere per uno come Lima”. Era una cosa fortissima. Provocò una sollevazione, urla. Liti. Ma era  realtà sociale. Certo, anche quello era scontro televisivo, ma rappresentava una situazione esplosiva viva nella società. Gli scontri di adesso sono fine a se stessi. Collegati a sparate bislacche, esagerazioni, fumo e gas. Tutte cose difficilmente rintracciabili nel mondo reale”. Avere l’urlatore, il bislacco che provoca il litigio fa aumentare gli ascolti? “Forse no, ma manca la controprova perché nessuno  ha provato a portare un modo diverso di fare quelle trasmissioni in prima serata.  Io ancora adesso incontro dei nostalgici della mia trasmissione, ‘Lineanotte’. Il mio modo di condurre era pacato, sì, ma la mia non era una trasmissione anestetizzata. Era un Tg raccontato. Non c’era il circo Barnum. E allora spesso me lo chiedo: si deve per forza fare l’horror-show? Non lo sappiamo. Magari, chissà, se soltanto si fosse coltivata un’altra televisione oggi sarebbe diverso. Chissà. Chi può dirlo?”. Chi sono quelli bravi secondo te? “Floris e Formigli, anche se purtroppo sono la concorrenza e io mi sento sempre un uomo Rai. E poi mi piace Mentana, è il vero anchorman della tv italiana. Un conduttore che ti aiuta a leggere i fatti della giornata con competenza e con riconoscibilità. Questo, secondo me, fa la differenza rispetto a un semplice speaker. A uno che legge da un gobbo”.  Perché i conduttori dei tg sono senza personalità? “Perché li vogliono così i direttori che sono terrorizzati dalla personalità del giornalista, e dunque comprimono, hanno paura che quello possa dire qualcosa di sconveniente in diretta”. Qualcosa di sconveniente che indispettisce la politica? “Certo. Ma questo terrore provoca mediocrità”. Anche a TeleMeloni? “Ma come può essere TeleMeloni una cosa che fatica a trovare una qualsiasi identità?”.
 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.