Il racconto
Senza il nome di Salvini la Lega guadagna un punto e mezzo. Lo rivela un sondaggio interno
Il partito cresce di quasi due punti senza il riferimento al leader nel simbolo. Il Carroccio si scatena al Senato. Presenta una legge per abolire il ballottaggio nei comuni. Continua la fronda. Ora l'espulso Da Re vuole candidarsi sindaco contro la Lega
Salvini, basta la parola. È come il confetto Falqui. Quanto vale il cognome del segretario? E quanto può far bene togliere Salvini dal simbolo della Lega? Esiste un sondaggio interno, voluto dallo stesso vicepremier, che oggi lo rivela. La Lega in Abruzzo ha totalizzato il sette e mezzo per cento, dato che per i parlamentari leghisti è il più vicino, l’ultimo, il reale. Senza il marchio Salvini quel numero cresce di almeno un punto e mezzo. Aggredita nel consenso da Forza Italia, che torna a desiderare il denaro dei Berlusconi, che immagina già Pier Silvio sul predellino della barchetta di Portofino, la Lega si sfrena in leggi ed emendamenti. Oltre al terzo mandato, bocciato dal Senato, ha proposto la soppressione del ballottaggio per le elezioni nei comuni. Si diventa sindaci con il 40 per cento. Meloni ha il premierato, Salvini il “salvinato”.
È dunque proprio vero che la disperazione scatena la fantasia, la creatività legislativa. Da anni, da quando il ministro Calderoli, l’ordinario, ha abbandonato la cattedra, la Lega non si dedicava al Trainspotting costituzionale, non produceva emendamenti doppio whisky. Era primo pomeriggio ed è stato il Pd a denunciare questo emendamento 4.105, a firma Spelgatti, Tosato, Pirovano, sul ballottaggio. E’ impilato nel Dl Elezioni e prevede, nei piccoli comuni, l’elezione per direttissima e per anzianità. Ballottaggio eliminato, e nel caso di parità viene eletto il sindaco più anziano, quello che ha più capelli bianchi in testa.
Negli stessi minuti, Salvini era interrogato, alla Camera, da Angelo Bonelli, il verde, che gli chiedeva, bisogna riconoscere con determinazione e puntiglio, chi paga le penali del Ponte sullo Stretto nel caso di contenzioso, perché il ministro si ostina a immaginare un ponte a campata unica. Bonelli che ha studiato tutto il fascicolone del Ponte, domandava a Salvini: “Ma lo sa che per il progetto non è stata fatta nessuna prova del vento? Nessuna prova sismica?”. Bonelli aveva pure la risposta del consorzio Eurolink e la mostrava ai giornalisti: “La risposta è stata che la prova del vento possono farla ma sarebbero analisi dispendiosi in termini temporali”. Salvini che aveva il naso tappato gli replicava, prima, “che il campo largo è nervoso”, poi, che sulle penali i rapporti riguardano esclusivamente la Società stretto di Messina e il contraente generale”. Equivaleva a non rispondere ma si può costruire un’opera storica, fare politica limitandosi ai post?
C’è un episodio che sta ancora facendo ridere, dopo due giorni, tutta la Lombardia e pure i leghisti. Per cercare di fare polemica con Beppe Sala, il segretario della Lega di Milano, Samuele Piscina, ha denunciato una voragine, una buca, salvo poi scoprire che quella buca faceva parte di un intervento dell’Atm. Era una “salvinata” quelle che hanno permesso al leader di far volare la Lega ma che oggi si ritorcono contro. È quel famigerato “uno e mezzo” che stando al sondaggio interno sarebbe recuperabile con la più banale delle operazioni: sbianchettare il nome di Salvini. La Lega e lo stesso Salvini le stanno provando tutte tranne la più dolorosa. Quel Salvatore Ronghi, di Sud protagonista, che è appena entrato in Lega, federato, che ha voluto Claudio Durigon, a cui va dato merito di essere infaticabile, era un antico dirigente Ugl, il sindacato di Durigon e uno storico collaboratore di Renata Polverini. È finita che Polverini sta per candidarsi con FI e il suo “sherpa” con Salvini. Meglio lo sherpa o il capo? Alla Camera c’era Andrea Crippa, il vicesegretario della Lega, che ora Salvini, spedirà in Basilicata, che argomentava con i suoi colleghi: “Sento dire che la Lega deve tornare al nord ma l’autonomia che vuole il nord la stiamo ottenendo solo perché siamo un partito nazionale”. E potrebbe avere pure ragione ma come racconta Giuseppe Castiglione, siciliano, deputato di Azione, “è proprio l’Autonomia che sta costando a Salvini il sud. E’ una riforma anti sud”.
E però, Salvini insiste con l’Etna, il Vesuvio, mentre a Milano, Paolo Grimoldi, il dissidente, giustamente, fa la parte del dissidente. Provoca, sfida, e questa volta, a differenza di due anni fa, non si arrende. E’ uno dei fondatori della Lega lombarda ed è impossibile, raccontano nel partito, espellerlo. In Veneto, c’è l’altro, Toni Da Re, l’europarlamentare espulso, che starebbe per candidarsi sindaco di Vittorio Veneto, contro il candidato di Salvini, e anche in questo caso basta solo il nome, quello del comune. Luca De Carlo, che ormai pure in Basilicata sanno essere l’uomo che Meloni vuole in Veneto, diceva al Senato, che si deve dire basta a queste baggianate”. Si riferiva all’emendamento Trainspotting sul ballottaggio che la Lega ha infine trasformato in ordine del giorno, dopo essere stata battuta sul terzo mandato. Valeva la pena fare tutta questa schiuma? E di che qualità è questa schiuma? Un tormentone di Salvini è “ho preso la Lega al tre per cento”, ma almeno quella Lega aveva più fantasia nella provocazione, nella sparata. Pure in questa competizione Salvini scende. Voto: uno e mezzo.