Alternativa per finta
Un altro Veneto è possibile. Ma non per la sinistra che al dopo Zaia non pensa affatto
Dalla Lega a FdI, le forze di maggioranza sono già in trincea per contendersi l’eredità del governatore uscente. Nessuno fa i conti con quello che dovrebbe essere l’avversario naturale. E vedendo quel che succede tra Pd e dintorni si fa presto a capire perché
C’è l’eccitazione tipica della fine di un’èra. O quantomeno l’illusione di. Meloniani in ascesa, Carroccio al contrattacco, Forza Italia che aspetta al varco. Tutti pronti a scannarsi per lo scranno di Zaia, il doge in scadenza nel 2025. “È un momento di particolare fermento”, ci dice un amministratore leghista di lungo corso. “Il Veneto è sempre stato un grande laboratorio politico: si aprono scenari fino all’altro ieri inimmaginabili”. Uno soltanto resta fuori dal conto. Lontano da ogni fantasia, metaverso o iperuranio regionale: un centrosinistra competitivo. Più facile che Cortina abbia la sua pista da bob. O i veneti l’autonomia. Neanche i dem ci credono sul serio. Eppure mai congiuntura fu più propizia: la voragine al posto del presidente, i conservatori distratti dagli sgambetti interni, l’exploit nei capoluoghi al voto. Allora forza, compagni! L’opposizione è alla portata. Ma non qui, non oggi.
È il grande rebus del progressismo nordorientale. Nato tardi, cresciuto col complesso d’inferiorità – mai un’elezione vinta dal dopoguerra in poi –, sbandato sotto i colpi dello Zaiastan. Nel 2020 toccò il minimo storico: 15,7 per cento alle urne. Contro il quasi 77 del governatore. “Come rosicchiare un po’ di consenso? Cercando di influenzare l’agenda: programmazione, infrastrutture, sviluppo del territorio”, aveva spiegato al Foglio Arturo Lorenzoni, dopo il tracollo al voto. Nel frattempo il candidato di ieri s’è fatto da parte, osservando dal Gruppo misto l’evolversi delle sinistre venete. Nuovi attori e nuovi slogan. Lo scorso settembre, un convegno nel Padovano aveva tentato di approcciare la grande domanda: “Un’alternativa è davvero possibile?”. Presenti Damiano Tommasi, Giacomo Possamai, Edoardo Gaffeo (mancava Sergio Giordani per indisposizione). Sono i fantastici quattro dell’entroterra: sindaci a Verona, Vicenza, Rovigo e Padova. L’alternativa, appunto. Che dai comuni cerca il salto di specie in regione. Moderatrice dell’incontro Elena Ostanel, consigliera della lista Il Veneto che vogliamo (Sinistra italiana e dintorni), che ci tiene a rimarcare l’importanza di quel “davvero”. Altrimenti qualcuno lo prende per avanspettacolo.
Timore giustificato. Mica per difetto dei fuoriclasse. Tommasi e Giordani, da civici, hanno compiuto l’impresa grazie al suicidio multiplo della destra nelle rispettive roccaforti. Quello di Gaffeo a Rovigo è stato semmai un miracolo: sfangata al ballottaggio per 390 voti, nonostante i crescenti attriti col Pd. L’unico vero esempio di uomo di partito, figlio della gavetta dem, è Possamai a Vicenza: ma anche lì, al termine di un percorso netto, ha preferito evitare l’endorsement di Schlein. Perché il particolarismo cittadino è una partita secca, fatta di volti e pochi simboli, che nella giornata giusta può rivelarsi contendibile. Mentre il Veneto è il campionato. E qui il centrosinistra non ha né mezzi né facce note. Le migliori già dirottate nei comuni, appunto. Le altre? Si dice che Ostanel sia la preferita di Elly: auguri. Ci sono poi Vanessa Camani e Andrea Martella, rispettivamente capogruppo in Consiglio e segretario regionale del Pd: profili di sicura esperienza amministrativa. Capipopolo, mah.
Succede allora che la coperta è corta. Che appena il Veneto ha l’epocale occasione di approvare una legge sul fine vita, il progressista lo fa Zaia. E il provvedimento viene affossato col voto decisivo di una consigliera dem: “Una ferita in contrasto con la linea nazionale”, si rammarica il partito. Tocca guardarsi attorno. Deserto pure il campo largo: da queste parti il M5S è irrilevante, Azione e i centristi mancano di struttura. E quindi genio!, allarghiamolo ancora. Nelle ultime settimane la sinistra ha corteggiato perfino Roberto Marcato, leghista scontento e campione di preferenze, per ammissione dello stesso assessore. Che ringrazia, ma va avanti. Così Martella si consola per “il centrodestra diviso”, confidando che “il Pd saprà parlare a tanti elettori delusi”. Sembra la copia sputata di una puntata di ‘Boris’, un’altra televisione è possibile: fresca, innovativa, attenta ai problemi reali. E invece no. Nella fiction René Ferretti sarà salvato dalla locura (tradizione incipriata). In Veneto manco René Ferretti, “il mammut del pareggio”, salverebbe la malandata area dem dall’ennesima debacle.