Il caso
Putin e la guerra fredda di Salvini a Meloni: mentre lei è in Aula lui incontra i geologi
La premier in Senato attacca Putin sulle elezioni russe e ribadisce il sostegno all'Ucraina. Il leghista è assente per impegni al ministero. "Sulla politica estera decido io", è il messaggio della leader all'alleato
Deve fare prima un lungo respiro. Bersi un caffè, in una saletta con Ignazio La Russa, uno che mette buon umore. Sarà un pomeriggio complicato. Giorgia Meloni lo sa. E’ in Senato per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo. Tuttavia da 24 ore ha una mosca (ma si può usare anche la m maiuscola) che le ronza in testa: Matteo Salvini, il suo vicepremier. L’unico esponente di punta di un governo occidentale che ha fatto i complimenti a Vladimir Putin per la rielezione. Sono passate 24 ore. I due non si sono ancora incrociati. E nel corso di questa giornata non lo faranno. Salvini non viene a Palazzo Madama. In mattinata ha gestito una fondamentale cabina di regia a Palazzo Chigi sull’emergenza idrica, di pomeriggio è rimasto al ministero. Il capo della Lega non è un pivello. Sa che il suo scranno vuoto ha un valore politico. Forse uno sfregio. O comunque un messaggio, l’ennesimo. Distanza. Meloni mette su uno dei migliori sorrisi. Entra in Aula. Sui banchi del governo l’unico leghista è Calderoli. Davanti, tra gli scranni, c’è Giorgetti.
Salvini viene contattato, attraverso le segreterie: “Verrà in Aula?”. Dal suo staff rispondono che no, proprio non è giornata. L’agenda non lo permette. Vediamo: in fila deve incontrare l’Ordine dei geologi (per il Ponte), i balneari e i tassisti, poi deve occuparsi del codice della strada. Insomma, non c’è spazio per uno spillo. Chi frequenta quell’asse sempre più forte che sembra legare Palazzo Chigi alla Farnesina ormai non sa più come interpretare le posizioni di Salvini: “Speriamo che non abbia un tracollo alle elezioni europee, altrimenti potrebbe essere capace di tutto”. Ma davvero? Meglio non pensarci.
Ecco la premier. Sta qui per ribadire praticamente l’opposto del grande assente. Si alza in piedi. Resoconto sbobinato: “Ribadiamo la nostra condanna allo svolgimento di elezioni farsa in territorio ucraino e alle vicende che hanno portato al decesso in carcere di Alexei Navalny, il cui sacrificio in nome della libertà non sarà dimenticato”. I leghisti in Aula applaudono, chissà quanto convinti. La premier continua e spiega che la maggioranza è coesa che la politica estera la fa lei con il ministro Antonio Tajani che le sta seduto. E che insomma anche se c’è chi si smarca, chi la spara grossa, chi provoca alla fine contano gli atti. E quindi il sostegno a Kyiv.
L’appuntamento è anche l’occasione per Meloni per prendere le distanze da Emmanuel Macron a proposito dell’invasione russa. Sarà un tema che alla fine uscirà fuori dopodomani e venerdì a Bruxelles. Meloni è netta: “La nostra posizione – scandisce a proposito di un possibile intervento di truppe dell’Unione europea ipotizzato dall’inquilino dell’Eliseo – non è favorevole in alcun modo a questa ipotesi, che consideriamo foriera di una escalation pericolosa, da evitare, invece, a ogni costo. Spero che questo Parlamento sia compatto nel rispondere con noi sul punto”. Le truppe di Fratelli d’Italia applaudono. Si spellano le mani. Si alzano in piedi.
Poi per un tic molto frequente di chi vuole essere più realista del re, al senatore Roberto Menia, uno della vecchia guardia che viene da lontano, parte la frizione: “La pace non si fa sventolando bandiere bianche, come dice il Papa, e non si fa nemmeno ipotizzando interventi militari per i pruriti muscolari di uno che si presenta piuttosto femmineo e capite di chi parlo”. Ce l’ha con Macron. Si levano proteste dall’Aula e Menia risponde: “Lo sapevo che qualche anima candida si sarebbe sconvolta”. Un intervento non proprio diplomatico né politico, roba da peggiore bar di Pieve di Cadore: grappa e vinci. “Penso che abbia usato una espressione infelice”, dice il presidente dei senatori di FdI Lucio Malan agitando una pezza per coprire il buco. Sono i “dettagli” di una giornata in cui Meloni ha ribadito al grande assente: tu parla, io decido la linea internazionale del governo. Il pomeriggio viene un po’ scosso dal gesto di uno studente del liceo romano “Righi”, presente in tribuna con gli altri compagni di classe. Si scoprirà dal “Var” di Palazzo Madama che un ragazzo durante le comunicazioni di Meloni ha mimato con le mani il gesto della pistola puntandola contro la premier. Una insegnante è subito intervenuta, abbassandogli il braccio ed anche un commesso lo ha redarguito. Il ragazzo, minorenne e seduto in prima fila, si è poi scusato di quel gesto che evoca gli anni di piombo.
Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia lo va a cercare e lo striglia così: “Spero che il tuo presente sia diverso dal tuo futuro”. Meloni si dirà, appena a conoscenza del fatto, “colpita che un gesto del genere avvenga in un’Aula come questa nel giorno dell'anniversario della morte di Marco Biagi, un servitore delle istituzioni, dello Stato che ha pagato con la vita la sua disponibilità verso le istituzioni”. E’ una parentesi che si apre e si chiude. E che finirà magari con una sanzione. Di gran lunga inferiore rispetto a quelle che la premier annuncia nei confronti della Bielorussia, satellite di Putin, altro argomento al centro della risoluzione in vista del Consiglio europeo di domani e venerdì. Per la replica la presidente del Consiglio difenderà Orbán (“se isoli un condomino che ritieni antipatico rischia che a rimetterci sia tutto il condominio”). Salvini non si vedrà. Ma se gli elettori hanno sempre ragione come dice lui, gli assenti hanno sempre torto. Come pensa Meloni.