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L'appello del ministro

Il silenzio delle femministe di fronte agli insulti alle donne di destra

Eugenia Roccella

Qualunque insulto sessista, epiteto volgare e antifemminista rivolto a Giorgia Meloni o a una donna di destra non suscita nessuna solidarietà spontanea a sinistra, tra donne che dovrebbero avere un’attenzione maturata in anni di battaglie

La satira, fra i suoi nobili compiti, ne ha uno ineludibile: deve far ridere, o almeno sorridere, o anche ghignare, ma un qualche effetto di ilarità lo deve produrre, altrimenti ha fallito.  In un memorabile film di Ettore Scola, “La terrazza”, un produttore cinematografico (Tognazzi) perseguita il suo sceneggiatore di punta (Trintignant) con l’ossessiva ma necessaria domanda: fa ridere? La vignetta di Mannelli sul Fatto quotidiano, in cui un omone si cala i pantaloni come risposta al “linguaggio del corpo” della Presidente Meloni, non fa ridere. Potremmo quindi chiuderla qui, rubricando l’episodio tra i numerosi tentativi di comici e vignettisti di tradurre le proprie frustrazioni politiche in qualcosa di creativo, con esiti poco felici. Quello che inquieta, però, è altro. 


È il fatto che qualunque insulto sessista, qualunque epiteto volgare, offensivo e biecamente antifemminista rivolto a Giorgia Meloni o a una donna di destra non susciti nessuna ribellione, nessuna solidarietà spontanea tra donne che dovrebbero avere, in questo campo, un’attenzione e una reattività maturata in anni di battaglie. Non mi interessa giocare a chi ha accumulato più offese o censure, o contare le dichiarazioni di solidarietà di una parte o dell’altra. Mi interessa la vitalità del femminismo, mi fa paura che si smarriscano lungo la strada concetti e parole a cui abbiamo fatto spazio con fatica, e che hanno alle spalle una lunga storia di pensiero e di azione. Ricordo, negli anni Settanta, aggressioni, verbali e talvolta fisiche, a noi femministe, perché scavalcavamo le divisioni di classe, e all’eterna e provocatoria domanda “Ma allora per voi Marella Agnelli è oppressa?”, rispondevamo che sì, era oppressa in quanto donna. Affermazioni che suscitavano indignazione e  grave scandalo nella sinistra, soprattutto comunista ed extraparlamentare, essendo a quell’epoca Agnelli il simbolo assoluto, in Italia, del “padrone”. Far passare l’idea che la sorellanza oltrepassava ogni diversità politica, etnica e sociale, che accomunava tutte, non è stato facile e indolore, ma sembrava un traguardo finalmente raggiunto, un punto di non ritorno. Invece no.  


Il bello (si fa per dire) è che oggi si sbandiera insistentemente il concetto di inclusività, ma il termine serve in realtà a costruire muri e recinti, separando chi è dentro e chi è fuori. Negli ultimi tempi si sono trovate fuori, al freddo, donne che si erano crogiolate nella sicurezza di essere “incluse”, e che hanno scoperto con sorpresa di non possedere i requisiti richiesti. Perché, care amiche di sinistra, o si difende un solo criterio, quello della sorellanza e dell’universalità, adottando sempre e comunque lo stesso metro di giudizio, o il pendio diventerà sempre più scivoloso. Il deplatforming e la censura si allargheranno in modo insensato e irrefrenabile, come già accade altrove, e le forme più gravi di oppressione e ingiustizia contro le donne annegheranno nell’indistinto di un’inclusione selettiva. Quello che è accaduto a Chiara Saraceno può sembrare lontanissimo dalle spietate critiche mosse a JK Rowling; cosa c’entra poi con l’assalto al Salone del libro di Torino che mi ha impedito di parlare? E come si fa ad accostare tutto questo ai continui, insistiti attacchi sessisti alla presidente del consiglio? 


Eppure un unico filo rosso percorre situazioni e avvenimenti tanto diversi, e lambisce persino fatti infinitamente più gravi e ancora più distanti, come il mancato, o almeno assai tiepido, sostegno alla lotta delle coraggiosissime iraniane, o l’indifferenza verso le feroci violenze commesse da Hamas sulle ragazze e le donne dei kibbutz il 7 ottobre. Queste cose negli ultimi giorni sono state dette da più parti: c’è chi parla di morte del femminismo, chi invita al dialogo, chi difende il femminismo intersezionale, il transfemminismo, senza se e senza ma. Io credo che chi ha a cuore la storia delle donne, a destra come a sinistra, chi non vuole che il nostro altalenante e difficile percorso di libertà sia fermato da un nodo irrisolto di confusione culturale debba oggi dire parole chiare, debba prendere posizione con coraggio e trasparenza. Proviamo a farlo. Parliamone.

Eugenia Roccella, ministra per le Pari opportunità e la famiglia

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